Ottocento europeo

Ottocento europeo Ottocento europeo Eohi un secolo, con il quale i nostri canti spirituali sono tuttora aperti, e della oui dittatura non è mai vano parlare. Secolo spaventoso, torbido, e tragico, nato da ima rivoluzione e spentosi in una carneficina, popolato di giganti 'e di pigmei, ricco d'idealità e d'egoismi, sonoro di tamburi e di canta, ora trascinato ad avvoltolarsi nella melma del naturalismo e dello scetticismo, ora innalzato sino alle vertiginose chiarezze dell'assoluto; secolo magnanimo e folle, dei Cui preetiti viviamo ora per ora, pieni dell'autoritario suo fascino, nonostante qualche parvenza di nostra ribellione. E' U secolo della Corintie (1807) della Staél e del Primato (1843) del Gioberti; della lettera semiseria (1816) del Berchet e della Profane al Cromwtl (1827) di Viotor Hugo; è il secolo di.Stendhal e dà Sainte-Beuve, di Manzoni e dd Leopardi; è il secolo che ha concretato l'aspirazione romantica e antìarcadica del Settecento; è il secolo in cui pare che in Wilde abbia trovato sbocco ìa Ragion Poetica del Gravina; è il secolo di Pietro Giordani, cioè del disfacimento della critica clàssica; è il secolo di Foscolo e di Mazzini, di Shelley e di Flaubert; è il secolo, sulle cua estetiche gravano le forze poetiche di Doetoiewski e di Ibsen, di Tolstoi e di Gogol. Cioè, è un immane e tormentato orogiolo, dal quale, come raffica di vento bruciante, è balzato fuori vittorioso uno spirito nuovo, e uno stòle ; di cui gl'influssi furono prepotenti e tuttora vivi, e contro cui le ribellioni sono state vaste e palesi. In Francia, si chiamarono esse con vari nomi di fraterie letterarie; ma la rivolta all'anima dell'Ottocento fn essenzialmente una levata di scudi contro il poeta della Legende dei Siede»; da noi invece, più che contro il Manzoni, la reazione ebbe per bersaglio il Leopardi. Arrivati a questo punto conclusivo, noi dobbiamo constatare come lo spirito della nostra epoca letteraria sia vivo ancora, e più oggi che ieri, del travaglio di quel secolo, che Leon Daudet ha chiamato, con irriverente derisione, le Stupide XIX Siede; e come, dopo la parentesi e la eresia crociana, e dopo i lussureggianti pannelli decorativi dannunziani, il ritorno a Leopardi non abbia che un unico e sostanziale significato: quello del ritorno, pensoso e reale, a un'arte, contraria all'eloquenza, ari ti razionale, e di nafcars speculativa e trascendente. Perciò, i problemi più vivi e combattuti dell'Ottocento letterario e morale sono attualissimi problemi, e investono molti di quei tentativi di creazione, di cui siamo spettatori e attori ogni giorno, tento cho non possiamo, nè sappiamo distaccarli dalle anime nostre, pressoché definiti e cristallizzati storicamente in un secolo, attraverso uomini e opre. Noi siamo, come sostenne recentemente in un notevole saggio critico Pietro Mi gnosi, gli eredi dell 'Ottocento, gl'interpreti ultimi di quel dramma romantico, che, nato dJle battaglie della Biblioteca Italiana e dello Spettatore, non s'è concluso, attraverso il Grossi, il Pellico e il Torti, nè con l'opera del Manzoni, nè con quella del Tommaseo, nè tanto meno con 1 'antiromantioismo del Carducci, ma continua a riempire di se le irrequietezze, le nostalgie, e le avventure retoriche e stilistiche della maggior parte degli scrittori contemporanei. Uno di questi, il più martoriato e il più vivente nel ritmo della nostra tradizione, è Giuseppe -Antonio Borgese. **• Ned non crediamo che il romanziere del Pube o il tragedo del Lazzaro abbiano fatto dimenticare 0 critico della Vita e il Libro o del Mefistofele. Se ciò fosse, ce ne dorremmo, poiché in un'età critica in oui i giovani critici puri furono più crociani di Croce, cioè superarono il cosidetto pregiudizio desauetisiano, per rincorrere il puro frammento, il puro verso, il puro suono, e