1528-1928

 1528-1928 1528-1928 E' dunque cosa sicura: l'anno 1528-1928venturo, sotto la guida augusta o illuminata di S. A. R. il Duca d'Aosta, una grandiosa serie di manifestazioni di potenza, di ricchezza, d'arte, di prò grasso scientifico, industriale e agri' colo 'riunirà idealmente con celebratone commossa duo dato capitali del la storia d'Italia: la nascita di Emanuele Filiberto, restauratore della Casa di Savoia o quindi delle fortune della Patria, e la vittoria'senza confronti nei fatti militari della guerra europea delle armi nostre su quello dell'Impero austro-ungarico. A Torino, per volontà dol Duce invitto della Tersa Armata scelta per celebrarvi le due ricorrenze gloriose, si volgeranno 1 palpiti generosi- della Nazione; a Torino, ancora ima volta, ogni vero Italiano della Penisola st recherà in pellegrinaggio reale o idoalo come alla culla della libertà c della .grandezza Italiana, e sarà orgoglio questo della citta nostra, compenso meritato di tutti 1 sacrifici erotei, di tutto le sanguinose e fulgide iniziative, di tutti gli sforzi tettaci di una gente gagliarda, di tutte le giovinezze che nel corso dei secoli, rispondendo all'appello dei Principi Sabaudi, prepararono, immolandosi per un avvenire incerto, questo meraviglioso fervóre d'opero o di pensiero, che ora nelle più intime libre del paese vibra a presagio dell'eterna e splendida priinavera d'Italia. Le bronzee parole die intafano l'Ultimo bollettino Diaz — il bollettino della Vittoria — c il gesto del bronzeo cavaliere di quel monumento del Marocchetti, degno di andare accanto alle statue del Vèrrocchio c di Donatello.-sembrano ispirati da \tn'undca romana volontà, la volontà della ricostruzione dopo la guerra datrloc di libertà, della rinascita dopo la morte necessaria e purificatrice, della ripresa degli arnesi dei lavoro' etm quelle mani stesse . che strinsero gli arnesi della distruzione. Quella spada che rientra nella guaina in tempo opportuno è il aimbolo dell'eterno ricomlnoiare della vita umana. £ la figura di Emanuele Filiberto giganteggia nella atonia perchè tu quella di mi uomo òhe seppe compiere l'opera sopra tutte difficile: ricominciare. • II Ducato perduto, il Tesoro ridotto a debiti, le tene corse e predate da bpagnuoii e da francesi, il Duca stesso peregrinante di città in. città, melanconico ospite nel suo regno, ecco le" condizioni del Piemonte il giorno in cui a Genova il tredicenne-futuro vincitore di San Quintino si gettava ai piedi di Carlo V, supplicandolo che con ,lul lo menasse nella spedizione di Algeri. Nè il rifiuto benevolo lo scoraggiava, si che due anni dopo tornava alla carica, "pregando quésta volta con più,= ferma voce di esser preso volontario nella guerra di Francia. E se dopo un'attesa di altri due anni finalmente partiva con la scorta di quaranta cavalieri, pochi quattrini e il cuore gonfio di speranze vaghe, certo è perchè il giovinetto gracile e silenzioso, vestito di ferro! corazzato di volontà, scorgeva lontano tra le brume di Fiandra il 6uo destino, che l'avrebbe condotto, duce d'un .esercito straniero, a gettare sulle rive della Som- - ma le basi alla fortuna della sua Casa e della sua Patria. E 11 SO giugno 11645 da Inspruck scriveva al padre, Carlo III, svelandogli l'intima cagione che lo spingeva in Germania: la lusinga di riscattare coi propri! meriti lo Stato paterno, o almeno recare con le sue intercessioni qualche sollievo alle sciagure del sudditi. Questo scriveva un ragazzo di diciassette anni. I E dopo meno di quattro lustri da quell'inizio dubbioso, che, a parte la grandezza storica, è di una grandezza poetica inesprimibile, dopo prodigi di valore e di sapere militare, di accortezza politica e di sottigliezza diplomatica, dopo aver saputo tutto sfruttare, e gli eventi piegare alle clrco- ; stanze e le circostanze agli eventi, e persino come arma politica .valersi delle proprie contradizlonl (esemplo tipico", prima la persecuzione del Valdesi e poi la pulce messa nell'orecchio al Papa dell'eresia minacciante l'Italia, e quindi una certa simpatia del Duca pei seguaci di • Pietro Valdo ora abilmente adoprati come spauracchio, dimostrando come fosse impossibile frenarne l'Invadenza se Io Stato non era saldo e sgombro dagli stranieri) ; dopo aver rifiutato, In occasiono del primo passaggio a Torino, nel 1560, di scender dalla navicella, con la quale navigava sul Po, per ac¬ a i e a o e 1 a