Un altro aggressivo processo alla gloria di Colombo

Un altro aggressivo processo alla gloria di Colombo Un altro aggressivo processo alla gloria di Colombo La propaganda contro Cristoforo Colombo riceve munizioni di rinforzo. Dopo il francese- Enrico Vignaud e lo spagnolo Carlo Pereyra, ecco oggi un conterraneo di Mistral farsi Innanzi per relegare in soffitta la « leggenda b del Genovese e della sua scoperta. La critica contemporanea ci ha abituati da troppi anni alle demolizioni clamorose perchè i colpi di piccone avventati contro la fama del 10 scopritore dell'America abbiano a scandalizzarci oltre una certa misura. Un'epoca che ha veduto negare l'esistenza di Omero e di Shakespeare e che ha sentito un Couchoud mettere in dubbio sin la realtà di Cristo darebbe prova di una suscettibilità esagerata offendendosi degli strappi fatti nella gloria di Colombo. Colombo è, in ogni caso, in buona compagnia, e non contesterò quindi a Mario André, poeta provenzalo e console di seconda classe, il diritto di sagriflcare a" sua volta all'andazzo dei tempi pigliandosela, sulle orme di vari altri e fra questi dell'italiano Magnaghi, anche con lui. Quello che tuttavia mi pare eccessivo è la pretesa che alle conclusioni degli anticolombiani abbia a sottoscrivere il mondo intero. Se la demolizione delle grandi figure ideali formatesi. attraverso i tempi nella coscienza o nella fantasia degli uomini può venire, a rigore, tollerata, è unicamente perchè essa non esclude il loro impassibile sopravvivere nell'una o nell'altra nè quello del culto votato loro dagli nomini per ragioni che nulla hanno da temere dagli scrupoli della pedanteria. Chi vorrebbe serbar rancore a un Couchoud per avere dimostrata l'impossibilità del Cristo storico e del suo carattere propriamente mitologico, quando basta guardarsi attorno per accorgersi come Cristo' non sia mai stato più vivo, più trionfante e più divino di oggi, a dispetto dei negatori? La massima tolleranza mi anirr.erebbe dunque anche verso l'anticolombianismo dell' André, se la sua c Véridique aventure de Cristophe Colomb i non pretendesse convincere sul serio i popoli della necessità di cancellare per sempre dalla loro memoria il nome dello scopritore dell'America. L? aggressivo manifesto, apparso settimo nella serie dei «Romanzi delle grandi esistenze » dell'editore Plon, obbedisce a velleità di apostolato, che non permettono di lasciarlo passare senza discussione. L'autore s'illude di cattivarsi l'animo degli italiani proponendo loro di innalzare sul piedistallo di Colombo un altro degli scopritori dell'America: Vespucci o Caboto, entrambi non meno- italiani del primo, se non più. E non nego che la proposta, per quanto anch'essa tutt'altro che nuova, abbia almeno il merito di provare che se gli italiani difendono il Genovese non è per spirito di campanile, visto che, abbandonato lui, non avrebbero se non da ripiegarsi in buon ordine su un fiorentino o su un veneziano, a loro scelta. Ma il difetto delle rettifiche di questo genere è che, anche a proporle, 11 mondo non le accetta. Avrete un bel giurare che Shakespeare è Bacone : il pubblico continuerà a chiamarlo Shakespeare e a farlo nascere a Stratford. Per falsi che sieno i miti posseggono sulla realtà aspirante a sfatarli' il grande vantaggio di esistere e di preesisterle. Amerigo Vespucci, che ebbe già la disgrazia di passare agli occhi dei posteri per un usurpatore, tenterebbe invano di sostituirsi oggi a Colombo, per la semplice ragione che non è più possibile creare un mito sulle scoperte geografiche, come era possibile al principio del Cinquecento, quando quelle scoperte avevano luogo. Vespucci sarà anche stato navigatore cento volte più esperto e meritevole di Colombo, secondo protesta l'André, il quale lo fa sbarcare nel 1497 nell'Honduras men tre Colombo non toccò il Venezuela se non l'anno appresso: