Molte storie, nessuna storia

Molte storie, nessuna storia Sulle antiche scene torinesi Molte storie, nessuna storia Durante ]a quaresima del 18G3, recitava al nostro c Gerbino » la compagnia di Alemanno Moredli. In quell'aano, Luigi Pietracqua, raggiunto ti meriggio della sua gloria per merito delle commedie dialettali, aveva tentato di coiiq:uititare un uo' d'alloro anche nel teatro « In lin;jua » (allora si diceva cosij affidando alla compagnia Morelli un voluminoso copione dal titolo t La Fame ». La sera della prima e unica recita lu imi disastro. Lo stesso pubblico che al teatro Hossiui avrebbe applaudito le tirate a maltatore e simpatizzato con l'intreccio popolaresco, si credette in dovere di accentuare il distacco e la nobiltà delle tradizioni del • Gerbino • con quel silenzio ostile che comiiwcia con lo sbigottire gli attori e quasi sempre prelude allo scoppio.di una grande tempesta. Infatti, a metà del terzo atto, bastò ' che dalla galloria calasse improvvisa la prima inliiinazlone di « bastai », che subito cominciarono le beccate le grida le interruzioni, e tra 1 urlo della generate soddisiazione ridiscese quel telone su cui, come tutti 6anno, era dipinta una fiera di villaggio. Pietracqua fu subilo d'accordo di abbandonare la partita- e di concludere l'incidente coti una o anche due bottiglie di barbera, ma il Morelli, generosamente, offeso dall'intolleranza dell'uditorio, avrebbe voluto che si andasse sino in fondo, rimandando, almeno la semenza all'ultimo atto. Bisognava parlamentare col pubblico, ch'è eempre stata una faccenda scabrosa.e arrischiata. Diuicóimente gli attori, anche i più colti, abituati alla parte, si avventurano ai pericoli del parlare all'improvviso ; i cosiddetti soggetti ch'essi 6i permettono, o che a quei tempi si permettevano, noci erano 6e non scarti preordinati dalla strada segnata. Giambattista Zoppetti, l'amministratole della compagnia, si volle far • coraggio, e, siccome aveva il vezzo di usa : per diritto e per traverso la parola «incompatibile», pensò li cattivarsi il pubblico cominciando col proclamare incompatibile la commedia del Pietracqua, cioè, Intendeva dire, non completamente suscettibile di compatimento. 11 che, del resto, era già l'esatto parere degli spettatori. Sventura volle però ch'egli pronunciasse « incompiatibile », e sollevò di nuovo l'uragano. Stizzito, per farei scusare, lo Zoppetti aggiunse : « Non si può sempre parlare ad hoc»; ma un po' per la concitazione e un po' per la sua pronuncia toscana, parve dicesse che non si poteva parlare ad oche. L'indignazione e fi baccano durarono dieci buoni minuti, e li troncò il delegato di servizio, che 6i presentò con la fascia tricolore a sciogliere l'assemblea con poche e sentite parole: « In nome della legge, vadano a letto >. La storiella si diffuse presto per tutti i palcoscenici e fu cagione che per molto tempo i capocomici avessero in orrore le allocuzioni alla rispettabile udienza. Pochi anni dopo, secondo quel che ci racconta Giuseppe Co sietti nei suoi Bozzetti di teatro. Luigi Bel Jotti-Bon prese in mano le redini di tre Compagnie (subito si ridussero a due), senti il bisogno di nominare -un proconsolo, precisemente per la compagnia che aveva mandato a Torino, e lo chiamò direttore di scena traducendo cosi, la prima volta, la parola rèuitseur in uso nei teatri francesi. Da allora tutte le Compagnie ebbero un direttore di scena, ma con fuzioni modestissime, tra le anali i capocomici non dimenticarono tuttavia la più pericolosa: proprio quella di parlare all'uditorio. . ••« GB infiniti episodi, che si potrebbero con molta facilità riesumare intorno alla vita teatrale di cinquant'anni sono, mostrano tut ti di quanta genialità spontanea e scapi gliata essa si. .colorisse, con i- suoi, attori -randagi," "còl suo abbondantissimo ed effimero repertorio, con le innumeri Compagniette di guitti capitaTrate da uno Zampampera, che a piedi conduceva da città a città i suoi scrìi turati, tronfio sotto le ali del cappello alla Bolivar, orgoglioso degli immancabili stivaloni alla Souvaroff e della pelliccia d'ermellino domestico, capace d'ispirare viva ripugnanza ai topi. Ruoli fl6Si: il padre nobile, l'amoroso, il brillante, la prima attrice, il tiranno, non erano in fondo se non nuove maschere che sostituivano le antiche. E guai ai tiranni. L'uditorio dell'« Arena del Sole », di Bologna, scamiciato e maestosamente disposto sulle gradinate circolari dell'anfiteatro, era famoso per la sua implacabile avversione agli attori che Impersonavano quel ruolo. Al tiranno Raimondi toccò 6ullo stomaco un boccale pieno di vino, mentre nel panni di Egisto, decretava la morte di Oreste e di Elettra Ignazio Palica, nella Merope, 6i vide arrivare ai piedi un Coltellaccio a manico fl6So, che si piantò per mezza lama sulle tavole del palcoscenico. Polifonte fu preso da tanto disgusto di tal dimostrazione che per quella sera non si fece pivi vedere neanche per farsi ammazzare dai littori, come era contemplato dalla catasi-nfc del la tragedia. Non tutti 1 pubblici, e tanto meno il torinese, avevano questa mentalità primitiva selvaggia ma peccherebbe di prospettiva chi si limitasse a narrale la storia di quel teatro c dei gusti del tempo col ricordo