CASTORE e POLLUCE

CASTORE e POLLUCE CASTORE e POLLUCE ' C'era una volta in piazza Castello tutti i giorni, dallo lu dui mattino alle 5 del pomeriggio, un buon vecchietto dalia lunga barba, con tanto di r.edinyole debitamente verdognola per l'uso, e con un berretto sulla testa sopra alla cui visiera occhieggiavano due parole a lettere d'oro: « Guida autorizzata ». Era,un personaggio assai importante, che amava, mediante un tenue compenso, far parte della sua vasta cultura alle coppie di sposi provinciali in viaggio di nozze a Torino, raccontando loro tutte le storie, riguardanti Piazza Castello con una loquela solenne, degna, almeno nella forma, ' del più insigne e cattedratico professore universitario. Quanto alla sostanza, forse la sua oratoria lasciava un po' a desiderare; ma gli spostai, guardandosi negli occhi, aver vano generalmente tutt'altra voglia che quello di rilevare le eventuali inesattezze storiche del cicerone, — Vedano, incliti signori, qui si si respirano tutte le grandi opochc della storia/ Da quale debbo incominciare? Magari dalla antica, poiché a quella moderna mi pare che pensino loro. Avviandosi verso Palazzo Madama, potrei parlare della porla Ho mana, del cavcdium o posto di guar dia per il personale addetto alla difesa, della marmorea lapide di Tito Cornetto SUllalincnsc; ma proferisco accompagnarli verso 1 Dioscuri, poiché la giovinezza che ride loro negli occhi e nel cuore, bene si ac- I corda certamente con quella eterna " di Castore e Polluce. Eccoli là, do matori invincibili di cavalli, inseparabili come Dartione e Pizia, come Eurialo e Niso, come Cloridano e Medoro, e magari come Romeo e Giulietta di cui, lor signori, debbono certo ben conoscerò imitandole le sentimentali vicende. Erano gemelli, di stirpe divina, figli di Giove, che li generò coll'indispensabile concorso di Leda, moglie di Tindaro, re di Laconia. Giove si trasformò in cigno per compiere la sua seduzione, e da una coppia d'uova, o forse anche da un uovo solo, per ragioni di economia, uscirono i Dioscuri, fluii di Giove, denominati Polluce e Castore. E sono proprio questi, scesi, per miracolo d'arte, dalla costellazione dei Gemelli sulla cancellata di Palazzo Reale. Gli sposini stringendosi sempre di più, e magari infischiandosi altamente del mito dei Dioscuri, si fermavano tuttavia, ad ascoltare la lunga tiritera della' guida autorizzata, che ben presto abbandonava la storia antica per quella moderna, e da cicerone buongustaio, esaltava la bellezza della duplice ed equestre opera d'arte. — Sono una meraviglia di agilità, di correttezza, di squisita grazia, e lo scultore Abbondio Sangiorgio, classico imitatore del Canova, vi pose tutta la sua arte e tutta la sua Ispirazione. A proposito, lor signori sanno certamente chi fosse Abbondio Sangiorgio? ',^-Ma, per dire il vero, non lo abbiamo mai sentito nominare e fino ad oggi abbiamo anche potuto benissimo farne a meno. — Ecco, ecco i frutti deH'eccessiva modestia: Abbondio Sangiorgio, buon scultore milanese nato da umile famiglia, non-seppe mai farsi valere come artista, e solo dopo la sua morte, avvenuta nel 1879, i giornali della penisola ne tesserono ampie e meritate lodi. E' autore pure della celebre sestiga dell'Arco della Pace in Milano, e fu, per ' l'ammirazióne destata dalle sue molte opere di scuL tura, designato alla cattedra di scultura nella nostra R. Accademia Albertina. Ma certo lor signori desiderano ora conoscere un po' meglio la storia della duplice opera d'arte del Sangiorgio che stiamo ammirando... — Ecco, quando ella ci ha detto.., — Capisco, quello che io ho detto ha eccitato a tal punto la loro curiosità, che ormai bruciano dal legittimo desiderio di ulteriori notizie in merito; ma io, malgrado le molteplici occupazioni che mi incombono, cominciérò subito la mia modesta ma analitica esposizione col vivo desiderio di contribuire senz'altro alla loro felicità matrimoniale. Una coppia di sposi subalpini, ligi alla di nastia, non può, non deve ignorare le benemerenze artistiche dì