Festival alla Fiera

Festival alla Fiera Luoghi di danza Festival alla Fiera liuogo d'orrori, diceva quel poeta, la Iflora. H poeta esagerava. Era un melanco- . nioo di natura, poi morto appiccato ad un ;fanale; e in verità non sono poi così tetre, cosi spaventevoli le fiere di piazza in carnevaie. Pesano, questo sì: e allora il baraccone dove ai balla, il « Festival » immancabile al riparo d'un tendone da Circo, diventa il rifugio più conveniente di eosta, d'alleggerimento, di riposo. Strano, non è vero, un luogo dà riposo dove non si fa che muoversi} Eppure è così. Perchè lì il movimento è ritmico. Perchè c'è una musica, per orrenda che sia, che ordina i passi, gli atti, i pensieri Super /lumina Babylonisl E' il triclinio ldegli stracci; è la casta orgia del povero. ' Sempre rivediamo il Festival ad ogni ri¬ torno carnevalesco : a Porta Genova, a porta Vittoria, a Loreto. Riohepin si la' gnava di non ritrovarne più, di questi balli plebei che nessuno seppe cantare come lui,. Bella sua vecchia Parigi. Da ned hanno sopravissuto a tutte le restrizioni, a tutti i divieti: a . quello delle maschere come a quello dei dancings. Da noi, come in Germania. Cè infatti un pittore tedesco, lo Sohoelt, ohe passa la vita a dipingerli;, come da noi, morto il Bonzagnd, c'è il Ferruzzi che si diverte a disegnarne d'ogni sorta. Io ne ho visto uno, una volta, da un aeroplano. Era di giugno. Ballavano all'aperto. Se dovessi rischiarmi a dipingerlo, quale me lo ricordo, dovrei figurare una specie di trottola gigante, frustata rabbiosamente da un diavolo invisibile. Rumore di tempesta, dal di fuori. E trepestio suggerisce l'idea di un'immensa baruffa senza grida: una di quelle risse a coltellate ohe s'impegnano nei borghi sottovoce, per non dar nell'orecchio alla questura. La gente entra in folla, dibattendoai ; ma subito spare in ima sorta d'imbuto, quasi inghiottita da un gorgo. C'è nna gran tenda, v'ho detto, come quella dei circhi. Meglio: come quella delle carovane. La vicinanza dei serragli, da cui viene il renio dei leoni, e l'afa, e l'odore, aumentano la somiglianza tropicale. II pestìo dei passi è immediatamente soffocato, di dentro, da trombe e trombette. Buone, la celebre banda del « Tirazza ». Che però adesso — sogno dei tempi — non è più così rudimentale, e ha scritturato persino un saxophon. Odore. Sudore. Braccia pelose. Coli rossi La massa appesantisce 1 movimenti ; li irrigidisce in guisa che si direbbe un ballo di atassici ; o una danza di fatica, di pena, imposta alla torma servile da un cattivo signore. Dentro il baraccone, a fermarsi, c'è da crederci sommerai in un'acqua di roggia. Non si respira, quasi. Troppi, troppi, in così piccolo spazio! Ma i ballerini non sembrano avvertire nè contatti uè spinte. E girano. Girano. Sussultando, in cadenza, come i dannati nel pentolone che ci mostrano le vignette rustiche dell'Inferno. Par di vedere, stando un po' discosti, l'alzarsi e abbassarsi del bollore. Ma se guardo i ballerini negli occhi, ad imo ad uno, scopro invece tanti segni di beatitudine. E' l'orgia degli stracci. E' il baccanale degli innocenti. Un'estasi giratoria, un'ebbrezza ingenua di giostra, ha preso tutto ' le facede. Si scoprono, guardando bene, strane grazie, rudi eleganze. Qualcuno balla squassando il ciuffo; altri con la giacca sul braccio, in balda figura dS ussari dalla mantel'lotta. Una ragazzetto livida e viva, dagli scatti di serpe, tiene una scorza di limone tra i denti. Al banco, dove si ricevono i proventi, hanno messo una negra ossigenata. Uno scherzo. La negrezze blonde del romanzo comico; l'unico africano di questo dancing senza paradossi e senza vizi. Nella banda dal c Tirazza », mori non ce n'è. Presso la negra, intontito sopra una seggiola, sta un bambino di tre o quattri anni, con una caramella in mano. La musica ha un contrap-Sito continuo, curioso: come d'un cernette di bronzo, come di monete contate. Che sarà? Di sotte, è un quadro del Goya. Piazzato com'è tra una confetteria di zucchero filato e un Teatro delle Pulci — che non deve averle requisite tutte — il Festival raccoglie i sentori acri e caldi dello zucchero arso e le nasalità armoniose delle giostre. Là dall'alto, lampade senza paralume, ondeggianti come sopra una tolda, danno mandato di luce frédda, inferma: ma c'è, ogni tanto, cioè ad ogni principio di ballo, un fanale da cannoniera che ai accende ronzando, e sprazza, fende, irrompe qua e là con sciabolate abbaglianti. Intorno, ai vendono gazose e semi tosti. Come i piedi pesti e i gomiti ned Banchi sono sentiti, qualche volto, anche qui, c'è sempre