Nelle colonie italiane

Nelle colonie italiane Nelle colonie italiane I Migiurtini debellati L'ultima fase dell'azione politico-militare condotta dal governatore De Vecchi Roma, 10 notte. Il Ministero delle Colonie comunica: « L'azione politico-militare svolta in Mlgturttnia, all'ultima fase della quale ha direttamente presieduto di presenza il conte Cesare Maria de Vecchi di Valcismon, governatore della Somalia, è giunta oramai a felice soluzione. Dopo la sosta consigliata dal periodo dei monsoni estivi, durante la quale si estese e si consolidò, da parte nostra, Voccupazione del territorio del Nogal sino al confine col Somaliland britannico e si rafforzò l'occupazione della costa meridionale del golfo di Aden, presidiando Bender, Ziada, Candala e Botiala, e spingendo un riparlo di osservazione ai monti Jearim, si ripresero, a fine novembre scorso, i m.ovimentl atti ad assicurarci il dominio della vasta ed impervia regione della Migiurtlnia. Due colonne di bande armate, partile rispettivamente da callis e da Dabil ai due estremi della vallata del Nogal, puntarono verso la valle del Darror, centro più importante di vita, di soggiorno e dì resistenza delle popolazioni migiurtine non sottomesse. La colonna, partita da Dabil, giunta nella zona di nudo Bender Bela, sosteneva alcuni vivaci scontri contro le forze di Herzi Bogor, riuscendo vittoriosa e razziando numeroso bestiame ai migiurtini. Dopo aver saccheggiato Bender Bela, la colonna ritornava a Dabil, conducendo seco il bestiame razziato. In questa scorreria la colonna subiva le seguenti perdite: morti 53, gregari feriti 57; mentre gli avversari perdevano 102 morti e un numero imprecisato di feriti. La colonna partita da Collis, giunta a Vrcurcar sul Darror, vi incontrava forte resistenza da parte dei migiurtini trincerati. La colonna si limitò a compiere razzie, e con un itinerario parallelo alla valle del Darror e fiancheggiando l'Oceano Indiano, rientrava a Dabil col bottino dei vari scontri e specialmente a Vrcurcar. La colonna ebbe 17 gregari morti e varii feriti, mentre gli avversari subivano la perdita di 25 morii e di un numero imprecisato di feriti. Le due colonne, riunite a Dabil e rinforzate di elementi regolari, marciarono di nuovo sulla bassa valle del Darror, all'inizio dello scorso gennaio, in concomitanza con una colonna leggera di regolari,*destinata a rinsaldare la Valletta stessa da Hafun a Sciusciuban. Questi movimenti si effettuavano felicemente e senza incontrare resistenza da parte dei migiurtini, che si dettero alla fuga all'avvicinarsi delle nostre forze. Fu soltanto tentato un ritorno offensivo, da parte di mezzo migliaio di armati contro la nostra recentissima occupazione di Sciusciuban. Tentativo infausto per l'avversario che fu respinto, travolto tn fuga ed inseguito, lasciando sul terreno 41 morti, mentre, da parte nostra, non si avevano a lamentare che due gregari feriti. Fra tante altre colonne, una risalendo la media valle del Darror e l'altra scendendo dai monti Carim verso sud occupavano Iradami, dove si rafforzavano senza incontrale resistenza. Di qui una colonna leggera mista di regolari ed irregolari era lanciala verso sud per tagliare la ritirala al Migiurtini sconfitti a Sciusciuban e fuggenti verso sud-ouest in direzione dei Somaliland britannico. La colonna riusciva a raggiungere la colonna bestiame dei fuggiaschi razziandone buona parte, battendo in breve scontro i difensori idi cui quattro restavano sul terreno) e riconducendo alla sua base il bestiame razziato con qualche centinaio di donne e bambini e pochi armati prigionieri. Da parte nostra, nessuna perdila. Mentre si effettuavano vane incursioni da parte di colonne leggere di regolari ed irregolari per spazzare da ogni residuo focolare dì resistenza l'impervio territorio compreso fra il Darror e la eosta meridionale del golfo di Aden e per ottenere una rapida consegna delle armi in tutta la regione occupata, si apprendeva che l'ex sultano del Migiurtini, Osman Mamud, rifugiatosi in territorio del Somaliland britannico, offriva di arrendersi alle autorità inglesi di Berbera. In queste ultime operazioni di