L'unica opera teatrale di Beethoven rappresentata al "Regio"

L'unica opera teatrale di Beethoven rappresentata al "Regio" L'unica opera teatrale di Beethoven rappresentata al "Regio" Fidelio è da ascoltare con tenerezza e con gioia Nulla di <( muovo » nel Fidelio, dicevamo ieri, concludendo intorno alle derivazioni storiche del tema e alla stesura; ma ovunque, nell'opera, l'affermazione del gusto tedesco, e la più forte affermazione del teatro tedesco fra II flauto manico e 11 [ranco cacciatore, l'ultima opera di Mozart e la prima, veramente romantica, di Weber. Mozart e Cimarosa Infatti pochissime sono le risonanze italiane nel Fidelio. Assai più ve n'è, ad esempio, nella musica strumentale e vocale di Mozart, il quade creò in un ambiente italianeggiante e ne assorbì i caratteri. Beethoven sorgeva invece nel declinare dei maggiori astri del settecento italiano; cruem ancora viventi potevano suggerirgli soltanto qualche reminiscenza della loro antica arte. Si intravede, qui una vezzosa eleganza cimarosiana, là un languido spunto paisielliano, echi di musiche assai diffuse nel mondo musicale viennese. Vi era bensì un italiano che procedeva accanto a Beethoven e che con ricco talento ed espertissima mano largamente produceva opere sinfoniche e teatrali di immediato ascendente : Cherubini. Si può discutere se qualche influenza scambievole operò su i due contemporanei; se il quartetto a canone, il terzo frammento del Fidelio, inspirasse un uguale pezzo nella Faniska di Cherubini, o ne fosse, per un'indiscrezione o per un caso, inspirato; se certi schemi ritmici strumentali, incisivi, drammatici, passassero dall'uno all'altro compositore 0 non fossero già nell'uso comune di quel periodo. Certo è che appena da queste apparenze formalistiche si scende al,. cuore della musica, il divario dei contenuti si fa evidentissimo, e come si constata che fra 1 due quasi contemporanei quartetti a canone (Faniska seguì di tre mesi la rappresentazione di Fidelio) non v'è analogia sentimentale, così si fa immediatamente chiaro che nell'opera beethoveniana domina lo spirito dell'autore dell'Eroica, e che le rare risonanze italiane sono puramente occasionali. Così come occasionali sono certe reminiscenze mozartiane; più sensibili quelle offerte dai personaggi di MarcelMna e di Jaquino. E nell'osservare ciò ci si dà contemporaneamente ragione della cosa. Un che di convenzionalistico agì sul Beethoven teatrale. L'innamorato sospiroso e corrucciato, la giovanetto, che lascia un amore per un altro amore ripetono situazioni sceniche squisitamente mozartiane, sono gli innamorati /In de siede di Cimarosa e di Mozart? La loro espressione musicale è esattamente del 1790, sta fra l'aria teatrale mozartiana e il Wiener Lied del tempo; presentimento romantico nella sensibilità settecentesca. Tale carattere serbano il canto di Marcellina e quello di Jaquino non solo nel brioso loro primo duetto, ma anche nell'aria di Marcellina, e, in generale, durante tutta l'opera. Indagini sentimentali Superate le prime pagine, il gusto tedesco informato di romanticismo diventa via via sempre più evidente, e con esso si afferma sempre più lo spirito drammatico di Beethoven. Dalla malinconia, cui ancor sorridono l'amore e la speranza, all'angoscia, al conflitto delle passioni. Ed ecco, innanzi tutto, il quartetto. Il compositore lavora d'ambiente e di dettagli. Le otto battute del canto appassionato delle viole e ded violoncelli sul pizzicato dei contrabassi diffondono con il sensuale piacere delle belle armonie l'ideale espressione d'un mondo sentimentale. E' un'onda di tenerezza e di malinconia che nrearmuncia un più. ricco fluire di canti accomunati nelle