Beethoven intimo

Beethoven intimo Beethoven intimo PARIGI, maggio. Qoo alquanto ritardo sulla ricorrenza del centenario, J. 6. Prod'homme, autore di un libro sulla leonesse de Beethoven e di un altro sulle Simphoniet de Beethoven, ha dato alle stampe presso l'editore Stock un interessante florilegio di ricordi aneddotici sul grande di Bonn cavati da lettere e da memorie di contemporanei e finora per lo più non tradotti o poco noti all'estero. Tirato su carta a mano a 2600 esemplari numerati, Beethoven raconti par eeux qui l'ont vu costituisce un grazioso ancorché spesso impertinente omaggio al culto del padre-delia musica moderna. Fra i testimoni chiamati a deporre ritroviamo con commozione la maggior parte dei nomi tuttora sacri agli studiosi del cembalo e agli amici dell'arte dei suoni: Cierny, Fleyel, Moscheles, Zelter, Weber, Wieck, Hiller, Rossini, Liszfc, Biabelli. E' l'intero Parnaso musicale della Vienna romantica raggruppato intorno alla maschera famosissima: ma la maschera, mercè sua, afugge alla presa funebre del gesso, si colorisce, palpita, parla. Beethoven! Eccovelo innanzi vivo e quotidiano, come lo conobbe chi lo frequentò o gli chiese udienza ed ebbe la fortuna di rintracciarlo almeno una volta, attraverso la incessante odissea delle.sue peregrinazioni da un domicilio all'altro. Quella del cambiar casa era una manìa che, giunta con la sordità, rendeva l'accesso dell'autore delle Sinfonie difficilissimo. Manìa non sarebbe, per verità, la parola giusta. Più che un capriccio di Beethoven, i tuoi traslochi erano l'effetto del corruccio dei padroni di casa, costretti a dargli lo sfratto per metter fine alle proteste di chi abitava sotto di lui. Fanatico della idroterapia, ' in un'epoca in cui le catinelle permettevano al più al più di lavarsi il viso e le mani, egli inondava ogni mattina e non di rado più volte al giorno la propria camera rovesciandosi sul capo e sulla schiena secchi d'acqua fredda, che univano per colare attraverso il pavimento nella camera sottostante, A più d'un visitatore capitò di vedersi ammesso in sua presenza mentre, nudo sino alla cintola e mugghiando di contento, procedeva a tali disastrose abluzioni. Il tenore Boeckel, che cantò Fidelio, il fabbri canto d'arpe Stiwnpff raccontano di avere ammirato, nell'occasione, il suo torace massiccio dalla robusta muscolatura, che faceva pensare al petto di Napoleone o di Fichte. « Gli avresti predetta la longevità di Matusalemme i, scrive il primo dei due. Ma non è impossibile che l'uno almeno dei suoi mali, la sordità, abbia tratta origine dall'abuso di queste spugnature immoderate. Spesso dopo esser rimasto più ore al tavolo a comporre, ri alzava di acatto e correva a tuffare il cranio ardente nell'acqua gelida, per rimettersi tosto al lavoro senza darsi pensiero di rasciugare la selva di capelli ohe gli restava intrisa a grossi cernecchi intorno alla fronte, sgocciolando sulla carta. A poco a poco questo regime gli inflisse nevralgie e reumatismi per difendersi dai quali raddoppiò la frequenza dei traslochi, nella costante ricerca di un alloggio meno freddo del precedente. Ma fargli cambiar casa bastava anche meno di una corrente d'aria : il volto antipatico di un pigionale incontrato ■alle scale, l'indiscrezione di una vicina venuta a origliare sul pianerottolo mentre sonava. Risultato: nessuno a Vienna conosceva mai con sicurezza il suo indirizzo, mentre più di una volta, se dobbiam credere al direttore d'orchestra von Seyfried, gli accadde di averne due o tre contemporaneamente. In quale stato si presentassero questi alloggi lo apprendiamo da dozzine .di testimoni. Un letto disfatto, uno o due piani a coda, coperti di polvere, tavolini da notte su cui l'inchiostro era stato venato senza risparmio, poz se d'acqua sull'impiantito, abiti e fasci di carte da musica sparpagliati per ogni dove. Sul tavolino una macchina di vetro per fare il caffè, due o tre penne ingrommate d'inchiostro, che i visitatori