il fatto è che la leggenda non tolse lui ad eroe della scoperta, ma l'altro. Ora le leggende nascono pure per qualche cosa. Il torto della critica storica è di dimenticarsene spesso, e in questo torto Mario André parrai sia cascato a pie' pari. Con la sua funesta abitudine di collocarsi, in omaggio a un preteso spirito scientifico, sotto un angolo visuale che non è più quello del mondo di Cristoforo Colombo, egli finisce per alterare la verità che si lusingava di ristabilire. Colombo, a sentir lui, è un ignorante che ha farcito affrettatamente, in men di un anno, il proprio cervello di letture disparate e ha finito per rassegnarsi, dopo avere ondeggiato fra i Viaggi di Marco Polo, il Libro delle meraviglie del Mandeville e la Bistorta rerum di Enea Silvio Piccolómani, ad essere l'uomo di un solo libro: l'Imago mundi di Pietro d'Ailly, opera che, rimpinzata di citazioni degli autori antichi, gli permetterà di fare, con poca fatica, bellissima figura. Di vera scienza, nemmeno l'ombra. Non solo il Genovese ha ancora del mondo l'idea che ne avevano Aristotele ed Eratostene, non solo è persuaso che la terra aia grande un terzo del vero e non contenga più di un settimo di superficie marina, ma non sa nemmeno — lui che scoprirà la variazione magnetica — maneggiare un sestante e fare il punto. Non sa nemmeno — udite, udite t — comandare un bastimento. Quando salpa la prima volta da Palos, il comando della Santa Maria è assicurato da Juan de la Cosa, e se a Jbordo della caravella ammiraglia aceppieranno sedizioni, è unicamente perchè Colombo ignora sinanco l'arte di mantenere la disciplina, che non ignorano, per sua fortuna, i comandanti della Pinta e della Niiia, Martino e Vincente Pinzon. Quale i' risultato di questa c incompetenza > PARIGI, marzo. jyàèdqencEfieCnlpci(dclcnpdgsqfdtspzPdnMtangtClpcpalddtssiddnsolcmcsbnfpltuttcglMbbdsectpRrtpscl1dnmCgAlttssmllanpItldoscaacaialqdcplnecdqlgcddcsgpllflirfcoandafosa? Che, giunto in America,4v jyAmBiiraglio persiste ostinatamente"!à credersi in Asia. Cuba, per lui, è il Giappone, la Martinica è l'isola delle Amazzoni, l'Orenoco è uno dei quattro fiumi del paradiso terrestre, e a poche miglia di 11 c'è il Chersoneso aureo ossia la penisola di Malacca con la capitale del Catajo, col Gran Ean. Qui l'André che è forte in geografia, alza le braccia al cielo. Ma questi errori pittoreschi i contemporanei di Colombo li adottano, imponendo al nuovo mondo emerso dal mistero delle acque il nome di Indie. Avrebbe potuto Colombo evitarli ? E non ci dice lo stesso André che « nel 1500 si ignora fin l'esistenza dell'America (pag. 273) •? L'interesse della figura dello Scopritore sta appunto nel suo carattere tipicamente medievale, nell'esser quella di un uomo che ha ancora sugli occhi il cappuccio di Brunetto Latini e che dà di petto per la prima volta nella realtà sbalorditiva dei tempi moderni. Se fosse più spregiudicato e più empirico, come non stento ad ammettere che siano stati quei fratelli Pinzon cui lo scrittore francese vorrebbe trasferire la glòria della scoperta, egli non sarebbe altrettanto rappresentativo. E del resto, ancorché meno visionari di lui, perchè meno ingombri di reminiscenze classiche, non credevano anche i Pinzon che l'altra sponda del mare d'Occidente fosse quella del Giappone, Cipango, come avevano detto a Martino Alonzo i cosmografi del Vaticano, e non promettevano anch'essi ai marinai che in quelle terre lontane avrebbero trovate d'oro sin le tegole delle case? Erano le illusioni del tempo, e a nessuno pareva strano che Colombo le dividesse. L'errore dell'André consiste nel considerare i pregiudizi di quest'ultimo con gli occhi dei testimoni a carico citati nei processi della successione colombiana a partire dal 1515, ossia quando già le ricognizioni effettuate nel Brasile da Amerigo Vespucci, nell' America del Nord dai mercatanti