Lorenzo Viani

Lorenzo Viani Lorenzo Viani Quando ned, l'alfcr'anno, Parigi di Viani, il chiasso o la meraviglia — l'uno e l'altra per niente ingiustificati ! — salirono per davvero alle stelle. Pareva che quel lino, asprigno, cattivo, e ossessionato, fosse un frutto inatteso, fuori stagione,, tutto buoco e agrore, delizioso e aconcertante; come qualcosa che stesse di mezzo tra la fragola di sèrra e la mòra di macchia, o, meglio, tra una carezza gentile e bonaria e un brutale diretto sullo stomaco. I più spalancarono gli occhi, perplessi : erano essi da troppo tempo abituati, e cpasi addormentati, a una letteratura a fior di pelle, leggèra ed esausta, crepuscolare ed estetizzante, ohe, se non dava addirittura sui nervi, non suscitava nemmeno eccessivi entusiasmi. Senza dubbio, il fatto doveva apparire misterioso, o per lo meno insolito; come quando, dopo una irritante stagione di pioggie, spalancasi improvvisa, tra nuvola e nuvola, una voragine d'azzurro e di eole, che pare voglia rianimare proprio gli nomini, rimminchioniti e delusi nel grigiore e nell'inerzia. Eppure Viani era da anni uno scrittore di qualità, di quelli che hanno un certo piglio, franco e giusto, nel tagliare e sfrondare i periodi, in cui senti sùbito il buon artiere, nato sotto una provvida costellazione, oche ha gusto al lavoro; e le cose sue migliori le aveva già date fuori prima, istintivamente, — e si chiaman: Ceccardo, Ubbriache, Giovannin senza paura, — senza dar tanto nell'occhio; e senza fare di quel suo stile, legnoso e àlido, una specie di maniera, o d'estetica, o, Be più vi piace, un modo come un altro di girare attorno all'arte senza risolverla dall'interno A questo punto, anche se dopo ne riparleremo, a proposito dei Vàgeri (1), con maggiore tranquillità, crediamo necessario accennare alla materia usata dal Viani: a una lingua eh'è, gira e rigira, come costruzione e come lessico, schietto e allappante vernacolo, tosco o apuano o lucchese che aia. Sulle prime non ci si fa caso; anzi quelle parole, insaporite di terra e di mare, danno risalto e lucidezza alla pagina; ci si respira un'aria di casa patriarcale, di madie e di canterani tarlati, di cosa pulita • paesana, di scrittura che spicciasi come arzillo chianti dal botticino dei bisnonni; e quasi più ne godiamo perchè, dopo tanta nostra letteratura imbellettatasi a Parigi o a Londra, ci pare di rimettere finalmente piede sopra le zolle di quel nostro sacro orticello, ove l'artigiano - scamiciato, pipa in bocca e stornelli sulle labbra, zappa, pota, monda, e miete da secoli e secoli. Ma poi, a lungo andare, specialmente poi quando ci s'incontra quasi con violenza in parole, le quali saranno vive e fiorite quanto quell'altre dei fiorentinaoci di San Frediano, ma per cui bisognerebbe pretendere un glossario dopo l'indice, s'à lampante l'imnone ohe Viani peschi troppo con la del vernacolo; che strafaccia senza a e senza controllo aopra sé stesso; ohe metta in uso dialettismi, o giri di frasi, e costrutti grammaticali, con lo stesso gu aio lezioso che aveva un tempo il miniaturista e l'altr'ieri l'esteta dannunziano a proposito di preziosità stilistiche; ohe adoperi anche lui, come certi scrittori americani novissimi, -di cui à parlato Linati, una. specie di vero e proprio slang italico, il quale sarà lingua viva, tolta di peso dalle labbra dei bifolchi e dei calafati, ma che MB è, e forse mai lo potrà essere, lingua letteraria. A meno che, s'intende, non ri coglia ancora riaprire la vecchia questione, che noi crediamo già risolta, tra lingua garitta e lingua parlata. La quale cosa noi stimiamo tutt'altro che divertente. #*« Tuttavia non si creda che l'arte di Viani sia tutta soltanto così: un florilegio, minuzioso e inutile, di parole terricole. Molte, il più delle volte, non guastano affatto, e, adoperate a tono giusto, con la previdenza dell artista ohe sa il valore della nota di colore, irrobustiscono la espansività d'uno etile, oh'è già per sè stesso prodigo, e lo fanno personale, torto, ruvido, senza smancerie, quasi martellato in rilievo. Stile che par fatto apposta per la triste materia umana che esprime. Perchè Viani, o scrittore0 pittore, si mette dinanzi alla vita come un giudice inappellabile ; e siccome la vita, negli uomini e nelle cose, è per avventura più brutta che bella, Viani ce ne dà un saggio mortificante e disperato. Quando con la sgurbia bulina le tavolette di bosso, ci