dei trionfi soltanto dei grandi attori. Quando la Compagnia Domeniconi correva i teatri della penisola l'idolo delle platee era il brillante Amilcare BeHotti, assai più della prime attrice e del primo attore, che erano Adelaide Ristori e Tommaso Salvini. Nò, per quanto quegli illustri nomi siano legati alla interpretazione di capolavori, si deve credere che quei pubblici dessero 1 loro compiacimenti soltanto alile imbandizioni di pcrnicL Come adesso, più anzi di adesso, il desiderio di novità promuoveva una certa larghezza verso la produzione nostrana e, più, verso la francese. Con questa aggravante, che la produzione francese era spesso tradotta dal suggeritore, in poche notti e per poche lire E cosi accadeva di sentire voltato • bouquin » in bocchino, la « rue dee Petto péres », in via del Piccoli peri, ■ les près de Satnt-Gervais », In preti di San Gervaslo. la • pèche du merlan », in peccato del merluzzo, le « boutades > in botte, e qualche altro granchio di consimile caQibro. Eppure era quello il tempo in cui le nostre Compagnie drammatiche precedevano o accompagnavano, singolari ambasciatrici di italianità, l'azione diplomatica della nascente Nazione, e Adelaide Ristori, Cesare Rossi, I Tommaso Salvini accendevano di entusia-1Bmo le platee d'Inghilterra, di Spagna, delle «h'^KiM -&S3& nta ai un arie cne oggi troppo ci s arianna a condannare come decrepita, e che dalla 6tessa. Russia sarebbe troppo corriva ad accogliere, per un onesto desiderio di rinnovamento, insieme coi' fulgori delle luci colorate e delle sintesi espressionistiche, a un prezzo solo col repertorio di Andreiev e di Cecof, anche gli infantilismi e le approssimazioni rudimentali ed enercrumene. ETano ouelli i giorni in cui Guittalemme toccava lo stremo della sua possa generativa allevando tra i nidiaci striminziti un'aquiletla destinata ai più superbi voli: quali auguste virtù eran dunque nascoste nella nomade razza per confluire sublimate nel prodigio di Eleonora Duse, insonne nei suoi colloquii col mistero e profonda rivelatrice delle umane passioni? Nobiltà d'Italia, che non teme gli agguati della povertà. E' una 6toria da fare. O meglio, nel vasto campo, che da un lato ò fiorito come un giardino Babilonese e dall'altro è orrido peggio della vigna di Renzo, non c'è se non Ila segnare strade e sentieri. Finora l'abblam guardato dal di fuori, contentandoci di ammirarne le efflorescenze episodiche; bisognerebbe ora compiere fi lavoro apparentemente più umile di ritracciare e scavare 1 solchi che uniscono le miserie con le grandezze del teatro Italiano. Ora che 1 cultori di questa branca della nostra attività si riducono tutti olla critica estetica, par d'assistere a un banchetto di soli pasticcini e di champagne Guardare In alto, sta bene; esplorare attorno per tutti i teatri del mondo, va benissimo: ma tener saldi i piedi sul teireno che è nostro. Se è fuor di dubbio l'u- tliità di confrontarci con gli altri popoli, inon minore sarà il vantaggio di eseguire la ;6tessa operazione con noi, e cioè ài narrarci ' prima, senza voluti lnflngimeatt o p&rzi&tt 1 cecità, la nostra 6toria teatrale più prossima: le vicende di una compagnia drammatica, la parabola di un'attrice o di un attore dagli umili cominciamenti all'apogeo dei trionfi (riprendendo e completando 11 Dizionario di Luigi Rasi), là vita di un teatro per un decennio almeno, ma con metodo, con ricerche esaurienti negli archivi e nei giornali il oli'epoca, con quel rigore che per esser caduto di moda non ha perciò nulla perduto della sua nobiltà e del suo interesse. Si pensa, per esempio, alle sorprese che recherebbe una rievocmrtone analitica di un periodo qualunque del nostro glorioso teatro Carignano. Non facile tuttavia; unica fonte le pubblicazioni periodiche poiché sventuratamente e inesplicabilmente quel teatro non ebbe miti un archivio. Nel « Teatro italiano dea 1800 », titolo pomposo ma farragginosa materia, cosi come nei citati • Bozzetti • di Giuseppe costetti, trovi molte storie, non la storia, * # Oh, anche uuellc son piacevoli e istruttive, bisogna convenirne. Per citarne .una che riguarda il Carignano, il Costetti, narra che rranoesco Righetti, già direttore della compagnia Reale Sarda, e locatore del nostro aristocratico teatro, un bel giorno fa conti fatti, ciò doveva accadere nel 1856) mise il veto alla rappresentazione di un dramma, « U segretario Morville » di Andrea Codebò. Questi, allora capitano dei bersaglieri e testa vul canlea, precipitò dalla nativa Modena a Torino, si presentò al Righetti e gli pose 11 dilemma: > O lasciar rappresentare il mio dramma, o battersi ». n Righetti, 11 per 11, scelse 11 duello. La mattina dopo, convegno nei prati attigui al Camposanto. Scambio di quattro pistolettate. Al quarto colpo, Righetti lasciò cadere la caramella che portava sempre all'occhio, e rivolto ai padrini disse freddamente: «Farò recitare il dramma del siff. Codebò ». Riconciliazione generale; colazione al caffè del Cambio. Poche 6ere dopo, il Segretario Morville reggeva fino alla metà del secondo atto e poi cadeva definitivamente morto davanti alle pistolettate del pubblico, ONORATO CASTELLINO. I

Luoghi citati: Bologna, Camposanto, Inghilterra, Italia, Modena, Russia, Spagna, Torino