varie gradazioni del dolore. E le voci recano subito dopo i diversi pathos. Ecco Marcellina, cui la frioia d'amare Fidelio è un poco velata dall'incertezza, esprimere prima a monosillabi sul dolce controcanto dei clarinetti la sua speranza della felicità, poi lanciare giulivi giubili fioriti di note. Ecco Leonora, dolentissima, ripensare in sè, affannata, la pericolosa sua condizione, mentre i flauti, ripetendo il canto dei clarinetti, diffondono la soave mestizia onde fra poco tutta l'orchestra sarà im'eco. E poi ancora Rocco, affettuoso e tenero dell'amor paterno, e jaqnino cui scema la speranza, s'aggiungono nell'imitazione del tema. Perchè l'imitazione a canone? Che han di comune le quattro persone? In fondo al cuore, tutte ugualmente recano una piccola o ima grande pena, il desiderio della felicità, il dubbio del futuro, tutte sperano attraverso il dolore la giova. Questo le accomuna davanti al grande cuore di Beethoven. Chi bada più al canone, che è un compito scolastico? Beethoven sentì le anime riunite dall'amore e le- cantò insieme; alle parole affidò la specificazione delle singole situazioni sentimentali. Un'essenza patetica e pienamente romantica distingue questo pezzo d'insieme da altre analoghe e splendide forme del tempo, anche mozartiane. fi « lied » Siffatte indagini sentimentali non sempre assumono un'uguale intensità espressiva nel Fidelio. Il compositore non pon Ciri 1 11 n riÀ in oA IVnvtAw» i 1 . 1 derò nè sviluppò in sè l'opera teatrale ! con la riflessione e la tenacia usate nelle maggiori sue sinfonde, sonate, o nei quartetti. E' vero che i -suoi taccuini recano appunti utili al Fidelio e che più d'una pagina fu parecchie volte rifatta. Erano cure naturali in un elaboratore di idee come Beethoven, necessarie ai tre rimaneggiamenti. Ma certo il FideHo non costituì nella creaeione dell'artista un atto concreto e personale, vigilato dalla mente severa. La consuetudine teatrale, cui egli aderì foto corde, le vicende delia composizione lo distolsero dai rigori del pensiero, non l'indussero a cercare una forma autonoma e a riempirla di' suoi individuali vagheggiamenti. Non v'è in Fidelio l'unità beethoveniana delle composizioni di esso contemporanee. D'altro canto le idee dell'opera d'arte integrale che i romantici, venivano affermando non furono attuate nè da Beethoven nè dal più roman. tico Weber; attesero Wagner per essere accolte e fermamente fissate. Non perciò Beethoven trascurava le - espressioni più adatte ai singoli personaggi e ai singoli momenti. Il lied gli offriva appunto una laTga possibilità di efficaci pagine staccate. Ed egli se ne giovò. Con un lied abbozza la banalità bonacciona di Rocco; la canzone dell'oro, come cosa necessaria e desiderata, conviene perfettamente al carceriere; e col 6uo popolaresco e preciso andamento vale meglio d'un'aria di stillata ispirazione. E' anche una canzone quella che lo stesso Rocco intona scavando la fossa; un lied cui si contrappongono le ansiose risposte di Fidelio. Parimenti sono lieder, già schumanniani, com'è proprio di altri lieder di Beethoven, quelli che Florestano sospira, il soavissimo « Nella primavera della vita... », preceduto dalla breve introduzione dei clarinetti, fagotti e corni, e il dolce ringraziamento pel sorso d'acqua Euch werde Lohn... Ed altri lieder misti ad arie, con strette finali, sono cantati dalle altre persone del dramma, appunto come effusioni di stati d'animo. Nei lieder del Fidelio, come in quelli di per sè stanti, è pertanto notevole che mentre l'inizio è sempre felicissimo, sia per la vocalità che per l'aderenza al testo, io svolgimento e soprattutto la chiusa sembrano talvolta derivare più dalla