a a i o i i e e a o e o a e" n i e i a o E l o e - o , e o e e a a a a i - e i o e a o o aao, a, c¬ cettare 1 rinfreschi apprestati dal francesi sulle rive del Valentino; Analmente, dopo un'altra fugace vi6ita compiuta subito dopo lo sgombero rabbioso del Bordillon, il 7 febbraio 1563 Emanuele Filiberto faceva, con la duchessa Margherita ed il flgUuoletto Carlo Emanuele l, natogli, l'anno innanzi a Rivoli, la solenne entrata nella ricuperata Torino, t Avevano gli abltanti tappezzato e coperto le vie di tende e arazzi, e innalzato tre archi trionfali storiati, l'uno a Porta Palazzo, l'altro al crocicchio, ove era l'osteria della Corona, dal quale crocicchio si passava al Duomo; il terzo dinanzi al Palazzo Vescovile, dove erano destinate lo stanze ai Principi. Questi procedevano a piedi, sotto un baldacchino di drappo d'oro; e dietro loro ti Nunzio e gli ambasciatori stranieri, poscia il Consiglio di Stato, il Senato, la Camera dei Conti, 1 rhagistrati del Comune, 1 feudatari, gliofflùlali della Corte e dell'Esercito, ciascuno al debito luogo. Venivano in coda lo guardie e alcune squadre\dl giovani a cavallo, u Comune offri graziosi presenti al Duca e alla 'Duchessa, ed un piccolo toro d'oro ai Principino. 11 terzo giorno dell'entrata, Emanuele Fili-orto intervenne al Senato, e sedendo prò Tribunali, spedi parecchie cause: Cosi, con universale contento, Torino dopo 37 anni ritornò sotto la Casa di Savoia e ridivenne' capitale dello Stato >. Questo era il risultato dell'opera guerriera e politica dol Principe. Ora doveva cominciar qholla del governatore di popoli e dell'amministratore di Stato. Terribile compito, perchè terribili le condizioni economiche del Piemonte in quegli anni SI leggo nella relazione di un ambasciatore veneto: « Tutto questo tratto di paese, poco fa bellissimo, ò ridotto in tal termine che non si conosce più quale sia stato. Incolto, senza gente per le città, senza uomini e senza animali per le ville, imboschito tutto c- seilvattco; non si vedono case, che il più furono abbruciate; della maggior parte dei castelli appaiono le muraasoltanto ; degli abitanti, già numerosi, chi è morto di peste o di fame, chicli ferro, chi fuggi altrove, volendo piuttosto mendicare il pane fuor di casa, che in casa sopportare travagli peggiori della morte ».Ebbene, già alla fine del triennio lui»1561, quando già Emanuele Filiberto aveva ricuperato,' se non Torino, gran parte del' suoi' Stati, e s'era data attuazione alle prime riforme, il Generale delle Finanze, Negrone di Negro, poteva presentare alla Camera del Conti un bilancio nel quale le entrate risultavano di fiorini camerali 3,351.417 e la spese di 3,312,356, d'onde appariva un leggero, avanzo di fiorini 39,061. Era 11 principiò. Poi vennero, gradualmente, gli altri provvedimenti, che, alila morte della Testa ài Ferro, dovevano lasciare 11 Piemonte tra gli stati più forti e meglio organizzati d'Italia. Oltre là creazione della -miUata' a piedi è a cavallo, l'ordinamento della flotta, la fortificazióne di Torino e delle altre piazze, le continue pratiche militari e civili, fi destreggiarsi fra le contese religiose, la.fondazione di università, collegi, teatri, ti riordinamento della giustizia e della polizia, la riforma del Consiglilo di Stato; con privilegi e protezioni doganali Emanuele Filiberto riusciva a superale con la somma delle esportazioni le importazioni in Piemonte, vi introduceva le industrie dei vetri e del cristalli, del sapone, dei panni, del sale, del rame, dello zolfo, della carta e infine idava — con esempip personale — il maggior incremento a quella che più dell'altre va legata al suo nome : l'industria della seta. Chi ha vaghezza di seguire una per una le cento riforme e innovazioni flllbertlane che nella loro massa rappresentano il lavoro non di uno, ma di dieci legislatori e uomini di governo, si prenda il volume del vecchio Ricotti, e se lo legga fino in fondo, fino alla scena della morte del gran Principe, fino a quelle sue ultime parole che il 30 agosto 1580 suonarono come profezia. « State uniti >. Tale fu l'uomo che l'anno venturo Torino — dalla quale mossero le sorti d'Italia — commemorerà nel quarto centenario della nasoita. Quattro secoli; dieci anni. Un'alba di vita nuova 11 trattato di Cateau Cambrésis nel 1559 per il piccolo Piemonte di allora; un'alba di vita nuova il folgorante autunno 1918 per la gronde Italia di adesso. q