inglesi e portoghesi e nell'istmo di Panama dallo spagnolo Vasco Nunez hanno permesso di stabilire che le terre incontrate in Occidente non sono le prime isole dell'Asia, bensì un altro continente al di là del quale si trova un altro oceano. E' perfettamente vero che a quest'epoca l'interesse pubblico si fosse ormai distolto dalla persona di Colombo, di fronte al sùbito moltiplicarsi delle scoperte transoceaniche: ma nulla di più illegittimo del giudicare coi criteri di una nuova fase storica anche quanto avveniva una buona ventina, d'anni prima. Il senno di cui l'anticolombiano del 1927 fa tanto caso è il classico senno del poi. Fra la divulgazione del nuovo bilancio geografico e le prime scoperte del Genovese c'è di mezzo quasi una generazione, e nel 1492 è assolutamente gratuito, per esempio, ' pretendere, a scorno dell'Ammiraglio, che i semplici marinai delle coste spagnole e portoghesi avessero la familiarità dell'Atlantico. Da Palos, da Moguer, da Lisbona si faceva del ca botaggio, si costeggiava l'Africa, e basta. Mettere la prora al largo, addentrarsi nell'ignoto dell'equoreo deserto einchè non se ne toccasse la fine era un'altra faccenda ; ed ecco la sola causa verosimile della difficoltà incontrata da Colombo per reclutare l'equipaggio della sua prima spedizione. Riuscita la traversata, stabilita la rotta, constatata la possibilità del ritorno, le cose cambiarono e tutti seppero fare altrettanto. Grazie: ma bisognava pensarci, bisognava incominciare. Ricordiamoci dell'uovo. Che vale tirare in ballo, per umiliare il Genovese, le carte italiane del 1434 e del 1436 sulle quali al posto delle Americhe è segnata una itola novo scoperta, una AntiUa con la menzione: questo he mar de Spagnai Che vale accordar credito alla leggenda — sempre leggende! — di un Alonzo Sanchez salpato dal Portogallo a destinazione delle Fiandre, sbattuto dalla tempesta sulle coste di Antilia, poi risalpato verso l'Europa, sbattuto da una seconda tempesta sulle coste dell'Africa e. morto finalmente fra le braccia di Colombo, svelandogli il segreto dell'esistenza dell'isola a settecentocinquanta miglia ad occidente? Anzitutto le indicazioni dei portolani sono troppo vaghe per permettere di identificare Àntilia. Il nome significava evidentemente anteriore, prima terrà d'Occidente : ma le carte la situavano ora al 28' grado di latitudine nord ora al 40', jl che obbliga a concluderne che potesse essere tanto Haiti come Terranova e che di essa i navigatori del tempo non avessero nonché la conoscenza esatta attribuita al Sanchez nemmeno un concetto approssimativo. Antilia, sino a Colombo, era una tradizione o una ipotesi le cui origini risalivano forse ai racconti dei corsari scandinavi dell'VIII e del IX secolo. Ma, a parte questo, e ammesso pure che gli accidenti della navigazione avessero già condotto qualche nocchiero ariano a perdersi sulle coste occidentali dell'Atlantico, che vantaggio ne era venuto all'Europa? In che cosa quelle esperienze fortuite avevano servito la causa dell'espansione del vecchio mondo? Incidenti isolati e senza seguito, quale luce avevano essi gettata nell'anima medievale? Il grande, l'ineguagliato merito del Genovese è che con lui, sia pure attraverso errori di diagnosi inevitabili, il caso fortuito diventa la regola. Grazie alla sua eroica energia morale, tanto più eroica se non sorretta da una cultura adeguata, grazie, a quel temperamento profetico cui irride ad ogni pagina l'André, la Santa Maria, la Finta e la Nifia diventano d'un colpo le staffette di una linea transatlantica regolare. Dall'oggi al domani, è come se il mondo veda cascare nn velario pauroso e apparire dietro ad ceso una 4via marittima che non attende se non !!» prora dei bastimenti. Partito il 3 agosto 1492, ai primi di marzo del l'anno seguente l'Ammiraglio è già di ritorno in Europa; il 25 settembre 1493 riparte