per sostituire alla critica romantica la critica idealistica, soltanto Borgese seppe salvarsi dall'intellettualismo, e ricreare l'opera d'arte, superando l'estetica do] Croce, cioè l'estetica del dannunzianesimo, e riallacciandosi a quel punto della oritioa del De Sanctis, ove esaurivasi la critica romantica, e aprivasi la via alla restaurazione del sfuso classico dell'arte. Perciò, mentre i critici puri si rifacevano, stale e anima, sopra la filosofia crociana, il Borgese invece risaliva il corso del secolo, e attraverso i Sismondi, gli Schlegel, i .Boutorweck, su su sino al Mazzini, al Foscolo, al Rosmini, al Manzoni, che Borgese stesso chiama fiumi tributarli del De Sanctis, giungeva sino al Romagnosi, sinoal Breme. In tal modo, egli si prospettava, e sperimentava in sè stesso, tutti quei problemi della critica romantica e classica che parevano risolti e superati dalla Filosofia dello Spirito, e si ribellava « a una concezione strumentale e subordinata dell'arte» (nuova prefazione della Storia della critica romantica in Italia). Cioè, egli si lega alla prassi critica del De Sanctis Da ciò i'importanza di Borgese critico; da ciò, la vitalità spirituale di questo Ottocento Europeo (1), il quale si ricollega ai tre tomi di La Vita e il Libro, agli StuJi di letterature moderne, e a Tempo di edificare. E perchè non alla Storia della critica romantica, che pare a bella posta dimenticata dal Borgese nella prefazione? Non fu essa Storia a risolverci il problema fondamentale di quel secolo XIX, che, anche Be studiato negli svolgimenti avutisi in casa nostra, respira e s'uniforma al clima letterario Europeo? Noi erodiamo che tutto lo spirito oritico del Borgese, e i modi con cui esso si svolge, ai trovino già in potenza entro le pagine e le idee della Storia della critica romantica ; e che chiunque voglia prospettarsi il punto di vista storico ed estetico del Borgese, naturalmente poi maturatosi e schiaritosi, debba mettersi in quella luce polemica e ricostruttiva, da cui la Storia nacque. Perch'., ne critico esiste che perpetui i dissidi, le aspirazioni, le volontà concrete dell'Ottocento, quest'uno è proprio Borgese. Naturalmente, i saggi e i profili, presentatici in quest'ultimo volume, se vivono nell'atmosfera ristretta e caratteristica di un secolo, non hanno la continuità di trattazione della Stona, nè voglionoo averla, con lo scopo di giungere a una sintesi definitiva dell'Ottocento, tanto più che da esso talvolte . Borgese stesso evade, trattando di Kant, di Pascal, di Shakespeare, anche se a proposito di stu<li dovuti a scrittori dal secolo XIX. Tuttavia, l'anima dell'Ottocento è qui presente e reale, cioè cosa viva e anni odiata e già scoperta, nella cui luce ogni scrittore, sia Sainte-Beuve o .Gobi- deqngvtstvccdm neau, Shelley o Kledst, s'inquadra e si definisce. Ciò si deve a una unità d'ispirazione, per cui al critico puro si sostituisce a volte lo storico e il realista, mosso dal desiderio di comprendere in un artista una epoca, e i mille perchè dei rapporti tra quello e la storia. Fu questa la qualità più naturalo, diremmo quasi istintiva, del Borgese. Amor di lettura e di comprensione; volontà di capire e di definire. Non la critica umanistica e frammentaria ; non il gusto passivo di ohi estrae la pietruzza solitaria dalla ganga dell'opera d'arto; non la volontà di sezionare e magari di violentare, con il cosidetto metodo estetico, la realtà del]'arto; ma la necessità di aderire al complesso del fatto artistico, quasi ' fuori dalla chiusa prigione dello stile, ma entro la sostanza, entro lo spirito particolare' e universale. Cioè, il superamento di tutto oiò ch'è liricità pura, per giungere al caratteristico, alla forma viva, ch'è poi l'unica verità, anche filosofica, dell'arte, alla lirica piena e assolute, quella cioè ohe risolve