Calepino

Calepino Calepino Morte di Euripide Quando vuole a qualcuno augurare una brutta morte, il popolo dice: «che aia mangiato dai cani». E veramente questa è la più brutta fine che ai', possa augurare ai malvagi. Più afortunato di Sofocle, che avrebbe tuttavia ' ragione di lamentarsi del proprio destino, Euripidi!" fu mangiato dai cani. La storia è nota, ma scarsamente conosciuta è l'origine della rabbia di quei feroci animali contro lo sventurato poeta. Ormai ai può dire che Euripide fu mangiato per vendetta. Racconta infatti il Barnes, nella Vita Euripidis, e lo riporta Christophe Théophile de Murr nel suo Estui sur l'histoire des poP.tes tragiques ffrecs, stampato in francese a Nuremberg nel 1760 da George Bauer, che essendosi un cane del re Archelao, durante una caccia, smarrito nei boschi, venne a capitare nei pressi di un villaggio, e, preso, fu mangiato da quegli abitanti, conosciuti in tutta la Tracia per divoratori di cani. Archelao, edotto del caso, al colmo dell'ira, dopo averli minacciati di morte, li punì con la multa di un talento. Per ottenere grazia dal re, quegli abitanti si rivolsero ad Euripide, il quale tanto fece e tanto disse che il buon Archelao tolse loro la multa. Ora avvenne che Euripide, molto tempo dopo, mentre si aggirava da solo in un bosco, udì risonare i corni della caccia del re. Nessuno ha mai saputo come siano andato le cose, ma è certo che alcuni cani della muta reale, appena videro l'infelice poeta, gli sì gettarono addosso e in pochi istanti, sotto gli occhi dell'atterrito Archeeo, lo divorarono vivo. Si venne poi a conoscere che i cani, dai quali Euripide fu divorato, erano la prole di quello stesso ch'era stato mangiato dagli abitanti del villaggio. I figli avevano punito il difensore dei divoratori del padre. * Etimologia del temildzZLddleadGvlainseacdi Giulio Cesare Il famoso canto Oxenetiern, svede se, nelle sue Pensées, reflexiont et maxime* morale», stampate ad Amsterdam nel 1742, della Compagnia, sostiene, parlando dell'etimologia del nome di Giulio Cesare,, olia a suo giudizio il nome di Cesare « hut donne à notte Jule » dalla pa- tnilriddmdevlanddstodtgdndscddPbpvfizvbròte africana cesar, che ÌnSlW«f'punica significava elefante Otlt IsgàBterr» e del fratte profitta i Lo conte Oxeostiem a del parere, in quanto al clima e ai costumi,, ohe se la strada maestra dell'inferno è seminata di delizie, essa deve «ertamente passare attraverso ringhi! terra. E dell'avventura di Adamo ed Eva, di cui ben poco si sa fino ad oggi, scrive che, se ignoriamo di f9pnvsLlisntnmcIquale specie era il frutto, sappiamo almeno ohe fu di digestione assai mdifficile: poiché la colica che il frnt- te misterioso cagionò si nostri primi' genitori è costata la vita, a tutto il genere umano. Ingoffo e cecità In una non molto rara edizione del Decameron^, stampata in Venezia nel 1590 presso Fabio e Agostin Zoppini e Onofrio Farri, curata da Luigi Groto, cieco d'Adria, annotata da Girolamo Ruscelli e presentata dal Sansovino, e precisamente nella lettera dedicatoria di Giovanni Sega al Serenissimo Duca di Mantova e del Monferrato, si legge che Luigi Groto fu, tavvenga che cieco, tuttavia d'ingegno acutissimo*. MerteraJch e la fraternità Mettermeli detostava a tal punto la famigliarità dei modi, introdotta in Europa dalla rivoluzione francese col titolo di fraterniti, che «se avessi un fratello — diceva — lo chiamerei mon cousin». Brumale I 1928 La speranza che noi possiamo ritrovare un giorno quella magra, ironica e malinconica eleganza, che ha illuminato, gli spiriti e i modi di Sheridan, di Brummel, del Chevalier d'Orsay, degli inr.royables, dei Mon», dei dandy», è ormai giunta all'ultimo limite del rimpianto e del desiderio. Il segreto di quegli amabili eroi, per i quali tutte le virtù nascevano dall'ozio e l'amore era la consolazione propria d'ogni male altrui, non sopravvive più se non nel senso di abbandono e di pace, che la fuga del tempo lascia nei cuori poco Ben sibili ale grazie della vita. Poter amare 1» vita senza sospetto è pur sempre il segreto desiderio della nostra età: questo, e non altro, è per noi il frutto d'ogni stagione. Dora sono, o serene stagioni di un tempo, le vostre gioie mattutine, e le fantasie delle vostre candide nottit II sapore che gli anni, lasciano in bocca è amaro come quello dell'alloro, ni le glorie san così dolci da far nascere in noi piacevoli sogni. Per gli orizzonti lontani, dove l'ombra dei poggi opre golfi profondi, partono dai nostri cuori ogni notte vascelli d'oro dalle bianche vele gonfie di vento, salgono per l'arco azzurro del cielo, ora perduti in nuvole argentee, ora naviganti nel biondo lume lunare: e sotto, come f',?Ì*?^ La Sottra età è prona di partenze 'fondi marini, prati vigne ed olivi 9 di naufragi. Ariel di Shelley approda ogni notte'alta quieta riva dei nostri sogni. Cibi ci aiuterà a ritrovale la malinconia altissima delle stagioni di Sheridan e di Brummel? La noia, alméno: ultimo approdo felice. Gli orizzonti del nostro tempo stanno ormai tutti nel palmo della nostra mano, tra le linee della fortuna e della vita, e il monto di .Venere. E nostro destino v'è inciso, come un tatuaggio: azzurro e sinuoso come un fiume, lento presso la fóce. Il tempo ci ha preso ormai per la mano, e ci conduce in maro; CURZIO MA LA PARTE

Luoghi citati: Adria, Amsterdam, Euripide, Europa, Mantova, Monferrato, Venezia