Giovani e vecchi all'esposizione di Roma

Giovani e vecchi all'esposizione di Roma Giovani e vecchi all'esposizione di Roma gesù» le conseguenze catastrofiche tt» alcuni mostravano di temere, il «{battito sulle esposizioni, aperto dal ministro Fedele, si è risolto nel pro {metto, opportunissimo, di di sciolinare la grandi mostre a struttura internazioiraAe, che, certo, non furono estranee airingarbugìiarnento ed lmbarbaJ rtoertto del linguaggio plastico. E lanciar vivere le mostre locali, non importa quanto, umili; purché espresse da una si arerà.' passione d'arte. Venezia e Roma, a regolari Intervalla, acoogìienranino dunque i consensi più maturi, numerosi e ambiziosi. Ed agli artisti in vìa di formazione, o che per qualsiasi motivo non entrino nel curricolo ufficiale, non mancherà modo di farsi conoscere attraverso le competizioni più modeste; alle crtiali, diciamolo pure, quasi sempre dovemmo la. gioia di qualche autentica scoperta. Apertasi a Roma, da oltre un mese, la mostra degli ■ Amatomi e cultori >, è stata Incontrala, a mezzo cammino, da queste discussioni; e non rappresenta, decisamente, nè l'uno nè l'altro dei tipi di esposizione anzidetti. Ma contiene tanto da salvarla dall'uggioso, ibridismo delle esposizioni solite ; e da poter riferire, non solo a titolo di promessa, a quelle più schiette celebrazioni di arte che si aspettano nel prossimo futuro. L'Impianto generale non è ben caratterizzato; il presente si mescola al retrospettivo; e le sale regionali si alternano ai saloni omnibus. Non mancano gii stranieri. Ma non riesco nemmeno ad intiepidirmi per le innegabili abilità del bulgaro Boris Georgiev, il cui • quattrocentismo > è messo a servizio d'un gusto da ritrattista per magaztnes di mode.-Come le « visioni della vecchia Russia », di Leonid e Rimma Brailowsky, non mi sembrano oltrepassare la piacevolezza folkloriatlca, e un senso divertente ma superficiale della materia. Nessuno, credo, ai aspetterebbe di più, se. Invece di queste tavolette pittoriche, composte con frantumi d'iconi, un giorno si esponessero le scene di gesta, dipinte eoi nostri carretti siculi). « Novecento italiano » NeSa sala del « Novecento italiano », la signora Margherita Sarfatti ha radunato un gruppo dì undici artisti ; secondo criteri che non rispondono a qualche clausola teorica e forzosa; ma cercando quella naturale armonia che dovrà esser il più chiaro ornamento di « uno stile classico insieme e m'oderno ». Non posso dir bene dei dipinti esposti da Le anetta Cecchi Pieraccini, perchè tutti mi accuserebbero di fare In pubblico la corte a mia moglie. Nè posso diirne male, perchè tutti mi accuserebbero di brutalizzare mia moglie, pubblicamente. E, per ragioni di spazio, rimando ad altra volta di trattare, a lungo come vorrei, degli solutori Toiresind e Romanelli, e dei pittori Francalancia, Trambadort e Trifoglio; limitandomi agli altri cinque del groppo novecentesco. Amerigo Baxtodi è il più agile e sveglio. Che, in arte, tali qualità valgano appieno,.è questione irresoluta. Valgono, forse, in forme minori : l'ilUisanazione e la caricatura, nelle quali ■ Bartoli s'è affermato brillantemente Danza rasi eccedere, e con eleganza da Boherniìtare prelibato, il Bartoli ama ima certa ostentazione di bravure e «pressature di permeilo. E la mordente vivacità del tratto, non sempre ci per inètte di riposarci nella sostanziosa larghezza dei rapporti e dei toni. In aoimna, egli ha da facci un discorso ■ serio; ma come per un pudore, o una aMlodirte, di umorista, un poco lo lTastorniì di scarti ed aggressioni sol teito spiritosi. Ha quell'invldiahile malattia che si vorrebbe chiamare la malattia del troppo ingegno, però, non scevra di pericoli ; perchè può finire con aridere le sensazioni, come inducendo ad anticiparle e supporle, invece che soffrirle e maturarle. Manca, m queste sue visioni di Roma, che egli seguisti di serena robustezza, ' (rwf-K-. possiede di astuzia e,di gusto. «SbbBIo