facevano immancabilmente sparire nelle proprie tasche per poco che restassero soli un istante. Qua e là, piatti sporchi, tazze, bottiglie. In questa cornice balzachiana, Beethoven lavorava dal mattino per tempo sino a due ore dopo mezzogiorno e dalla sera alle tré del mattino, impiegando d'ordinario la prima parte della giornata a mettere in pulito il lavoro già pronto e la seconda pensare o a coordinare le idee notate alla rinfusa sui molti taccuini ohe non lo abbandonavano mai. Lavorando, canticchiava fra i denti e batteva il tempo col piede, cosa che quando era in villeggiatura faceva ridere le serve dell'albergo entrate a rifargli il letto, finché non scatenassero le sue furie. Del pianoforte non gli piaceva servirsi mentre componeva, e al compositore inglese Potter consigliò nel 1817 di non mettersi mai a lavorare in una stanza dove ce ne fosse uno, per non lasciarsi indurre a chiedere l'ispirazione -alla tastiera. Il suo abito da lavoro consisteva, secondo Czerny, Weber e molti altri, in una vecchia rimarrà grigia o in una specie di pigiama di stoffa pelosa, che, sbrindellatissimi, lo facevano somigliare t a un Robinson Grusoè >. Quando aveva la barba lunga, cosa che gli capitava sovente, il suo volto d'un bruno giallastro appariva per metà nero, come ss tutta la luce fosse assorbita dalia fronte divina o non ne restasse più per nient'altró. La negligenza del suo vestire scandalizzava volentieri i cerimoniosi e agghindati sudditi di Francesco II: ma Beethoven non era lontano dal farsene un vanto e non poteva soffrire i ritratti in cui i pittori, credendo di lusingarlo, lo raffiguravano lisciato e. animato « come se stesse per montar di servizio a Corte *. Per uscire, de! rssto, indossava la famosa codaL e e a i o o oo eo i l , fc, aps, , ie o e n a à, e . i ti e i n o a a o , l , a e i o oi ti a o a r e, fo a a , oe i i, o e o o itsiù al , nee o , o z ti ce , r e. ta, r ro, ro e e na o e il e a mel e o, e o y, a ila a a le a ù ne : al rio o ne, a di rondine color celeste a bottoni d'oro la quale, coi calzoni dello stesso colore, col panciotto bianco e la cravatta svolazzante, lo rimetteva sino a un certo punto in regola con le usanze: e tutto-sarebbe andato a meraviglia senza quel benedetto cappello a stajo che, dopo avere assorbito diluvii di pioggia ed essersi lasciato appendere di furia agli attaccapanni dei caffè e delle gasthaustn, riducevasi in capo a una stagione gibboso e conico come un cappello da brigante calabrese. Giacchè, piovesse, nevicasse o soffiasse il più acerbo dei rovaj, la prima e la seconda parte della sua giornata erano divise da due o tre ore di marcia all'aperto, in campagna o sul Ring.^ Senza giungere alla puntualità di Kant, le cui passeggiate permettevano agli abitanti di Konifiberga di regolare i propri orologi, i lunghi cimenti podistici erano per Beethoven consuetudine inderogabile. Ne aveva bisogno per mettere in moto la fantasia — camminava col cappello sull'occipite, la fronte al vento, gesticolando, zufolando a bocca chiùsa e fermandosi tratto tratto per notare un'idea, talché non èra raro che i monelli gli dessero la baia, con grande umiliazione del suo. giovane rompicollo di nipote, quando gli toccava di accompagnarlo — e anche per correggere i dannósi effetti delle lunghe ore di immobilità contrassegnanti il resto della sua giornata. Ma, eccessivo così nella sedentarietà come nei rimedii impiegati per correggerla, quegli effetti rimasero e col tempo si aggravarono. Fra gli altri, una tenace atonia intestinale che, secondo un rapporto del dottor Warwruch, egli s'illudeva di vincere mercè un uso immoderato di bevande spiritose e specialmente di fortissimo ponce. Una volta l'eccesso, delle passeggiate t igieniche* gli costò una infiammazione viscerale che per miracolo non lo uccise. Guarito, restò soggetto a coliche frequenti, contro le quali pretendeva lottare, dietro consiglio del dottor Malfatti, a forza di gelati. Quanti gli furono