qualcuno nella calca girante che fa uno scarto di mulo frustato: e allora lo sballottìo si propaga, ma è un attinto : e il ballare uguale riprende. Però si può essere urtati apposta se ben vestiti — perchè qui è l'abito a modo ch'è contro il buon gusto • — oppure se non ai balla : astensione che denùncia subito l'intruso. Chi non balla aFestival ha sempre l'aria di spiare qualcuno, o di rubare qualche cosa. E' come il non scoprirsi del miscredente. Perchè anche la danza ha le sue chiese. E questa è forse la più ortodossa; forse la più devota e rigorosa di tutte. Perchè qui, veramente, si baila. Come natura vuole; e come tradizione comanda. Delle danze nuove fu accettato, appunto, quanto la tradizione consente : la jawa, perchè è ancora la polka; ì'one-step, perone è ancora la marcia. E il tango, anche, perchè è triste e cdò ch'è triste è sempre caro all'anima oscura; e poi perchè permette di cantarceopra quelle canzoni tragiche e sceme chi ■ fini dicitori » di café-chantant hanno adattato al ritmo eriollo. D'altra partenon è il tango venuto dal trivio : anzi dalltenda dei vagabondi — come ci han ricordato, in Barranca Abajo, gli attori argeni tini del Da Rosasi Le danze ohe il Festivanon ammette sono lo shimmy, V he sitatimile danze dagji indugi perfidi, dalle rivulaironiche, dai sussulti viziosi. Ma il caronesto waltzer, che altrove tutti han ripudiato, quella vereconda valse bianche chMaria Ley sospira invano di ridonare agluomini in festa, ha qui ancora, ogni notteil suo trionfo: nel raggio di tre lampadtraballanti, nell'odore dei semi tosti e dellzucchero filato. Stranissima sorte, questo waltzerl E' finn to nel '14, con la guerra. E' morto, proprio quando si cantava — ricordate? — « la vita non è ohe un waltzer >. E' spirat trovando una voce. Ed è molto, il viàltzer del bel Danubio azzurro, con la morte di un impero ; oosi com'era defunto un altro impero, nel '70, con l'agonia del canc-can di Offenbach. Una danza è spesso il tributo d'una disfatta. Da otto anni, e cioè da Vittorio Veneto, le onde del bel Danubio bleu han cessato di fluire e di rincorrersi in « due e tre »; ed altri flutti, in diversa misura, hanno preso a scorrere sul bell'azzurro Miasissipi. Osservo le ballerine. Brutte, in genere. Ma qualcuna è sorprendente. Una gira da un'ora, senza aver riposato un istante, in una frenesia allucinata, con addosso una gran veste negra ricamata d'argento come e e è e a a a i e o , a l e o e i , e o n — o una coltre funebre: chiusa, truce; e non guarda in taccia a nessuno. Un'altra indovino: piccoletto, ondosa e tortuosa, sì che il flutto abbagliante del grande fanale pare, investendola, debba spazzarla via : e si vede quella cosina viva perdersi; ma poi riapparire, portata su dall'ombra in un altro guizzo, come le monachine del caminetto.' E una terza, ecco- una che balla divinamente, pur ballando a un modo ohe certo nessuno le ha insegnato; ma vorrei la vedessero, in questo momento, la dama che inaugura la danza up to date nel suo salotto, o la danseuse illustre dai capelli verdi e dal pedicure cinese. Gli uomini sono più scoloriti : piccola gente di fucina e di botte ga : la solita degli idillii suhurbiani e delle fotografìe in due, con le mani nelle mani; candida clientela dell'organetto e della fisarmonica, che si diverte abbastanza solo perchè ai diverte di rado. I domestici degli altri dancings vengono a ballare qui, nei giorni liberi; e qui, il lunedì, parrucchieri e calzolai : portandovi, i barbieri, il sorriso professionale e i baffi che sanno di vaselina; i ciabattini, le gomitate avvezze allo spago e al trincetto. E poi, i soldati. Tutti i soldati oggi ballano: anche perchè il ballo popolare è tornato ad essere marcia. Andare, andare, anche pestandosi i piedi. Non si andava più a questo modo, dal tempo dei moschettieri e della courante. Ancora i tempi sono animosi : e perciò è morto il waltzer, troppo languido pei guerrieri. Tango. Jawa. Gne-step. Andare. Sento le chiavi mal chiodato cigolare sotto trecento paia di scarponi. Andare sempre. Del resto, almeno in questi luoghi, il ballo è salute. Una volita ai balli popolari ci andavano, un po' per gusto un po' per igiene, anche gli artisti. L'ultimo, dodici o quindici anni fa, fu il pittore Barella. Aveva avuto un'affezione polmonare; e non so quanti sbocchi di sangue. Una volta un amico lo trovò, fuori porta, che andava chissà dove, di corsa. — Dóve te veti Vóo... vóo... vóo tisich! — Era, più precisamente, diretto ad un Festival. Poiché al Barella, batteur appassionato e valentissimo, non piacevano che questi luoghi di