Messaggera dell'al di là

Messaggera dell'al di là Messaggera dell'al di là gg-•>♦Ita Spagna 'del Cinquecento: uno dai più curiosi paesi del mondo, in un'epoca delle più tragiche e splendide insieme; al tempo della scoperta dell'America. Nello sfondo, una folla Variopinta e pittoresca: straccioni cavaliereschi, spadaccini e attaccabrighe, valletti e zingari, mendicanti e ladroni da strada. In primo piano grandi figure maestose e misteriose, nobili impassibili e superbi, conquistatori carichi di gloria, guerrieri eroici assetati d'avventure, gran dame mietich», rigidamente cerimoniose, ma assetate d'amore. Al disopra del trono, gli inquisitori possenti. Sul trono, un re tremendo, Filippo II, il solitario dell'Escuriale, dal giallo viso illuminato dai riflessi dei roghi, il cupo asceta, spietato carnefice anche del Eroprio corpo, tanto lo tormentava i ricerca di ciò che Santa Teresa definì c l'ineffabile tesoro nascosto nella sofferenza ». *** Erano in molti, allora, in Spagna, a cercarlo questo tesoro. Lo cercava anche don Alonso Sanchez di Cèpeda, nobile di Avila. Avila era una cittaduzza castigliana, austera e triste, tutta viuzze silenziose, conventi e, chiese e palazzi, che avevano un che di sepolcrale, il tutto chiuso in una cinta munita di otfcantasei torri, vera cintura di pietra. In uno di quei paazzi tetri, fra due chiese, abitava don Alonso. Vestito di velluto nero, con eleganza severa, nel viso giallognolo e lungo, su cui i mustacchi e la barbetta a punta avevano uno spicco ugubre, gli occhi — di un nero fatale, scavati dalla meditazione, dal errore dell'inferno, dai rigori ascetici, e pur scintillanti per una fierezza senza pari — sembravan dire : i Sono cattolico e castigliano, epperò appartengo alla prima aristocrazia del mondo. Temete Dio e rassomigliatemi, se potete! ». Vedovo con tre igliuoli, aveva sposato, in seconde nozze, una fragile e bellissima quindicenne, donna Beatrice de Àhumada, la quale, docile all'autorità dell'austero marito, vestiva come una vecchia dama e nell'ombra del tetro palazzo pregava, leggeva di nascosto romanzi di cavalleria e languiva, sempre sofferente. Era destinata a morir giovanissima donna Beatrice, dopo aver messo al mondo nove figliuoli, tra cui, secondogenita, colei che poi divenne Santa Teresa, nata l 28 marzo dell'anno di grazia 1515. Ecco la piccola anima luminosa e ardente affacciarsi alla vita, nel sienzio della casa dalle finestre con le nferriate e le porte ferocemente chiuse; nel silenzio della città, che con i suoi Domenicani e i suoi Gesuiti era come un solo convento. La madre languiva, con la corona del Roario in mano ; il padre leggeva gravemente, ai figliuoli riuniti intorno a ui, la vita sublime ed eroica dei Santi ; i ragazzi sognavano le imprese grandiose, di moda in quei tempi, in cui i conquistatori sottomettevano alla Spagna, in pochi anni, continenti nteri. Teresa, leggendo con un fraellino prediletto la vita delle sante martiri, concertò con lui e tentò realmente di fuggire di casa per andare nel paese dei Mori a farsi tagliar la esta per poi goder il Paradiso, per' empre. Quel « per sempre » la rapiva. E lo ripeteva gioiosamente: c Per sempre, per sempre, per sempre!... ». Là futura Carmelitana riormatrice, la grande contemplativa, a grande Amorosa di Cristo, era già tutta intera in quell'impresa infantile, in quel grido di passione, in quella sete di felicità eterna. Crescendo, diventava bella. Aveva quindici anni, quando la vedevano passare per le stradette di Avila e andare in visita ai conventi in veste di abbagliante color arancione, guarnita di velluto nero. Era alta e formosa, con capelli neri occhi neri e viso di rosa, raggiante di freschezza e di sorrisi, splendida d'entusiasmo amoroso. Tutto suscitava nel suo cuore un palpito d'amore. I fiori, le acque correnti, i giardini, le belle forme, le stoffe sontuose, le gemme scintillanti, i profumi dolci, la rapivano. Amore divino, amore del prossimo, amore di carità, pieno di fiamme e di tenerezze... Più tardi, ella parlò di questo periodo come di un periodo di dissipazione terribile: si vestiva con eleganza, leggeva i romanzi di cavalleria, si lasciava ammirare da un bel cugino... Il padre, tanto rigoroso, temette di vederla diventar frivola, e a sedici anni la mandò nel convento delle Augustine, come educanda. Era un convento nei dintorni della città, in un luogo ridente, ma nell'interno