Guidi ha una natura più grave, e formazione più laboriosa. Alcune opere, specie ritratti e figure, risentono di una bambolssca estaticità, che un tempo era convenuto considerare tipicamente « novecentista ». Oggi, si accosta più direttamente al vero; e fl paesaggio deDa campagna romana l'aiuta, con quella semplicità di plani e quella povertà cromatica che si convengono alla sua malinconia. Certe tonalità rosso-cupo e verdone, brìi ciate, carbonoie, ossidate, imprestano misterioso risalto ai bianchi crudi, ai cieli opalescenti; e costituiscono una armonia profonda, sebbene un po' schematica e ferma. Un artista che ti trasforma Carlo Socrate e ogni giorno più alieno dalla vecchia maniera cristallina, che poteva far aspettare in lui un pittore, per intenderci, ingresiaho: colori metallizzati, per entro calligrafie incise con la punta del diamante. E anco ra non convince a credere che, nel transito verso tutt'altra sorta di pittura, il suo istinto si traduca molto più liberamente, La sua esperienza, ricchissima, la sua cultura, la volontà di lavoro, posson fornirgli una infinità di pretesti, ornamenti e occasioni divagative ; a parte il fatto che, almeno in■■ due graziosi paesaggi, egli sembra vicinissimo a risolvere il lungo travaglio verso la pittura di tono e volumePer nulla entusiasti dei suoi primi atteggiamenti, ci viene tuttavia da pensare a quello che da essi poteva uscire, sviluppandoli, fuor dell'equivoco' neoclassico, attraverso un disegno serh' pre più squisito e un colore e una materia portati alla artificiosità suprema. Quasi si teme d'aver perduto un bell'artista, arbitrario ed eccentricoper un artista che rientra meglio nequadri tradizionali, ma non con la apagBante originalità che varrebbe a compenso. Quanto a Gilberto Ceracchini : le sue < Donne alla fante » ; i suol bovi ; la «Sacra Famiglia», ecc., rappresentano ormai la saturazione di una forma d'esordio, tra arcaica e popolarescaaajìa qoóle egli non ha più nulla da riosware. Gi ricorderemo 1 gesti attenni delle sue figure, la infantile suggestione del suoi orizzonti color paglierino, ed altre piacevoli, e men piacevoli, cose ; ma aspettandolo a provo più. impegnative, Investile in una espressióne non così galleggiante n vacua; c ci par* aver scorto i segni Che la atte Uno scultore Infine, lo scultore Quirino Ruggerl dà l'Idea, sia detto senza ironia, d'un elefante imprigionato. C'è In lui una forza oscura, torva, caparbia; che si agita e gonfia ancora molto all'interno della superficie plastica. Contrariamente ad altri critici, non crediamo, insomma, che l'intenzione del grandioso, del colossale, del sepolcrale, si produca a freddo, in questo artista; e solo per il fatto ch'egli ha studiato gli egiziani, i romantici o Picasso. Certo è che egli non vede ancora chiaro, dentro sè stesso; e deve sovente arrestarsi ad una espressione vaga; che pur muove da emozioni autentiche. Due piccole teste intanto son definite con pieno equilibrio. Avesse il Ruggerl potuto tradurle in una materia più nobile e sensibile del gesso di cui è costretto a contentarsi, la delicatezza della stilizzazione sarebbe riuscita anche più manifesta. Ma, fuori dalla sala novecentesca, ecco Nino Bertoletti che, ormai lontano dall'accademismo veneto della sua Venere di qualche anno fa, come dal presupposti alia Goya, nel ritratto esposto nel 1926 a Milano, si afferma senza scalpore, oon nove dipinti di una sincerità ornata di molta distinzione. Il ritrattino del figlio è forse la tela, nella sua leggerezza, più vivace; ma anche nel. nudo, e nel « Ritratto del professor Paolinl », elaborati ed Insistiti, la semplicità degli accordi tonali, il cai attere, non hanno perso quella convinzione che altrove, per esempio, nel « Violoncellista >,. sembra offuscata da un cromatismo troppo ricco. E può darsi che 11 Bertoletti non consideri questi saggi che come una fase sperimentale. Non pochi sarebbero soddisfatti di assumerli come punto