logica della composizione che dalla ricerca dell'assidua costante identificazione della melodia con la poetica parola. In ciò è la più spiccata diversità tecnica, fra i lieder di Beethoven e quelli del contemporaneo Schubert, non d'altro pensoso che di cantare all'unisono col poeta, di seguirlo in ogni accento, di concludere insieme con lui e come Ini. L'operista Nel « finale » del primo atto, Fidelio, come altre opere del tempo, reca conchiusa una serie di ben connesse scene, sulle quali s'è riversata la potenza drammatica del compositore. L'episodio corale dei prigionieri, che-inizia'il finale,- ne è un importante elemento. Alla tristezza delle lente armonie degli archi segue il primo saluto all'aria pura e libera, un lieve grido di anime smarrite, quasi dimentiche della vita stessa e delle cose. Il canto si diffonde lieve con qualche cadenza liederistica. E' comunicativo, commovente. S'eleva poi una' voce sola, che invita a pregare Dio misericordioso. Ma l'incubo del terrore e della ferocia che incombe disperde la nascente speranza-, un parlare sommesso e rotto, e di nuovo il saluto all'aria pura e libera. Il duetto di Rocco e Fidelio aggiunge drammatico interessamento. Le parole, le immagini, e anche tutto ciò che d'ango-' scioso, di orribile, è nell'animo della sposa è rappresentato con evidenza sorprendente in un musicista che poco era avvezzo a, trattare la parola scenica. Il canto dialogato è talvolta un'inserzione nel complesso polifonico, talaltra spicca negli scatti umanissimi, negli accenti verissimi, piegandosi la nervatui-a musicale alle più fini esigenze della naturale dizione.. E sono veramente due discorsi, due caratteri, Rocco e Fidelio, due anime e due persone scultoreamente distinte. Sulla ritmica decisa si distende la prosa musicale. Frammento segue a frammento, come un periodo contrasta al periodo seguente. La collera di Pizarro per l'uscita dei carcerati è non meno evidente della conciliante risposta di Rocco. Alla feroce decisione di Pizarro s'oppone il nuovo e più soave canto dei prigionieri, l'addio al caldo sole, lied d'ineffabile malinconia, che resta al centro del complesso vocale e strumentale. Quando l'ultimo prigioniero è sparito, tornando nella cella, e la scena resta vuota, sembra risuoni ancora nell'anima il canto dei senza sole. Un'omogenea tonalità estatica involga tutta la scena del carcere, la più completa realtezaziore teatrale di Beethoven: palpitante l'introduzione orchestrale; dolente il recitfttdvo accompagnato dd Florestano; delicatissimo lo spunto del lied, che il dolce canto dell'oboe fa anche più soave. Il prigioniero, sorgendo a sperare, sogna d'un angelo liberatore e s'infervora nella visione; le forze gli mancano; l'orchestra è il battito d'un cuore affievolito. E poi il melodram e il tragico duetto di Rocco e Fidelio, in cui la melodia si piega nuovamente alla prosa rotta dall'affanno. Nel commosso terzetto e ancora più nel drammaticissimo quartetto Beethoven riesce con la sola intuizione artistica a potenza di consumato operista. L'accrescimento passionale conduce la scena ad alta vigoria. Leonora vi appare eroica con pochi accenti efficaci. Qui non pregi melodici, ma un vibrare intenso dell'espressione drammatica, un martellare di accenti, un incalzare dì ritmi concitati, il dialogo nudo e naturale. 