cupo come il fondo di una prigione, tetro come una tomba. Cominciò là dentro il dramma intimo della Santa, la sua lotta interiore, la faticosa ascesa, la conquista del'Amore. Ella vedeva chiaramente gli orrori del chiostro, le sue assurdità, le sue insufficienze; tutto il suo essere ne provava una specie di ripugnanza profonda; eppure qualcosa di più profondo ancora, di più potente, di più fatale l'attirava al chiostro, irresistibilmente. Era troppo tenera ancora, la lotta troppo forte. Ammalò, tornò a casa. A casa, al mondo. Che cos'era ii mondo?... Con intuizione meravigliosa ella presentiva la delusione di tutto e la catastrofe finale, che precipita la vita. Todo es nada. Tutto è nulla. E quell'idea terribile le strappava le lacrime. Tutto è nulla, il mondo è una vanità, un'illusione : la felicità non s'ottiene che con la rinuncia al mondo. E Teresa era assetata di felicità... La voleva, voleva il Paradiso, per sempre, per sempre, per sempre!... Il chiostro dunque, non potendo il martirio. Il padre, per quanto pio, non acconsentiva a vederla monaca: sognava per lei un bel maritaggio, voleva vederla gran dama. E Teresa fuggì di casa per entrare nel convento dell'Incarnazione, L'Ibernazione (che esiste «obèvgczgtvplcsratvvvqldteOcstqslsnzrqgggcbElmavtteclptcptmtdOvatuicLcLcspdpnsnmvlndsplpdmLcmduiPfedzCgconcnessmghlndg ♦ancora) era allora, in Avila, il convento alla moda. Vero alveare ronzante, abitato da centottanta monache, visitato da mondani che "si davano appuntamento nel parlatorio. Il conflitto intimo di Teresa ricominciò : le grettezze, le leggerezze, l'inintelligenza, la rilassatezza delle regole, tutto ciò ch'ella vedeva tanto lucidamente le ripugnava; d'altra parte la rinuncia al mondo le appariva più che mai indispensabile... Ammalò di nuovo, ritornò a casa, a curarsi; ma quando rientrò in convento non era guarita. Non guarì mai più. Sincopi lunghissime, paralisi, tomenti di ogni sorta, impossibilità o quasi di nutrirsi, febbri violentissime la tormentarono, più o meno, fino al termine della sua vita. La sua malattia non potè essere definita: fu una specie di viale sacro, che le servì di preparazione e d'introduzione alla vita di alta spiritualità, che doveva condurre più tardi, e le rivelò l'importanza capitale del dolore fisico nell'ascetismo, mezzo impareggiabile di purificazione spirituale. Come nessuno, ella realizzò l'idea pascaliana che « la malattia è lo stato naturale del cristiano ». Il corpo d'un santo è un organismo particolare; torturato e affinato in vista di fini gloriosi. Fu del resto il suo pensiero favorito — ( t o soffrire o morire » ) — che generò l'idea di Pascal. Morire è la liberazione, la grazia suprema, soffrire è meritarla... Intanto, ternata al convento, convalescente per modo di dire, si adagiò, passivamente, nella vita monastica. Aveva a sua disposizione una graziosa cella e un oratorio privato; nel giardino, una specie di piccolo eremitaggio tutto suo. Nella sua cella, davanti alla finestra aperta da cui fai poteva vedere le strade di Avila, filava, ricamava, faceva a punto in croce ampie tappezzerie, che rappresentavano scene della Santa Scrittura. Se la chiamavano in parlatorio accorreva gaiamente. Là brillava in tutto il suo fascino umano. Sosteneva coi f mondani > » le più vivaci conversazioni, componeva versi, cantava... Le erano care le relazioni con quelle dame squisite, con quei cavalieri compiti. Del resto, i suoi doveri di religiosa li compiva scrupolosamente... Periodo oscuro, piatto, misero. Oceano di mediocrità. Sterilità. Secchezza, aridità d'anima. Assenza inesorabile dell'Amato. E intanto il tempo passava. Teresa aveva, ormai, quarantanni : era l'ora della conversione. Un giorno, ella entrò nel suo parlatorio privato: era buio. Entrò e sulia soglia ricevette un colpo in pieno cuore che le strappò un grido straziante. La Santa Umanità del Signore, come ella la chiamò, era là in quella camera buia: un uomo emergente dallo tenebre, un suppliziato grondante sangue e sudore... Una indagine del dolore così impressionante, che ella sentì il cuore spezzarsi e si buttò in ginocchio disperatamente. Era, quel Cristo alla Colonna o quell'acce Homo, una scultura in legno, messa per caso nella sua cella, in attesa di una processione che- si doveva fare nel convento. La sacra statuaria policroma spagnuola di quel tempo era, coi suoi colori violènti, i capelli veri, le