commensali si accordano nel dire che il suo cibo favorito era il pesce: non è improbabile che i medici gli avessero sconsigliata l'alimentazione carnea. Un altro piatto di sua predilezione consisteva in una specie di pancotto all'uovo. Prima che la cuoca lo mettesse sul fuoco le uova dovevano però esser state sottoposte al suo controllo personale. Egli le prendeva a una ad una, le esaminava contro lume, . le rompeva sull'orlo del piatto per constatare se fossero fresche. Quando sapevano odor di paglia, la cuoca se la dava a gambe per non servire di bersaglio al getto di torli e di albumi che invariabilmente ne sarebbe seguito. Ma le cuoche di Beethoven erano use a questo e ad altro, e un giorno l'una di esse, in presenza di Andrea Stumpff, ebbe la destrezza di afferrare a volo nel grembiule un piatto di maccheroni lanciato in aria dal padrone, per punirla di essere entrata durante il pranzo contrariamente al suo divieto. In quanto all'esame delle ova, non è escluso che fosse in parte destinato ad accertare che erano state messe tutte nella zuppa. La sordità aveva reso Beethoven diffidente verso serve, garzoni e osti, che sospettava sempre congiurati alle sue spalle per derubarlo. Il poeta. Grillparzer racconta che all'epoca in cui il grande musico abitava sulla Landstrasse, la sua dispensa trovavasi accanto al letto, donde, ammalato, poteva spiare senza averne l'aria la cuoca venuta a rifornirsi di burro e di farina. In altri tempi, mancando la dispensa, le provviste stazionavano addirittura in camera da letto dove il Seyfried ricorda di aver veduto tondeggiare magnifiche forme di stracchino e olezzanti salami di Verona. Un anno, questa specie di mania di persecuzione lo aveva messo in tale orgasmo, che risolse di licenziare la cuoca e far cucina da sè. La mattina per tempo si recava al mercato, e tornava a casa con le tasche piene di vettovaglie pagate più caro del solito, che ammanniva e faceva cuocere con le proprie mani. Avendogli gli amici manifestate le proprie inquietudini circa i risultati igienici della regola adottata, Beethoven, punto sul vivo, li invitò a pranzo. Il giorno indicato arrivano, e lo trovano in veste di pelo e berretto da notte, con un grembiule azzurro alla cintola, piantato davanti ai fornelli. Aspetta mezz'ora, aspetta un'ora gli invitati, intorno alla mensa, non sanno più di che discorrere, e l'anfitrione è sempre in cucina. Finalmente, dopo un'ora e mezza di attesa, eccolo entrare, trionfante. Dò la parola ad uno dei commensali: c La zuppa faceva pensare alla schiuma del bollito distribuito ai poveri alla porta degli alberghi, il bue, cotto men ohe a metà, sarebbe stato buono per degli stomachi di struzzo, i legumi nuotavano nell'acqua e nel grasso l'arrosto sembrava affumicato dentro la cappa del camino ». Per buona volontà che ci mettessero, fu impossi bile ai commensali ingollare una cuc chiajata sola di quella roba. Beetho ven, lui, mangiava per tutti, allegro di quell'allegria impetuosa e candida che rompeva a volte la severità del suo cielo interiore con un fulmineo squarcio d'azzurro, e, intitolatosi per burla Mehhchoberl come il guattero di una farsa in voga, sollecitava complimenti degli invitati. Non glieli lesinarono; ma Beethoven, all'espressione dei loro volti, capì lo stesso, e di lì a pochi giorni riprese la cuoca. I fastidi domestici facevano parte per lui di quell'immensa congiura degli uòmini in genere e dei-viennesi in ispecie della quale non tralasciava mai di lagnarsi, un po' sul serio un po' sul faceto, non appena si imbattesse in un uditore che vedesse sia pure per la prima volta ma il cui viso gli fosse andato a genio. « Dall'Imperatore al lustrascarpe, confida¬ nnmescdcEvtllstapnlspnhdoCslHieapImdcdcccnlbsgll[ a al compositore svizzero Schnyder viennesi non valgono nulla».. E aedico Bursy: < Dall'alto al bassoutti canaglie. Non puoi fidarti dnessuno. Se non fai loro mettere denero sul bianco, non c'è verso che mantengano. Vogliono