11 dramma è dinamico. I colpi di scena sono assorbiti nell'arte II pugnale e la pistola sono segni materiali accanto a immateriali espressioni sempre più vigoreggiar»^ La lotta della perfidia e dell'innocenza potrebbe esser decisa col trionfo delle virtù e del coraggio, in un campo tutto spirituale. Ma l'opera del « terrore » e della « salvezza » ha una sua estetica., e suoi canoni. Essa non vuol dare all'ascoltatore più che'un palpito affrettato, un momento d'ansia, fuggevole. Dxal~ tro canto bisogna pure che "intervenga fl deus ex machina, e colpisca l'occhio e l'orecchio. La soluzione pratica della lotta verrà non dal naturale sviluppo delhi psicologia, per quanto esso fosse già teso ed espanso, ' ma dallo squillo delia tromba. tra più, se mai gli spettatori non avessero già compreso di elio si tratta, Jaquino si affretta ud annunciare in prosa l'arrivo del Ministro). L'artista s'è improvvisato provetto operista. Il quale pertanto non sempre saprà, te-1 nersi ad uguale altezza, nè osserverà le proporzioni, come nel finale del secondo atto, attardandosi nello statico coro e rielaborando elementi concettuali, non già sentimentali e dinamici. La stessa imperfezione notammo nella seconda metà del coro finale della nona sinfonia, con il quale il coro dell'opera ha qualche analogia nel contrasto dei solisti con le masse (assai commovente il breve discorso di Fernando), e nell'ardua posizione delle voci. /I canto Intorno alla difficile condizione che Beethoven fece alle voci, oltre agli argomenti della sua sordità e della mancanza di eufonia (il Rutz riferisce che egli non riusciva a cantare neppure sommariamente e che nel metodizzare spezzava sillabicamente le parole quasi che « avesse la lingua legata ») e del concepimento strumentalistico e non vocalistico pure delle parti vocali, mi pare sia da tener conto dell'osservazione fatta intorno all'artistico svolgimento del lied, considerato ora come pura effusione lirica. Infatti nei lieder l'esecuzione vocale diventa difficile, aspra, proprio nei punti in cui Beethoven, abbandonando il poeta inspiratore e l'effusione coerente del melos, segue altro svolgimento che l'estetico. Mai la parte vocale è insostenibile nei passaggi belli, in quelli cioè veramente irradiati dalla luce dell'arte. In ciò il grande Beethoven è pur egli soggetto alle leggi comuni dell'inspirazione alata e della debole, in rapporto alla forma e alla tecnica della materia ! Questa « non contabilità^ » è pertanto ottimo pretesto alla grande maggioranza dei nostri cantanti'per rifiutar di studiare e cantare Beethoven, sia l'opera teatrale, sia la messa, sia l'oratorio. Onde avviene che l'esecuzione in Italia d'una qualunque composizione vocale beethoveniana incontra una prima difficoltà nella pigrizia dei cantanti. (A tal proposito se gli irapresarii e i direttori di teatro narrassero qualche cosa della organizzazione di uno spettacolo appena diverso dai soliti del « repertorio », il pubblico apprenderebbe a essere meno.indulgente per chi fa della musica un assai svogliato mestiere, arricchendosene esosamente). Altra intrinseca difficoltà è l'ignoranza culturale e artistica, assai diffusa nella maggior parte del personale teatrale, colpa questa che si può far risalire alle scuole di musica pubbliche e, peggio, alle private, che per solito trascurano la formazione spirituale del futuro musicista, badando limitatamente alla pratica strumentale o vocale. Per tutto ciò tanto è degna di lode l'iniziativa del Regio, il quale è riuscito a mettere in iscena Fidelio, quanto sono encomiabili gli esecutori. Più che stabilire il grado di bontà dell'esecuzione di ieri «era, vorrei dire che i cantanti hanno fatto miracoli nell'improvvisare in pochi gior-, ni la rappresentazione. Pochi giorni, poniamo venti o trenta, per una musica ignota, probabilmente, alla maggioranza degli esecutori. Miracoli che solo la versatilità e la prontezza dell'italiano consentono, e che fannie immaginare a qual grado di perfezione .potrebbe pervenire una « compagnia » itotoama che s'avviasse