Esposizioni torinesi

Esposizioni torinesi Esposizioni torinesi Mostre personali alla Quadriennale BOSIA e RHO La biografia di Agostino Bosia è tutta sentimentale e artistica. Questo pittore travagliatissimo, dalla personalità dura, scontrosa, prepotente, persino irritante, è un sedentario e un casalingo. Fu un mese a Firenze per tentar a fortuna; poi ritornò a Torino, dove nato quarant'anni fa: ecco la sua avventura, piccola avventura se si pensa agli artisti pellegrini in terre diverse e lontane alla ricerca dell anima e dell'arte. Del resto, Bosia, che ama talvolta teorizzare con lente parole, nega l'arricchirsi del processo artistico nel tempo e nello spazio. Il vero pittore — egli afferma — è già tutto nel suo primo saggio, nè muterà più fino alla fine; e forse gli dà ragione quella testina di Ignazia De Fraja, che il discepolo spirituale di Bistolfl e l'allievo di studio di Giovanni Giani dipingeva nel 1908 con pennellata estremamente liscia, estremamente semplice; ritratto di mirabile ntensità espressiva, non immune di qualche artifizio nella tonalità giallastra campata sul nero del fondo ; cosa bellissima, sobria, seriissima, non superata nel seguente ventennio di produzione. _< ■ ._ Orbene, la pittura di Agostino Bosia potrà riuscire urtante, antipatica, scon oertante, potrà essere discussa, combattuta, rifiutata in blocco; potrà apparire presuntuosa per la sua incessante pretesa di spremere tutta 1 umanità del soggetto, tutto il carattere del motivo, quasi temesse di riuscire superficiale: ma un fatto è innegabile: che nella sua monotonia tenace ed Insistente essa si. presenta inconfondibile, tanto da potersi già oggi riconoscere Bosia negli allievi e negli imitatori. Una cosa subito ti colpisce entrando nella sala che alla Quadriennale raduna ventisette opere di questo torinese. Ed è una ostentazione esasperato di ineleganza, uno sfoggio di umiltà, ch'è poi invece orgoglio chiuso e silenzioso. Si guardi, ad esempio, il ritratto del maestro Bufaletti. Sul fondo scuro la testa vigorosa, massiccia. Irsuta spicca vivacissima con sorprendente evidenza; la struttura del viso è superbamente modellata da un pennello nervoso, guizzante, tanto sdegnoso delle bravure sommarie come delle meschine pazienze calligrafiche; la moderazione del colore va insieme all'intensità dell'espressione, la sorveglianza dei caratteri formali allo studio di quelli psicologici; ed ecco che importuna, prepotente, perturbatrice la mano destra del musicista — ruvida mano tozza di artiere piuttosto che di intellettuale — è offerta alla vi6ta brutalmente, con importanza pari a quella' del volto. Tutto Bosia è in cotesta mano che ti schiaffeggia con la sua Immobilità pesante. Ma se osservi poi gli sfondi degli altri grandi, quadri di figura, allora lo sprezzo, l'indifferenza per ogni bellezza decorativa e piacevole ti si chiariscono anche più: tinte unite, terrose, grige verdognole, blaustrine: non un mobile, non una stoffa, non un oggetto propizio a far vivere l'ambiente, non un segno che svii o diminuisca la tensione del pittore unicamente conversa sul modello, o che esprima un compiacimento anche fugace di creare una qualche nota coloristica esteriore. In una parola, manca a Bosia la gioia del dipingere. Ciò ch'egli fa è triste, quasi doloroso, ed è sempre altamente drammatico, nobilmente severo. Pochi pittori hanno come lui il senso monumentale (non voglio dire michelangiolesco, per non far sorridere) della figura umana, capace di riempire possentemente tutto uno spazio vuoto senza un accessorio che aiuti la costruzione e l'equilibrio del quadro: figura per lo più piatta, senza respiro e stacco dallo sfondo, ma campeggiente sempre con un'evidenza che turba e sconcerta. Egli non procede