presenta certe l'accie melmose e impeciate da risognarcele alla notte: ossàri di mendicanti, avanzi di galera, donne mostruosamente gravide, bimbi che paiono foglie secche, gobbi la cui ciocia penzola d'ogni parte, vinai briachi e maneschi, accoltellatori stempiati e butterati ; e nei libri1 protagonisti e le parti di fianco "son sempre gli stessi: tutt'una genìa ammalazzata, verminosa, imputridita; e Viani a mestolarci nel mezzo con un'aria contenta di demonio all'inferno ; e fra cielo e terra un'aria di tregenda e di finimondo. Lorenzo Viani non si cambia. Trovatosi scrittore dopo aver patito la fame nelle soffitte parigine, la vede, codesta fame, ovunque, come una lebbra del mondo. £ se, sulla sua terra, descrive Sciamanna e il Concialana ohe calan sul lido « come due uccelli marini », allorché fa tempesta, per mettersi l'un l'altro le budella in mano, a Parigi egli trova modo di ambientarti una specie di terrificante museo degli orrori, o di nuova e moderna c Walpurgisnacht » goethiana. Fare così che sulla sua tavolozza di scrittore fuori dalla grazia di Dio predomini la bieca terra di Siena, e la biacca manchi del tutto. Di più, anche le mezze tinte abolite: si passa dal nero fuliggine di camino al sesso solfuro di mercurio; e alle persone, le quali prediligono i toni morbidi, sognanti, crepuscolari, latte-miele e chiaro di luna Viani risponde che per lui i colori che valgono son quelli primitivi dello spettro scure. C'è, in tutto questo, la prepotenza d'una personalità già dischiusa e poca letteratura; e, se volessimo trovar dei compagni di sventura alle figure maledette deVieni, non sapremmo a chi rivolgerci: forse come tono a Villon, e come risalto decorativo a Bichepin ; ma, alla fin dei contisono nomi questi che neppure stanno in piedi. Viani bisogna accettarlo com'è, tutto spigoli, durezze, e cinismi: fenomeno isolato, creatosi egocentricamente, quasi fuordella stessa letteratura, in dima d'eocezio ne. Dargli un posto, un 'etichetta, una semola; concedergli antenati e maestri ; pretendere, da fa*, scrittore irregolare per eccellenza, una qualsiasi ragione nei tempi e negli sviluppi dell'estetiche, varrebbe sminuirlo, « più ancora fraintenderlo. AB» è codesta materia, immiserita e a l , a l , n o svagata, lo stile s'attaglia, fa lega, dà quasi l'impressione ohe in essa si solidifichi, come una colata di bronzo entro lo stampo di scagliòla. Chi lo pensasse usato per tèmi cittadini e frivoli, s'accorgerebbe che falso e sordo diventerebbe proprio quanto prima era invece reale e immediato. Perchè, come scrittore, Viani non lo si può concepire nè inurbato nè europizzato : bisogna lasciarlo invece alle prese con i suoi cieli torbidi, con la sua gente acciochita dal sole e dal vino, e con le sue parole puntute come pruni e razzenti come l'uva verdiccia. •*•. Dopo ciò, l Vàgeri non ci paiono nuovi. Gente d'onore e di rispetto, come dice Viani, ma sempre gente che ci è nota, gente con cui Viani ragiona a dovere, da che ha la penna tra le dita. Pezzetti di prosa, specie di bozzettucci e di raccontini, brevi battute di dialogo : e dentro un carosello di uomini, donne, bimbi e cani : vagabondi, speziali, vecchie più gialle del granone, cenciari, squattrinati: S mondo di prima. E, se fossero veri e propri racconti : costruzioni in grande contro un intero orizzonte, com'è invece Giovannin sènza paura, meno male ; ma, per la maggior parte, sono prese che potrebbero star scritte in una nota di trattoria. Eppure Viani ci aveva abituati a pagine più costruttive, magari più torbide e somiglianti, ma più intense. Quando ripensiamo alla tempesta, che come un'orchestra spaventosa apre il racconto di G-hiando il mastino, non abbiamo timore di riaccostarla, come potenza e vivezza descrittiva, a quella del Tifone del Conrad, o a quell'altra, che si conosce sott'il nome di tempesta alle Lofodi, ne\V Ultimo Viking del Bojer. Anche nei Vàgeri possiamo trovare qua e là codesta potenza emotiva e rappresentativa, ma però la riconosciamo di tono minore. Sono per lo più descrizioni di creature, punte a secco di scenari naturali. Ecco un frate: • Il ventre obeso di un tempo gli s'era svuotato come una vescica, le natiche grassocce l'aveva seminate giù per le brache, anche il naso, un tempo inviperito, paonazzo e pieno di protuberanze innammate, gli cascava giù mencio sulle labbra cadenti; gli orecchi, che aveva dritti come le lepri, gli s'erano