polizia non si incontrarono che effimere e sporadiche resistenze, che valsero ai Migiurtini una decina di morti e la perdita di numeroso bestiame. Da parte nosta, nessuna perdita. I Migiurtini fuorusciti hanno tentato un tu torno offensivo nella terza decade di febbraio scorso, effettuando una incursione in direzione eccentrica, tra il Nogal e la regione di Obbia, e razziandovi il bestiame appartenente a popolazioni sottomesse e inermi. Il rapido intervento dei nostri irregolari ha potuto respingere l'audace incursione e volgere in rotta e disordinata fuga gli aggressori, ricuperando lutto- il bestiame razziato e conquistando 18 lucili. Dall'inizio delie operazioni sono stati ritirali alle popolazioni della Miglurtinia, 2500 fucili, e tutte le popolazioni slesse, eccezione fatta per gli armati, che hanno seouito l'ex sultano e il di luì figlio Herzi Bogor nella fuga e nell'esilio in territorio del Somaliland britannico, hanno fatto atto di sottomissione alle nostre autorità. Compiuto così il ciclo delle operazioni e dato un ordinamento amministrativo provvisorio alle regioni della Somalia settentrionale, il governatore De Vecchi ha fatto ritorno a Mogadiscio. (Ag, Stefani). n territorio dei Migiurtini si svolge nella Somalia settentrionale a cavallo del Nogal ed occupa la parte forse meno progredita di tutta la nostra colonia. La zona costiera del golfo di Aden a poni, e il sultanato di Obbia a sud, limitano la Migiurtinia ad una costiera poco portuosa ed a un retroterra desertico o coperto di boscaglie. La popolazione seminomade è però tra le più fiere e le più agguerrite di tutta l'Africa orientale e si esercita nette operazioni di razzia e nelle imboscate mantenendo quindi uno stato di guerriglia tra la stesse tribù. Gli elementi Migiuitlni che affluiscono volontari nei nostri reparti coloniali somali, si distìnguono per le particolari attitudini militari e par la speciale resistenza fisica. at i Restaurazione libica Quando, nel 1919, una serie dolorose dì rinunzie condusse al quasi totale abbandono dei- diritti italiani sulle terre di bia, si osò dire da alcuni, che la concessione degli Statuti alle due Provincie di Tripolitania e Cirenaica, segnava l'iniziceli una nuova era nella storia della colonizzazione, lì Italia si era messa alla avanguardia di questo rivolgimento dèi rapporti tra i popoli colonizzati . i popoli colonizzatori, e la sua opera non doveva tardare a portare buoni frutti nei territori coloniali delle altro potenze europee. Dallo insieme di questa complessa opera d'elevazione del mondo colonizzato, l'Italia avrebbe dovuto ricavare il più grande vantaggio derivante dal prestigio della sua felice ispirazione e dalla utilità della sua reale applicazione. Le vicende politiche militari che, dal l£j!9 ai nostri giorni, hanno fatto della nostra colonia mediterranea un campo di operazioni ■ di guerra e di continue provvidenze ricostrnttive, stanno a dimostrare eoe non si trattava che di una illusione, dietro la quale si nascondeva dalla parte dargli arabi la secreta aspirazione di demolire sin dove era possibile l'autorità ed 11 prestigio italiano, e dalla parte italiana la debolezza ad agire. Lo Statuto Ubico, trova infatti la impossibilità di applicazione in Tripolttania mentre si riduce ad una vera parata in Cirenaica così che ben si può dire di esso che le popolazioni indigene lo hanno respinto» i me/troTwlitarulo hanno sopportato per spirito di disciplina, il mondo musulmano ne ha dubitato circa la serietà; le altre potenze musulmane ne hanno sorriso. L'Italia era invero troppo giovane potenza coloniale per potere costituire un avvenimento di così radicale importanza nel processo evolutivo del fenomeno sociale della colonizzazione. Dopo la concessione della « Magna Charta ìxbica » come allora si chiamò lo statuto per sempre più magnificarlo, un ex ufficiale turco, cittadino tripolitano, ebbe ad esprimersi in questi termini parlando ad un alto ufficiale italiano : « Se S. M. £1 Sultano di Turchia avesse riunito il suo consiglio dei ministri, e lo avesse incaricato di fare una nota di tutti gÒ errori che la Turchia poteva desiderare di