che tu lavore ti pagano come un,pezzente, a dispetto dei patti. La musica è in decadenza ». E a Fanny Giannatasio del Rio: c Io non lavoro se non pecalzolajo, pel sarto e pel beccaio »E a J. F.' Rochlitz, direttore della rivista musicale di Breitkopf e Hartel: t Fidelio? Non possono darlo — le italiane sole sono capaci di cantare la parte di Leonora — nò vogliono sentirlo. Le Sinfonie? Non hanno tempo. I Concerti? Ogni pianista saccontenta di strimpellare la roba propria. Le Sonate? Da un pezzo hanno cessato di essere di moda, e qula moda è tutto ». A sentir lui, un solo paese esiste al mondo, dove spossa vivere: l'Inghilterra. Perchè non c'è mai stato. Ma gli Inglesi glhanno offerto uno stupendo cembalo di Broadwood, fregiato, in segno domaggio, delle firme di Cramer, dClementi, di Moscheles e di altri illustri a-mmiratori, gli hanno mandata l'edizione completa delle opere dHaendel. Gli Inglesi, per giunta, sonoi nemici della Francia, contro di cuegli ha nutrita sempre una convintaantipatia: e c'è forse bisogno d'altroper far grande un popolo che ha abIl it 'd r, al o, di el he ri ieio el ». ir— re no no si ba nui n si hè li lo di di uta di no battuto Napoleone e ha permesso la nascita della IX Sinfonia? La sua conversazione, che i progressi della sordità mutarono a poco a poco in un monologo, aveva, a detta di quanti ebbero la fortuna di ascoltarlo parlare, non solo il fascino del genio, ma l'originalità speciale dei raziocini alimentati unicamente dalla meditazione solitaria e astratta, priva di rapporto costante con la realtà e subordinata più alla fantasia che non all'osservazione. Il barone di Trémont, nei ricordi inediti posseduti dalla Biblioteca Nazionale di Parigi, nota, raccontando delle molte visite fatte a Beethoven nel 1809, che esisteva tra lui e J. J. Rousseau una Somiglianza dovuta ai giudizi erronei dettati ad entrambi da una misantropia che aveva finito per farli vivere in un mondo fantastico privo di riscontro esatto con la natura umana e con lo stato della società. E' un rilievo fatto anche da molti altri. « Quel che è cèrto, scrive il pedagogista W. G. Miiller, c che non conosce nè la società nè la Corte nè la politica nè la dissimulazione. Vive nel mondo della sua propria arte, nell'impero dei suoni, come un monarca ». L'impero dei suoni comprendeva tuttavia per lui una regione dove an- ui che i semplici mortali potevano ragta giungerlo: il regno della natura. Nel ro 1822, percorrendo la campagna nei b- dintorni di Heiligenstadt, l'attor tra? a a a l i a a e n i , e a i i a n e l a - l i ? gico Anschutz lo sorprese intento, com'era suo costume, a comporre: « Lungo il pendio del colle, fra il ruscello e gli alberi, vedo disteso sull'erba un uomo dagli abiti in disordine, col capo, di una fosca bellezza, intelligente e pensoso, appoggiato alla mano sinistra e gli occhi fisi su un quaderno di carta da musica dove la destra tracciava geroglifici misteriosi, fermandosi tratto tratto per tamburinare con le dita. — Beethoven ! faccio tra me. Stetti a guardarlo col più grande interesse e, per non far rumore, stavo tornando indietro, quando a un tratto egli levò la testa e i nostri sguardi si incrociarono. Lo salutai : mi rispose con un breve cenno. Mi avvicinai, scusandomi di averlo interrotto. * La strada appartiene a tutti », rispose. « Posso sapere che cosa state creando di bello?» — «Una sciocchezza ! Un pezzo per orchestra che voglio far qui,- per cacciar le mosche e le formiche ». La conversazione rimase lì. Egli guardava le 1 sue note, tamburinava, scriveva, dimentico dell'intruso. Mi allontanai in punta di piedi. Era così assorto che non se ne accorse neanche ». Solo: ma in mezzo al cuore dell'universo 1 Cinque anni dopo lo stesso Anschutz doveva leggere sul suo feretro il discorso, rimasto celebre, di Grillparzer. CONCETTO PETTINATO. è dtanciqddpmlateMpalstp« tezee ilngstcocalispBmsapdaseee

Luoghi citati: Bonn, Francia, Inghilterra, Parigi, Verona, Vienna