per masse, bensì per contorni; spegne ogni luce e costruisce unicamente in forza di un disegno che si limita al tratto essenziale, fino allo sforzo, fino alla caricatura. Io credo che per comprendere a fondo Bosia figurista — e quel velo di tristezza che si stende sull'opera sua — non sia inutile studiare Bosia pae sista. Ecco II viottolo, dipinto nel 1912: pochi metri di strada chiusa tra case solitarie, un muro, un lembo di cielo, nell'altro: ma 11 senso di malinconia, di abbandono del piccolo paese vuoto di gente, muto di voci, fi stringe l'anima non appena fermi lo sguardo sulla breve tela, in virtù di un accordo supremamente delicato fra l'azzurro cenerognolo del cielo unito, levigarissimo, e il tono appena roseo della casa In fondo e la desolazione del muro screpolato in pruno piano. Qualche cosa ti dice che da più di un'ora non è passato nessuno per quel viottolo; attendi: quando dunque una creatura, un animale, un grido di bimbo risveglierà tanto silenzio? Cosi I veli delia luna, paesaggio quasi fontanesiano dello stesso periodo d'anni, vanente visione d'acque dormienti, d'alberi Un' moti, di nubi soffuse di chiarità lunare, dove vaga una fantasia oppressa, malata di ricordi indecisi e di presagi di sventura. E allora meglio si capisce il ritratto del padre, visto dal pittore come un uomo antico risorto nel tempo, e il ritratto della madre, bizzarra figura di donna senza età, uniforme, monocroma, sospesa fra un verismo brutale di rappresentazione e un intento faticoso di superare la realtà con l'idea. E' Indiscutibile che Agostino Bosia ha un suo mondo interiore da palesare. In tutte to sua pittura — ch'è il risultato d'una continua lotte di rea- mi . - 1 » » ■Sili ■_■ » - - J - * ' 1 ~ _ invsigtocostgminqvseramI conpcgutolibnpcnglodssloozqmRnpgnLspAgcncLtosaqFtdldvdpgtdeatdpdmedLdSgnRtHgtnrpFcsctrampctpm intelligenza — si avverte questo travagliato sforzo di esprimere un pensiero oscuro che lo assilla talvolta tragicamente. Padrone del suoi mezzi pittorici, nemico dell'apparenza tacile come del simbolo astruso, egli vuol strappare all'umanità che ritrae i segreti più intimi, rifiutando inesorabilmente tutto ciò che è estraneo al suo intento: anche a costo di sacrificare quanto di bello, d'Ilare, di fresco la vita gli offre. Questo sacrificio, intuito se non confessato, è la tristezza, è 11 rammarico della sua arte. Tanto Bosia è tormentato, tanto Camillo Rho è spontaneo e quieto; tanto uno è drammatico, doloroso, tanto altro è idilliaco, sereno, t sette pjc _ coli paesaggi della sua mostra personale sono sufficienti a definire il tem peramento di questo pittore solitario che vive in campagna, che dai raccoglimenti agresti sembra aver tratto una norma morale, e per il quale certo la vista di un pesco fiorito, d'una linea di collina sul cielo azzurro de'essere una gioia trepida senza turbamenti. Per Camillo Rho la pittura non è altro che ' pittura : vale a dire piacere di trasportare sulla tela ciò che i suoi occhi limpidi vedono intorno, piacere di rendere con fine disegno l'oggetto che gli torna gradito allo sguardo, piacere dì fondere in toni delicati i bei colori della natura. Questo compiacimento tutto Intimo è cosi sincero ch'egli non rifugge di ripetere lo stesso motivo se appena questo gli offra, pur nella ripetizione, una sensazione pittorica nuova. Per apprezzare quanto di gentile, di georglco, di commovente è nella pittura di Camillo Rho occorre rifarsi una verginità d'anima che non sembra del nostro tempo; occorre riabituare l'orecchio al grande colloquio fra l'uomo e le cose naturali. mar, ' SSL fln«tlcdrnmsmvsfsslBsddbpacp

Persone citate: Agostino Bosia, Bosia, Bufaletti, Camillo Rho, Giovanni Giani, Sili

Luoghi citati: Bosia, Firenze, Torino