Armi sabaude

Armi sabaude La celebrazione torinese del 1928 Armi sabaude Oggi che l'aJa della stona italicav-..-rlatte 1 suoi colpi possenti dalle Alpi l'al Jonio e nella festa del lavoro disci- " Plìnato alle fortune nazionali si celebra* un mito la cui poesia profonda sgorga, col significato epico, dal con ;rasto fra il gesio geOrgico della mano ihe guidò l'arma di pace a tracciare j' quadrato solco limite e spalto della ima Roma, ed il fato immenso delle -riti latine che dal breve termine le- irono il volo impetuoso alla conqui:;a del mondo; oggi più che mai il motto fiero duramente inciso nella bell.i e buona spada di Emanuele Filiberto alta lampeggiante sui campi di San < "untino e calma rientrante nella guaiti* a Cateau Cambrésis, splende come il simbolo etesso delle sorti d'Italia inri ssolubilmente legate a quelle guerr'ere di Casa Savoia. Spoliatis arma a-ipersunt: a coloro che più nulla pos:-<:ggono. restano le armi per riconqui'•.are ciò che fu loro mal tolto. In ueste tre parole brunite su lama ben imprata 6i compendia la storia della latria nostra — storia, occorre ricordarlo a chi considera l'Italia soltanto come maestra d'arti e di gentilezze, essenzialmente militare e guerriera: da Francesco Ferrucci al Principe machiavellico, da Giovanni dalle Bande Nere h Eugenio di Savoia, da Emanuele FiUberto e dal figlio suo a Vittorio Amedeo II, al Caporale di San Martino, al ' e Soldato e a questo nuovo Filiberto he sulle sponde del Piave guardava .erto, sella lontananza dei secoli, al «rande antenato di cui porta il nome e del quale prepara ora la celebrazione. Spoliatis arma supvrsunU forte soltanto di questa sua divisa orgogliosa moveva coi suoi leggendari quaranta cavalieri il diciassettenne figlio di Carlo III verso la corte di Carlo V in Worms nella trepida primavera 1545. Lasciava dietro a sé un padre vecchio, la potenza r adula all'illusione d'un nome ducale, lo Stato ridotto a due città eenza legami : Nizza e Vercelli. La sua speranza — e nutrirti ancora una volta la speranza d'Italia — era nel ferro che gli pendeva al fianco: non altra ricchezza, non altro presidio se non forse l'auturio e la sicura fede d'alcuna poca antica nobiltà di Piemonte: il popolo, stanco di guerre, avvilito da patimenti, spinto dalla fame all'apatia bruta, non poteva salutare la partenza dubbiosa; avrebbe salutato poi il ritorno trionfale. Ma due volte già il giovinetto gracile, che la madre aveva destinato alla Chiesa, s'era gettato ai piedi dell'Imperatore supplicandolo d'esser preso da lui soldato. Ora il desiderio ardente s'era fatto realtà e il Principe ragazzo passava le Alpi mirando il Voto delle aquile alte rotanti nel cielo, e il suo destino: il cuore egli aveva ■ronfio di presagi. E l'attendeva la guerriglia di corte, la lotta diplomatica, la schermaglia politica; più tardi, diradate le nebbie sulle rive della Somma, !a gloria di San Quintino e il trattato della restituzione. La vittoria era stata grande, lale da lasciare forse l'autore stesso della prodigiosa impresa stupefatto d'averla potuta compiere. Per virtù sola di armi emigrate a combattere in terra straniera s'era riconquistato un dominio che più non esisteva se non nel ricordo; un popolo s'era nuovamente stretto intorno a! suo sovrano con giuramento di fedeltà; una nuova potenza, piccola 6l ma temuta e richiesta d'alleanze e di aiuti, era 6orta in Europa; le fortune di una Casa regnante che un giorno si sarebbe posta alla testa del movimento rivoluzionario di tempi eroici, erano gettate ; l'Italia era in germe, nei ferreo Piemonte del secondo Cinquecento. E tre secoli dopo l'artista scelto da Carlo Alberto per chiudere eterno nel bronzo il gesto pacificatore del grande avo, ben avrebbe potuto ripetere sulla lama della spada riposta nel fodero il superbo motto latino: le armi restano ai dispogliati. Ma i miracoli non si ripetono due volte nella vita di un uomo. L'aver intuito, e coi fatti dimostrato, questa verità: l'aver rinunziato all'avventure per correre — superato il periodo epico — ai ripari: l'aver tempestivamente anteposto l'opera della previdenza al fascino del rischio e dell'imprevisto: questa è la grande saggezza di Emanuele Filiberto, del guerriero capitano di bande armate, divenuto uomo di Stato, legislatore, amministratore, organizzatore di difesa per la futura eventuale offesa. Lo spirito dell'Editto di Vercelli, e tnanato il 28 dicembre 1560. l'anno dopo Cateau Cambrésis, quando, cioè, gravi ancora perduravano le incertezze .intorno al modo col quale ai Savoia sarebbero state restituite le loro terre, quando, ancora le lave del vul cano europeo bollenti erano del fuoco Idi guerra, e tutti gli intrighi si ordinavano alle Corti, e l'eresia valdese (minacciava la compagine dello Stato ;in formazione, e Torino stessa, infine, ancora era in mano ai francesi come jpégno e garanzia, rispecchia tutta la accortezza, la preveggenza, la forza dì. carattere del Principe, che non si arresta alle contingenze del presente è odpArfrve spdd«esctasvupnmrdEzemtltpscièii6pfitaaQdmctrdetgpneadcnlpgqgfioèf ..