S. M.' il Magnanimo Re Carlo Alberto. Il signore conoscerà certo i rivolgimen ti edilizi del 1801 in Piazza Castello. — Li ignoro e non aspiro nemmeno a conoscerli. — Male, perchè nel 1801, all'inizio del nuovo secolo, il Governo francese fece abbattere la Galleria che univa il Castello al Palazzo Reale, nonché il muro sormontato da un grande padiglione ottagono che esisteva al posto.dell'attuale cancellata. Palazzo Madama rimase cosi isolato, ma la parte di piazza settentrionale nella quale ora ci troviamo, posta fuori del quadrato antico, pareva invocare una divisione qualunque per dare maggior risalto alila sede dei Sovrani Sabaudi. E Carlo Alberto nel 1835 ordinò all'architetto bolognese Pelagio Pelagi di abbozzargli il disegno di una cancellata in ferro che chiudesse dignitosamente la piazzetta reale. TI disegno fu presentato, piacque, e la fonderia Colla e Odetli di Torino venne incaricata dell'esecuzione. Nel 1840 la cancellata era a posto, quale ora la vedono, severa, robusta, lunga 8(5 metri fra le due costruzioni laterali, con 15 metri di apertura al centro. Le due parti di essa si appoggiano su sei gròssi pi. lastri di marmo venato e su otto colonnine in ferro ornate del motto sabaudo Fert, dello stemma e del nome di Carlo Alberto, e sormontate da candelabri a 21 fiamma di gas ciascuno da accendersi nelle so 1 «unità. Ma a Re Carlo Alberto parve che mancasse ancor qualcosa, ed ordinò ad Abbondio Sangiorgio i modelli di due statue, che la fonderia milanese di G. B. Viscardi gettò nobilmente in bronzo: nel 1816 Castore e Polluce fUiTono issati sui due pilastri centrali della cancellata, ed ora fan belila mostra di sé, eterni come il mito che ne ricorda la divina vicenda. A questo punto finiva generalmente la chiacchierata del vecchietto in redingote, è gli sposini provinciali con un paio di lire si liberavano alfine di tanta sapienza autorizzata si, ma non per questo meno superflua alla loro luna di miele, ttm ìuiv iuita lui".". Si ptfMfiaQ però ancora, a propo- lo no cnoto cre n he nun nna a, ooaoer ia ali si Mto dei Dioscurl di Piazza Castello,aggiungere alcune notizie interessan-ti, almeno per chi il viaggio di nozze abbia già. fatto da un pezzo, ed ami un poco le curiosità del buon tempo antico. L'inaugurazione dei due monumenti a Castore e Polluce fu nel 1846 celebrata du Felice Romani nelle celebri appendici della Gazzetta Piemontese; Angelo BrolJerio salutò in versi dialettali i Dioscuri al loro primo apparire, Norberto Rosa in rime italiane ; e un epigrammista anonimo, pensando al mito ellenico secondo il quale Castoro e Polluce, immortali a mezzo, vivevano, alternandosi, sei mesi per uno, dettò i seguenti due versi : Il Castore e II Polluce al Re fanno ala Simbolo ai chi monta o di chi cala. Un freddurista atroce di ottajit'annl or sono, infine, amò giuocare sui due mitici nomi, chiamando Carlo Alberto Casio-re 0 del Po-luce. Si fece strada poi anche lo spirito del popolino, il quale con lepida ar¬ CA|guzia affermava che i Dioscuri erano. istati messi là per impedire" il passo a chi pretendeva avvicinarsi a Pa¬ ¬ razzo ih maniche di camicia, rimorchiando carriole, o portando involti. Poveri semidei 1 Valeva proprio la péna di essere immortali per ridursi a fare della spicciola polizia urbana! E magari per sorvegliare i cani ! Precisamente, anche i cani, poiché nel maggio del 1847, come racconta la cronaca del Messaggero Torinese, comparve in piazza fra Castore e Polluce un essere munito di frusta che se la prendeva col cani. Da principio venne ritenuto un maniaco, ma vedendolo poi tollerato e protetto dalla polizia, passò alla storia come una istituzione cittadina. Ed anche per lui la satira popolare trovò qualche rima ed un epigramma: E da quel di con aria formldata, passeggia In piazza un fiero paladine con una frusta In mano sollevata e -vestlmenta e faccia, da spazzino, e quando per di la pftfcsan due cani, leva la frusta e sferza a piene mani. LUIGI COLLIMO. cas A8dgfetcpaqMtd6zslphdsmdtta

Luoghi citati: Milano, Torino