abbracchiti, la tonsura era stata sopraffatta dai cernecchi setolosi che gli avevan buttato sul colio e sul cranio ». E una donna: • Seduta fuori dell'uscio, colle gambe magre poggiate sopra i caviglieli d'una seggiola, con una sottana di percalle rosso stretta da un cappio alla vita spolpata, e le braccia smagrite come bacchette di tamburo, fuori ' di una camicia di ghineone slargata tanto che sotto le ascelle le si vedeva bene il pelame nero e si contava il costato, con il viso scarno e tribolato, con gli occhi torvi come la rannata. Ossi sopra un ciutlo d'erba, c'era Lei in persona ». » E un morto: » Il suo corpo aveva la bianchezza del marmo statuario qua e là maculalo come da fiori di pesco, le membra percosse s'erano avvogliate di vino; gli occhi erano già infossati e il naso si profilava sul viso ghiaccio, la bocca marmata in un sorriso di pena sfioriva tra i cespi della barba, il trapasso l'aveva rasserenato ». E un paesaggio: • C'incamminammo per una redola su cui sgrondavano le foglie taglienti di un canneto, e s'andava sul ciglio d'un torrentello che brontolava coi risucchi tra le mucchia di ghiaia; di 11 si sfociò sopra le porche di un uliveto sul quale dovevano aver dato i bruci, che le piante eran tarmate e secche; dopo si traversò una sterpala dove in tanti stallini grugolavan dei porci, i quali al rumore- dei passi risettetero da] grugnire e ci guardarono avidi: un fetore di pollino salava l'aria ». Bell'arte in vero, ma già tutta consumata in codesta specie di'esteriorità coloristica e ambientale, senza sottintesi e senza allusioni, schiarita e definita, ricca più di naturale" dovizia sensuale ohe di prospettive e di chiaroscuri ; arte veristica ed esterna, assetata di verità materiali, in cui la bellezza formale nasconde la povertà dello spirito e l'arida secchezza dell'ispirazione. Viani tratta le creature umane come fossero cose ; osserva, studia, e descrive una vecchia come osserva, studia, e descrive un albero: non si commuove; non ha occhi che per il colore, per la plastica, per il gioco dell'ombre e delle luci; non sente e non ammira che le parti esterne e caduche. Se arriva alla psicologia, lo fa quasi involontariamente, trascinatovi dal destino dell'arte, o dalla legge naturale delle cose stesse. Ma lui non è uno scrittore ohe ami frangere la scorza del mondo per scoprirvi magari una sola verità elementare ; non ha scrupoli; non ha tormenti; caccia soltanto le mani nella pasta o nella melma, di cui le cose-creature sono plasmate, con l'unico scopo di lasciarvi l'impronta del suo pollice, ch'è quella poi del suo stile. Nei Vàgeri poi, il vernacolo corre un po' troppo la cavallina, e, alla fine, ad uggia e stanca. E Viani non avrebbe punto bisogno di usarlo così alla cieca e a cuor leggero, Lperohè ugualmente sarebbe scrittore forte e persuasivo, anche se frenasse codesta sua intemperanza e codesto suo amore di novità. Qualcuno potrebbe a proposito ricordargli gli appunti ohe mossero a Verga, ma purtroppo nel toscano il male è più fondo e assai meno ragionato, inquantochè l'arte di Verga s'illumina di dentro, mentre in quella di Viani il dialettismo.non è nè più nè meno che ricchezza decorativa. LtuvzdmvFleaddarQelpSAuasisstQuest'estate ci raccontavano, non ricordiamo più bene se Enrico Pea, o Carlo Pellegrini, o quale altro scrittore della Garfagnana, come Lorenzo Viani, ad ogni alzata di sole, facesse tempesta c bonaccia, tirasse tramontana o scirocco, venisse da Fossa dell'abate a Viareggio, a piedi nudi e senza cappello, per passar la mattinata in una specie di fondaco, ove abitava un vecchio lupo di mare: quasi cent'anni, tutto bianco di pelo, e mangiato dal salso dell'onde come un tondello di sughero. Viani, seduto sopra un sediolo, con i gomiti sulle ginocchia e la testa tra le mani, ascoltava attento i racconti del marinaio come fossero i versetti della Bibbia. Ora pare che, a un curioso ohe gli aveva domandato che facesse tutt'i santi giorni con quel pezzo di sorbo rugoso, egli abbia rispoeto press'a poco così : c L'è l'unico amico ohe non sappia parole bastarde! E ci godo quando l'ascolto; e imparo a scrivere ». Questo aneddoto, vero o falso ohe sia, può ottimamente indicare sopra quale materia, terragna e primitiva, Lorenzo Viani lavori. GIUSEPPE RAVEQNANI. (1) LORENZO VIANI: « I Vàgeri », Caga Editrice Alpes Milano 19» L 10.

Luoghi citati: Bichepin, Londra, Milano, Parigi, Siena, Viareggio