forme tormentate e le espressioni dolorose, di un verismo pauroso, di un'efficacia impressionante: l'estetica cattolica, in tutto ciò che ha di più ascetico e ortodosso, partendo dalla più triviale realtà per toccare gli spiriti attraverso le anime. Dopo quel colpo, Teresa, in un turbamento inenarrabile, toccò il fondo del pentimento e dell'adorazione. Ora piangeva, pregava, ora amava veramente, sentiva la presenza di Dio. a Qualche volta — ella scrisse — mentre leggevo, mi veniva all'improvviso un sentimento della presenza di Dio, in modo che non potevo dubitare ch'Egli era in me e io perduta in Lui... Non erano visioni. Era, credo, ciò che si chiama teologia mistica. L'anima resta sospesa in tal modo che sembra essere tutt'intera fuori di sè. La volontà . ama, la memoria è perduta, il giudizio inerte, atterrito dall'enormità di quanto percepisce, perchè Dio vuol fargli intendere che non intende nulla di ciò che Sua Maestà gli rappresenta... >. Più tardi, il Signore le disse: « Tu non devi conversare con gli uomini, ma con gli angeli... ». Stavano per venire i rapimenti, le grandi estasi, le grandi grazie, e insieme le calunnie, le persecuzioni di quelli che la dicevano indemoniata... E poi l'ascesa sempre più sicura fino all'altezza più vertiginosa, la conoscenza di Dio, le mistiche nozze e le grandi calme precedenti la morte, in cui, uscita dalle estasi, eccola in preda a un immenso e divorante bisogno d'azione. La Santa usciva dalle estasi più lucida, più intelligente, più pratica che mai e la sua orazione finiva in atti di carità... Che impresa, per uno storico, per un romanziere, fare l'analisi e darci il ritratto di un'anima simile!... Prenderla dal suo principio, graziosa fanciulla, una mujercita come diceva ella stessa di sè, cioè una piccola donna spagnuola; poi giovane patrizia, sana, robusta, una vera rosa di Castiglia piena d'ardore e d'allegrezza ; poi monaca, e monaca un po' chiacchierina in parlatorio; vederla organizzatrice attivissima, fondatrice, nella più tarda età, di ben diciotto conventi, dove le monache vivevano non di chiacchiere, ma di preghiere e di lavoro, di sacrifici e di digiuni; seguirla nei suoi tormenti, nel suo desiderio di soffrire e d'amore, nelle sue meditazioni profonde, coi suoi scritti geniali, vero spirituale tesoro ch'ella ha lasciato... Tutto ciò è possibile. Ma la Sposa Mistica !... Ma la Sposa inanimata sotto lo sguardo di fuoco della Divinità... Ma la grande ragionatrice, la dotta, la psicologa, la nnaaIl ò : lie, ala iù di ma ra nni urria na di a va meldi uhe el n fu — eire naiael iacontemplativa, che con gli occhi dell'anima vedeva il Signore, la Santa affascinante che comunicava con un mondo ben lungi dalla nostra portatal... Messaggera del soprannaturale, veramente. Talvolta anche noi, poveri esseri comuni, abbiamo avuto, in certi momenti rarissimi della nostra esistenza, dopo qualche grande crisi o in un qualche soprassalto notturno in cui abbiamo sentito la morte vicina, un lampo d'iperlucidità straordinaria, che ci ha come illuminate la soglia di un altro mondo e dato per una frazione di attimo la ragione della vita. Santa Teresa di Gesù, grande esploratrice di Terre inaccessibili, parla del soprannaturale come di una realtà da lei sperimentata. Altri dissertano, teorizzano sull'Unione mistica. Ma lei sola può darne il sentimento e l'intuizione. E la sua figura è tale che non possiamo coi nostri occhi mortali'affissarci in lei, creatura di luce, dal cuore veramente trapassato dalla freccia d'oro del Serafino. *** Ritratto di Santa: impresa audace. L'ha compiuta Louis Bertrand (Sainte Thérèse, Fayard éditeurs), accademico di Francia, vigoroso ritrattista di Sant'Agostino e dì Luigi ETV, romanziere delicate, cattolico di grande tradizione. I libri scritti intorno a Teresa d'Avila potrebbero formare una biblioteca; il moderno ritratto del Bertrand — fatto, com'egli dice, non certo per i teologi, che non troverebbero niente di nuovo da impararvi — è opera sì di romanziere, ma di romanziere storico, esatto, vero, che ci fa seguire passo passo con palpitante emozione una vita prodigiosa e straordinaria, quale nessun romanziere e drammaturgo, per geniale che fosse, potrebbe inventare: la vita di Teresa d'Avila, « la più sicura e la più luminosa messaggera dell'ai di là ». CAROLA PROSPERI. —»»» i ■■' ■»»»—— I

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