di arrivo. Pasquarosa Bertoletti non ha cambiato, negli anni durante i quali rimase assente dalle mostre d'arte. E per le sue raffinatissime nature morte di stoffe, ventagli e fiori, non sapremmo che ripetere le parole con cui salutammo i suoi esordi. Un numero importante della esposizione è costituito dai nudi femminili, a pastello rosso e bianco, dello scultore Arturo Dazzi. La prima impressione è più intensa di quella che a mano a mano vien componendosi, nell'animo di un osservatore spregiudicato. Non tanto perchè, come è parso ad alcuni, in questi pastelli si scuopra un eccesso realistico e fotografico; anzi, la bravura finisco per apparire un po' uniforme ed evasiva. Ma se l'evidenza carnale in essi non eccede, come certo non eccede, nemmeno si riesce a distinguere che cosa specificatamente essi abbiano da dirci, considerandoli come opere d'arte. Forse non potremo valutarli con piena cognizione che in rapporto alle future opere dello scultore, al quale avranno servito come studio; e il ricordo di quanto il Dazzi seppe mostrarci, all'ultima Biennale veneziana, induce a tener sospeso ogni giudizio, finché questi nudi non comincino a vivere nel marmo la loro vita più vera. La saletta piemontese Nella saletta piemontese, una diecina di tele di Giacomo Grosso non aggiungono nè tolgono ad un artista che alla eleganza e piacevolezza non troppo sacrificò la solidità della pittura; e che se ormai rappresenta un gusto un po' remoto, sa sempre rifarsi con quella onestà di mestiere che ai suoi ritratti, non a distanza eccessiva da quelli del Morelli e del Mancini, ha assicurato un posto nella nostra galleria pittorica dell'ultimo scorcio dell'Ottocento. Piuttosto dispiace che, nemmeno questa volta, si sia riusciti a mettere in vista gli aspetti migliori dell'arte di Enrico Reycend; tanto mal rappresentata a Roma, anche nel nuovo Museo Mussolini. L'oparicciuola esposta agli « Amatori » non dice letteralmente nulla d'un pittore, a' momenti buomi, arioso come uin Sisley, e cosi pieno di sapore e di freschezza. Tra i piemontesi si distingue meglio Domenico vallnotti, che, nelle sommesse tonalità della tradizione locale, trasporta una intenzione stilistica.propria de' tempi nuovi. Sebbene mediocremente documentato, Antonio Mancini ha sempre di che eccoHere; ma le sue tre opere oggi appena riescono a salvare dal naufragio la desolata povertà del gruppo romano. Cosi gli emiliani, fra i quali, del resto, mancano i più rappresentativi, hanno bisogno del rinforzo del buon Facciola; di Marius Pictor in aspetti assai vicini al macchiaiolismo, e non ancora tanto ingrommati e mineralizzati; infine, di Giuseppe Previati, sia in un ritratto virile di schietta impronta chiaroscurale lombarda, sia in un piccolo idillio che è fra le più fini manifestazioni della sua maniera divisionista. . E per debito di cronaca, ma senza pretesa di esaurire l'elenco, concludiamo con i nomi di alcuni altri, sparsi in diverse sedi, e che in qualche modo si distinguono: Carlo Carrà, con un paesaggio marino; Giovanni Guerrini; pittograf o minuzioso ina non stuccoso ; Tito Corb3lla; Michele Cascella; Domenico De Bernardi; Romolo Bernardi, con una macchia, « Raso rosa ». Gaetano Cigarini ha un bronzetto: « La danza delle falene », elegantissimo Amleto Cataldi non persuade, col suo . Leonardo da Vinci », che egli cambierebbe vantaggiosamente, per non so quale arcaismo e « colossismo », la grazia dei suoi ritratti muliebri ed infantili. Nel gruppo livornese: G. C. viri zio; e soprattutto, Giovanni Zannaceli ini, con notazioni paesistiche di una asprezza quasi vangoghiana. Arido e grigio, Domenico Colao non scade però mal dalla propria dignità. Qualche cosa di simile si ripeterebbe pei' Orazio Pigiato che, nella sala veneta, insieme al Petrella, esce 'oalle formule troppo consuete. EMILIO CECCHI. msncpgtildaduilgdtmtsmsntsdnAcltuaccsdq«gdiddvDdVtdrfbrtrcdihucdtipMasrcndcf

Luoghi citati: Milano, Roma, Russia, Venezia