veder eom* mettere in Libia, quella nota non avrebbe potuto essere così completa, come quella che il governo italiano veniva in latto a realizzare ». In questo giudizio sintetico si riassume tutta la nostra opera compiuta sino alla concessione dello Statuto. Ma da quésta data, ultimi mesi del "1919, a quella dello avvento delle nuove forze rigeneratriol della Nazione, ultimi mesi del 1921, il passa non era eccessivamente lungo, e a renderlo meno penoso veniva a rappresentare l'I- * talia in colonia, un uomo che alle idee burocratiche dei precedenti governatori, sostituiva la più iarga visione dello spirito imperiale, il conte Volpi di Misurata. La ricostituzione della integrità territoriale della colonia sotto il nostro effettivo dominio, lo sbandamento della organizzazione militare indigena, la esemplare punizione di ogni forma di ribellione alla autorità sovrana del governo, e soprattutto la inflessibile volontà di realizzare interamente e senza esclusioni di sorta il dominio effettivo dell'Italia in ogni angolo del territorio libico, costituiscono gli aspetti fondamentali dell'opera che il Governo Nazionale ha prodotto in quelle terre restituendole magnificamente alle pacifiche attività produttrici. Pervenuti a questo punto di tranquilla operosità, quello che era stato il frutto di una ventata demagogica appariva non soltanto anacronistico, ma direi quasi offensivo alla ripresa tradizione di sincerità politica italiana, e il provvedimento odierno lo spazza via dal ricordo e dalla realtà non mai realizzata, senza onori e senza rimpianti, così come meritava, in virtù delie sue origini oscure e della sua essenza menzognera. Tra l'Italia potenza colonizzatrice e le due Provincie libiche, territori colonitzati, non esiste più lo spettro di un Eapporto incorto e indefinito come quello che lo Statuto veniva naturalmente a creare, ma all'opposto una chiara e netta visione dei legami di sovranità e di dipendenza derivanti dalla restaurazione dei rapporti giuridici e re3.li esistenti. Le basi del nuovo riordinamento sono infatti esposte nella stessa relazione presentata dal Ministro delle Colonie : « Ea collaborazione delle popolazioni al governo del Paese, va ristretta entro limiti speciali e prudenti, consentiti dalla attuale evoluzione storica senza danno per loro stesse e senza lesione della nostra sovranità ». In questi principi si riassumono tutti i concetti di estensività ai quali la collaborazione indigena può sinceramente aspirare, messi a raffronto con il grado di evoluzione raggiunto per assicurare lo svolgimento pacifico del progresso delle popolazioni da un lato e la salvaguardia degli alti interessi italiani dall'altro ». Dalla armonica fusione di questi due bisogni sovrani può risultare una sincera e proficua collaborazione. Una organizzazione sociale, rimasta ferma o comunque indietro di più secoli rispetto alle moderne costituzioni europee, non può senza grave pericolo per le sue stesse possibilità di vita, presentarsi da un giorno all'altro a cambiare radicalmente i suoi ordini sociali. Questa iUUeione nella, quale molti in Italia, credetteroattorno al F919, sarebbe forse il dono pRi funesto che una nazione civile col mandato coloniale possa fare ad nna sua colonia per quanto sorta sulle sponde del Medateraneo. Questa verità ispira- la odierna ricostituzione dei rapporti di dipendenza tra l'Italia e la Libia, e l'interesse dei' popoli colonizzati ne costituisce forse lo .bcoso principale. Ma vicino a questo, un'alt»o interesse vi è salvaguardato ed è quello delia Metropoli, la quale non può, per gli impegni assunti dinanzi alla storia é a tutti i popoli civili, abiurare ad alcuno dei suoi diritti sovrani. Cosi che il Governo conserva per se solo tutti i diritti legislativi lasciando alla collaborazione Sdigena un ruolo esclusivamente consultivo nei problemi volta a volta richiesti. Per tal modo Ut volontà legislativa si irrobustisce della consultazione localmente esperta senza nulla cedere della sua dignità e della sua austerità. Del resto, non bisogna disconoscere

Persone citate: Bender, Cesare Maria, De Vecchi, Herzi, Herzi Bogor, Osman Mamud