danza; immaginando d'avere i giorni contati, voleva almeno morire in laetitia; ballare sino a perderci l'ultimo fiato. Morire come i dervisci. Come le falene. Ma non gli riuscì. Anzi il ballare gli fece bene; e guarì ; e come in tutta Milano s'era parlato della sua terapia straordinaria e delle sue grandi virtù di danzatore popolaresco, trovò anche un impresario che lo scritturò per baUare in pubblico, e così gli fece l'esistenza comoda, oltre che garantita. Oggi il Bareila non balla più; però gode lo stesso una salute di ferro. n cavaliere, al Festival della Fiera, abbraccia la sua dama come fosse sua per la vita. Con riguardo: badate. L'allacciamento non è mai lascivo, nel ballo plebeo. Ma ballare è come amare, per questa gente; una cosa seria; e una cosa d'elezione. Perciò ogni cavaliere è intento alla sua donna con duro cipiglio e narici palpitanti, tenendola distante dalle braccia e però ben ferma per i polsi : amata, e domata ; amata, e rispettata. E le donne, le vedete. Ballano, sì, con abbandono ; ma senza peccato. Contatti protorvi non ci sono, perchè non ne vogliono. Le confidenze aumentano, generateti ente, quanto più la danza è di lusso. Le confidenze, e le confusioni. Confrontato il Festival di Porta Genova al dancing della spiaggia. Qua dentro, benché l'ingresso sia libero, non si balla impunemente con chi si vuole e come si vuole. Ma le attrazioni sono immediate, e le simpatie esclusive, e le gelosie pronte, e le liti prontissime. Questa folla è indifferente a chiunque entri: ma può rifiutarlo con la stessa facilità con cui l'ha accolto ; ed espellerlo. La selezione è immediata e indiscutibile. Non vi sono presentazioni, nè occorrono cerimonie per gli inviti a danzare: ma ognuno intende, subito, ciò cui ha diritto, e fin dove. Il litigio non può sorgere allora da un equivoco, ma soltanto da una ribellione a questo legge tacita, eppure evidente; inespressa, eppure imperiosa. A chi non voglia, qua dentro, nulla la danzatrice concede: nulla, fuorché un movimento : e allora l'estraneo se ne va. Anche s'ella non ami nessuno, non potrà dare a costui, ballandogli insieme, che un silenzio ostile: di rancore, quasi, per la libertà ch'egli si prende tenendola tra le braccia. Ognuna non è fedele, entro il baraccone tempestoso, che all'uomo del suo passato ; oppure al ritmo che la chiama, e al quale castamente, austeramente obbedisce, secondo una pura legge di musica. Qui insomma butto è mesto, benché faccia un gran caldo, e un umorista abbia detto che l'alta temperatura dei ritrovi di ballo tende ad allenarci al calore dell'inferno. Tutto è per bene, benché in qualche cadenza più affrettata si scoprano faccie ribalde, nodi minacciosi di muscoli, e gambe femminili da lottatrici, ecoperto sino ai morso della giarrettiera. Appena ritrovonella torma roteante, la mia piccoletto ondosa e tortuosa. E' colei ohe ballava, ' ohe balla così bene. Eccola. Perduta là in mezzo, come la perla nel gorgo, -sembra danzare per sè sola. Ed è bella. E* divinaIn quel suo sorriso ermetico, fiera e cattiva, mi ricorda le antiche de-vadassis, datriei solenni d'armonia, custodi di cadenze'^Colef^che girava come nna spiritata s'è fermata, finalmente. La vedo, in un canto, slacciarsi il busto nero e argento. Scopro un profilo incupito; e, un momento, il roseo d'una spaila perfette. Cerca qualche cosaUn coltello} No. Una pulce. Rinchiude la veste, e si rituffa nel vortice. La musica accenna a riprendere. Ripassa sulla folla il raggio balenante, il riflettore da cannoniera. Ora ho capito il suono di quel cembaletto di bronzo ohe accompagna, continuo, le danze con un tintinno- cadenzato di moneta. E' lo scotto che i ballerini pagano, e ohe la negra bionda, al suo banco, incassa. Senza batter ciglio. Senza riposo. Ogni giro, cinquanta centesimi. Il raggio della cannoniera cerca di scovare, nell'ombra, coloro ohe non pagano. Galop finale. Un subisso. Un mailstrom. B. c Tirazza » imperversa. Una specie di lirismo selvatico si sprigiona dalla turba, tornata integralmente alla sincerità ed all'istinto. Velocità furiose, pazze. Mi ricordano quelle « danze invisibili » del Tibet in cui il danzatore, nel moto febbrile, si cancellava. E scatti. E balzi. Mi ricordano quella novella della tolda infiammata, che faceva saltare i fuochisti ignudi sul metallo rovente. II cembaletto delle monete s'è interrotto, un istante. La negra bionda ne ha trovata una sospetta, e la morde per sapere ae è di stagno. MARCO RAMPERTI.

Persone citate: Abajo, Banchi, Barranca, Goya, Offenbach

Luoghi citati: Germania, Milano, Parigi, Tibet, Vittorio Veneto