-ria determina, ordina, costruisce per l'avvenire, perchè l'avvenire soltanto " e e l o , a , o o e o , e a a i è la mèta dei popoli e non il piccolo oggi dei gretti e degli egoisti. Le parole che aprono il testo dell'editto sono un capolavoro di prudenza politica e di esperienza psicologica. Ancora una volta si ripete la tacila, riconosciuta inevitabile ■ convenzione fra chi guida e chi è guidato,'fra Governo e popolo: inganno che durerà e deve durare eterno, perchè soltanto si può indurre i popoli alla guerra preparata per la loro maggior grandezza facendo balenare il miraggio dei benefici die poi apporterà la pace. « Comme, depuis, qu'fi a più à Dieu envoyer entre les Princes chretiens la salnte paix; tout notre o-'sire est rie conserver, maintenir, garder nos lìtat6 en tranquillité, tenir nos sujets cn i'a^u uii.un ci cuiicuiUic, ics garuer en seureté; et à ces tlns nous ayons pourvu sur le faict de la Justice, et admluistration d'icelle, sous la quelle les peuples ne peuvent ètre tenus en borine union et concordie; restait seulement de pourvodr aux choses ìnilttaires pour la tuitioo et deffence de nosdits 6ujete et conservation de nos Etats ». Ed ecco, nell'età che le milizie, con lo sparir del mondo feudale e comunale, si compongano di due elementi principali: il mercenario, costituito essenzialmente da svizzeri e da lanzi tedeschi, e il nazionale, destinato a formare le milizie stabili e temporarie, Emanuele Filiberto dare la sua assoluta preferenza a quest'ultimo con l'istituzione della milizia paesana in Piemonte e nella Savoia. Perchè se è vero — come ha notato di recente un intelligente scrittore dà cose militari, il colonnello Edoardo Scala — che ai 6UOi eucoessori tocca il vanto dd aver provveduto all'esercito in modo più efficace- e completo, rendendolo più forte, più pronto, e più veramente atto all'offesa non meno che alla difesa, è anche certo che il vincitore di San Quintino, appena tornato in possesso dei suol Stati — come riusci a richiamare i sudditi a quell'operosa attività che anche per gli accorti ambasciatori veneti era ormai impossibile sperare — seppe loro dimostrare il dovere di concorrere alla difesa dello Stato e non esitò ad armare il suo popolo. « Ayons avisé avec meure deliberation de notre Consci] d'Etat établir gens de guerre qui soienl de nos pròpres sujets, estimare qu'ils nous seroient plus fldeles et moin facheux à. nos autres sujets, outre ce Que Us ne serviront comme merceitaires, mais comme en leur cas pour la deffence et conservation de leur prince nalv.rel et de leur propre patrie ». La portata del provvedimento è immensa. Non più allo straniero infido e mercenario, già bollato dal dispregio petrarchesco, oggi pugnante in un campo e domani in quello avversario, è affidata la difesa della patria, ma al popolo stesso fatto soldato per la « deffence et conservation » del naturai principe. E' una nuova concezione civile che si attua attraverso la pratica militare. Ancora, data l'acerbità dei tempi, è necessario concedere privilegi ad componenti le nuove milizie, come l'esenzione dall'arresto per debiti, dal pagamento dei pedaggi, dalla tortura, dalle spese dì giudizio ; giorno verrà in cui anche questi privilegi cadranno; ma intanto già è possibile -ad-.Fjnanueje Filiberto fissare in una prima leva — che comorende uomini dai 18 ai 50 anni — un èlfettivo di 22.000. armati, dei quali 15.000 Piemontesi e 7000 Savoiardi: effettivo che, per gli arruolamenti volontari, tosto raggrtìngie* ' il numero di 37.000 uomini divisi in nove Colonnellali, ciascuno dei quali composto di sei insegne (compagnie) ripartite queste a loro volta ognuna in quattro centurie ed ogni centuria in quattro squadre. A ciò aggiungasi la cavalleria (archibugieri e cavalleggeri) su quattordici compagnie, l'artiglieria e la guardia ducale. L'esercito piemontese era fondato con disposizioni — venute in seguitò nel 1566 — che sembrano calcate sul modello di quelle proposte dal Machiavelli per l'arruolamento, l'armamento e specialmente l'istruzione della milizia fiorentina ; fondato cioè quell'esercito dal quale, esattamente tre secoli dopo, sarebbero dipese le 6orti d'Italia- l'Italia che mossasi dalla sponda del Ticino doveva fermarsi sulla pianura di Vittorio Veneto. Dice lo Scala che a leggere il regolamento ispirato da Emanuele Filiber to per l'ordinamento della sua milizia, sembra che solo per intervento di una potenza sovrumana alle famigerate compagnie di ventura si fossero, con tanta prontezza, potute sostituire truppe così salde e disciplinate. Non sovrumana potenza, bensì semplice fede Quella fede nelle armi sante per cui il grande I>uca in un giorno lontano aveva lasciato, ragazzo, con piccolo manipolo la corte paterna e aveva fieramente fissato l'ignoto ,60io recan do al fianco ■ splendida un'elsa con inserto il aWio — e una lama temprata in Aymaviglio — per i Sabaudi ». sbccasnstvlralsslscvlasticdptSztrcnnTeinvcprflTndcfscdEtPlrsrLnldr