per le Ani il le con diciassette bastimenti, una flotta; arriva un mese e mezzo dopo alla Guadalupa; e da questo momento, indipendentemente dalle altre cinque traversate che egli compirà in persona fra il 1496 e il 1504, l'Atlantico non cesserà più di essere solcato in ogni senso da caravelle di ogni paese. Adesso sì che la traversata la sanno far tutti:'ma è appunto il merito dì Colombo. Non potendo dir altro, per fargli torto, il suo lunatico biografo esclama, con una logica che farebbe invidia a Passarella, qualora non fosse aliena da ogni umorismo : « Se non la scopriva lui, l'America, l'avrebbe scoperta un altro (pag. 135) ». Non stento a crederlo. A Colombo spetta in ogni caso di più e di meglio che un semplice titolo di priorità: spetta il vanto di aver saputo fare della scoperta di Cuba e di Haiti, in un'epoca in cui le scoperte geografiche erano tutt'altro che una cosa originale, un avvenimento da non confondersi con nessun altro, un avvenimento uscente dal piano della oronaca quotidiana della navigazione per entrare sul piano della grande storia. In questo le sue stesse esagerazioni, i suoi stessi errori lo servirono. Senza le sue relazioni piene di fantastico e di pittoresco, l'Europa non avrebbe palpitato, il ponte fra l'antichità classica e il mondo moderno, che si chiamò Rinascimento, non sarebbe stato gettato, la geografia, da lui sottoposta a tante ingenue violenze, non sarebbe diventata quello che è, lo spirito scientifico, che pur era agli antipodi del suo bagaglio mentale, non avrebbe ricevuto l'impulso che ricevette. Nel farsi beffe del sognatore che s'illuse di aver scoperto tra le liane delle Antille l'uomo della Natura mentre non vi scoperse la patata nè il tabacco, Mario André gli rimprovera quasi di essere il capostipite della funesta famiglia dei romantici e degli utopisti, da Pietro Martire a Tommaso Moro, a Fénélon, e Rousseau, agli Enciclopedisti : ma non mi sembra che esser nominato padre dell'umanesimo sia poi da prendere a gabbo. Quale altro navigatore del suo tempo, quale Martino Pinzon, quale Alonzo Sanchez, quale Bartolomeo Diaz poteva vantarsi di aver destato l'entusiasmo di un Pomponio Leto, di un Ascanio Sforza, messo in rivoluzione le Corti, condotto Spagna e Portogallo a un pelo dalla guerra coloniale, ispirato apologie ai poeti d'Italia e di Germania? La Veridica avventura di Cristoforo Colombo, a dispetto di tutte le sue sottigliezze critiche, è un libro parziale, meschino e dalla vista corta. Poeta ispano-francese ma quasi più spagnolo che francese, l'autore ha voluto a tutti i costi lavare la Spagna di Ferdinando e di Isabella dalla macchia dell'ingratitudine verso colui che le diede un Impero. Non nego che in questo tentativo di riparazione storica possa entrare, insieme con molta passione, un legittimo scrupolo di giustizia. Ma quello che respingo è la pretesa assurda e puerile di fare di Colombo un incapace e un ciurmadore, la denigrazione sistematica sfogata come può, a prezzo di contraddizioni innumerevoli: ora accusandolo di far la tratta degli schiavi, ora rin facciandogli, o poco ci manca, di ignorare l'idioma delle Antille (pagina 131), ora rimproverandogli di avere abbandonato Beatrice Enriquez e il figlio avuto da lei, quel Fernando, nientemeno, che tanto farà per la gloria del padre dilettissimo, ora tacciandolo di ingratitudine e di bassezza d'animo, ora pigliandosela addirittura con Francesco Bobadilla commendatore di Calatrava perchè non lo fece fucilare dopo l'inchiesta di Haiti. Aberrazioni simili comprometterebbero meriti anche molto superiori a quelli che il libro dell'André' può invocare a propria discolpa Fortuna che, come dicevo, le aberra rioni dei critici non hanno mai impedito ai grandi uomini di restarlo. CONCETTO PETTINATO èmPHsPllncsmcfoseivcsE6rvgvgnvrdhvdRSbèirpddngfcLgbqccqsztitfPvcfidcssnEspdmspapqMcffiPtsl