totalmente in sè il fatto espressivo, quandi nè * fanciullino » nè « grande artiere ». E nemmeno, critica totalmente desanctisiana, cioè una creazione a posteriori. In Borgese, il fatto critico è passione, è empito di vita, gagliardi» sintetica, godimento più sensuale ohe intellettuale del fatto artistico. Nessuno più dd lui seppe far vivere nell'articolo il libro, dimostrandosi un violento, talora eccessivo, ma sempre affascinante e pittoresco saggista. In codeste virtù, c'è qualcosa che lo avvicina a certi critici francesi moderni, a Ramon Fernandoz dei Mcssages per esempio, i quali hanno imparato l'arte del ritratte da quel de¬ monio dd casa, ohe ha nome Sainte-Beuve. Il giornale gli ha fatto la mano alle sintesi, alle conclusioni; lo ha liberato dagli mutili pettegolezzi, dalle astrazioni, dai deviamenti letterari ; gli ha dato la consapevolezza d'essere un oritico più che un filosofo, un esemplificatore più che un teo- razzatore. Questa fu infatti la missione di Borgese critico, la quale anche ora rimane principalmente affidate ai tre tomi di La Vita e il Libro, ai quali, ancora oggi, dobbiamo ricorrere, se vogliamo avere un quadro completo ed efficace dell'arte della terza Italia. »% Dobbdam dire ohe qui, ntfil'Ottocento Europeo, il compito era più scabroso. SainteBeuve non è un Papini; Flaubert non è un Fogazzaro. I colloqui sono rivolti ad maestri, non agli scolari ; nò si parla di vane esperienze, ma di conclusioni. E critico deve giudicare l'arte non nei suoi trapassi evolutivi, ma là ove pare s'adagi contemplativa e pura, sui vertici dell'ascesa. S'è più facile 1 elogio, è più difficile la comprensione ; s'è più naturale la via ammirativa per la bellezza estetica, è più tortuosa e traditrice quella ohe mena sa valori storici Guai se in Borgese fosse la tendenza al generico, all'approssimativo; s'egfi amasse più di generalizzare che di concludere; di fermarsi più sull'artista che sull'uomo. Egli non comprenderebbbe nè il c cappotto » di Gogol, nè i c Karamazof » di Dostodewsfci, nè il diavolo dd Andredef, nè quello di Chamisso. Tanto meno poi, egli sentirebbe l'assolutismo di Pascal, dì Paiohari, di Towionski. Ma Borgese ha la fortuna o il dono d'essere sgombro di p recen¬ cotti, d'essere obbiettivo e sereno, di rifarsi, diremmo, puro davanti all'arto e all'artista, sì che £1 fenomeno oritico è assai più che un temerario momento intellettualistico, la cui falsità sarebbe evidente, ma {ina unità per sè stessa artistica e peraua- siva. Dobbdam dire, però, che da ciò non è sn- sente il temperamento di Borgese. Lo dobbiamo ricordare meridionale, siciliano, la* tino, cioè per clima obbediente alla chiarezza, alla cosa concreta ed esatta, alla classi cita per elezione. Critico nato dal romanticismo, formatosi sopra il Croce e ricreatosi sopra il De Sanctis; romantico anche come scrittore in proprio, nel senso dell'intima scontentezza, e nella ricerca del trascendente (si ricordino <i questo ponto le suo adesioni, e studi, e riferimenti a recentissime esperienze mistiche !) ; romantico insomma in senso leopardiano, cioè non nella risoluzione, vera e propria, dialettica del pensiero del Leopardi, bensì nello sviluppo e nel suo prender coscienza attraverso lo Zibaldone; nonostante tutto ciò, il Borgese tende a una serenità comprensiva e contenta, a mia predilezione per quelle pagine inclinanti alla classicità, la quale sia, non forma, ma concrete umiltà spirituale, e quindi verità, legge universale ; cioè egli ha in se, radicato e profondo, il travaglio pdù rappresentativo e vitale diquel secolo XIX, da cui egli s'è lasciato sedurre in gioventù, e in questi anni dd romantica, tormentata maturità. GIUSEPPE RAVEGNANI. (1) G. A. BoRGraE: Ottocento Europeo. — Milano, Fratelli Treves, editori, 10S7. L. K,50.

Luoghi citati: Breme, Francia, Italia, Milano