sei mesi pniima a stud'iare battuta per battuta una qnatonque difficile o dissueta opera. Ma purtroppo '1© condì zi ond del teateo non consentono teli studiiii e /tali compiutezze! Gli esecutori L'audacia della Direzione del Regio nel tentare l'esecuzione del Fidelio con la recitazione prosastica, benché, nessuno, credo, degli esecutori fosse adusato alla dedamazicune (e le scuole di declamazione sono rare nei nostri Com^rvatori!) è perfettamente riuiscito. La signorina Torri, il Cflia, il Bettolìi si sono mostrati intell'igenitdssdmi e diisiinvoliti; non una papera. Ed anche Ha sugDKwsiìria T.ujiner, che è inglese, e il baritono Eiitek, che è boemo, han fatto del taro meglio. Naturalmente, è stato necessario sacrificare utn poco la prosa, ridurla all'idiisperasaWle. Ognuno intende a quale compiutezza l'integrale esecuzione sarebbe giunta se l'organizzazione dei nostri teatri consentisse il tempo conveniente al più severo studio. In quanto al canto e alia concertazione di maestro Mardnuzzi ha ottenuto sodddsfacemti resultati. Dopo aver provveduto a ripulire un poco la traduzione itolìama, perfida e falsa, ha rivolto 'la sua attenzione alla esecuzione strumentale, -raffinandola accortamente, e a quella vocale, riuscendo 'alquanto a cancellare le troppo evidenti ^abitudini del canto operistico italiano col sovrapporvi un che di più affine allo stile stranièro. Le signorine Turner, ottima e sicura voce dì soprano drammatico, squillante e generosa', e Torri, hanno fatto assai bene nel canto e nella scena, mostrando 'l'uina un vivace temperamento d'artista, ri-affermando l'altra la perspicuità e la sottigliezza di cui aveva dato prova nell'Anima allegra; ebbero entrambe sentimento della parte e appropriata espressione, ti Bettomi, lo Ziitek ed il Cilla furono caratteristici e precisi; delinearono con efficaci accenti il bonario e scettico carceriere, il cinico, feroce oppressore e il garzone innamorato. Più preoccupato della voce olie dell'accento conveniiente alla situazione drammatica e scenica parve il tenore Cesa Bianchi, al quale converrebbe considerare l'espressione psicologica dell'affinante Florestano per rifletterla nel suo canto, e di studiare i lieder secondo lo spirito beethoveniano; nel finale dell'opera la sua energica voce eiiier.se sul complesso sonoro. Bene iì Dominici, come Ferna»ndo. n maestro Marinuzzi raccolse dunque buoni frutti della sua concertazione sol lecita, della sui complessa operosità. Aver improvvisato un Fidelio, conducendolo a soddisfacente compiutezza è un nuovo se gno del suo talento vivido, della sua espo rienza teatrale, della simpatica comunica liva, delle naturali qualità di musicista. Egli fu bene coadiuvato dal maestro Mo- rosini nell'istruzione del coro. Concorsero all'allestimento il comm. Borioli, che s'occupò delle scene, logicamente disposte ed eseguite, e il Forzano, che istruì i cantanti nella recitazione e dispose i movimenti delle masse. Qualche grottesca truccatura dei prigionieri, qualche esagerazione di « effetto » per « colpire » l'attenzione, come l'uscita dei prigionieri dalle bòdole anziché dalle porte, del che non v'è accenno nel libretto originale, avrebbero potuto essere risparmiate. Basta, infatti, il lacrimoso che è nel genere dell'opera e il drammatico che è nella musica di Beethoven a far' commovente Fidelio, un'opera'che vive d'amore e di arte. E, sia pure, d'ingenuità. Che forse saremmo incapaci di appassionarci e commuoverci a una semplice e buona istorietta? A tale stato di insensibilità ci avrebbe condotti la Cena delle beffe, per esempio? Fidelio è da ascoltare con tenerezza e con gioia. A. DELLA CORTE.

Luoghi citati: Italia, Marcellina