BISMARCK il Piemonte e la Serbia nel 1866

BISMARCK il Piemonte e la Serbia nel 1866 BISMARCK il Piemonte e la Serbia nel 1866 ! ta farsela alleata. II signor Hermann Wendel, au- • (ore 'di parecchi libri sui Balcani in genere e sulla Jugoslavia in ispecie, ne ha dato recentemente alla luco uno nuovo, dal titolo: « Bismarck unti Scrbicn ini Jan re 1HG6 ». Il ti-; toh» l'autore evidentemente lo hascelto sol perchè, conoscendo Tinte-, resse che laggiù si dimostra per lei sue opere, ha voluto fare apparirai la non troppo lunga monografia! principalmente impostata sulla Serbia, mentre poi in prima linea finiscono col trovarsi il Piemonte e la Ungheria. Però già altra volta abbiamo visto che in Serbia il Piemonte non è più di moda. Il titolo ideale del libro sarebbe slato, a dire il vero, questo che mi permetto di suggerire: « Bismarck rivoluzionano ». Nessuno spalanchi gli occhi, nessuno gridi al paradosso: giacche quel Cancelliere prussiano tutto d'un pezzo, che sapeva turbare i congressi per la pace col solo presentarsi vestito d'una bianca uniformo, o d'uno spettacoloso elmo a chiodo, quel Cancelliere apparentemente conservatore professava la teoria del fine che giustifica i mozzi ed era, se si desidera contrapporlo a Mettermeli, un vero sovversivo. Il Bismarck del 1866 diceva chiaro e tondo che trattandosi dell'esistenza della Prussia, egli era pronto ad allearsi con la rivoluzione e con chi gli avesse dato aiuto. Su per giù ha ragionato cosi Lenin nel 1017, quando, per potere arrivare più sicuramente in Russia a scatenare la rivoluzione, accettò dai tedeschi il passaggio in un vagone piombalo e parecchi quattrini. Il Bismarck del 1866 non si preoccupava di stntu quo e di rispetto di trattati, ancora meno si curava del principio legittimista che aveva formato la pietra angolare della politica di Mettermeli. La solidarietà ideale fra regnanti, che dovrebbe indurre un Sovrano ad astenersi dal favorire mene rivoluzionarie in casa altrui, non fosse altro che ppr dare il buon esempio, lui non la. sentiva: per dare addosso agli Ahshurgo aveva bisogno dell'Italia che sventolava la bandiera dell'irredentismo e tenne o i a a e n o , o a a è o , e i i n a o oj Al tempo stesso, eccolo pensare ad eventuali aiuti da parte ungherese e da parte slava, eccolo progettare sbarchi in Dalmazia, sommosse fra le nazionalità, soggette a Vienna. Ma come si è fatto a dimenticare tutto questo durante la guerra mondiale? Come si è fatto a non rammentare alla stampa tedesca ed all'i, e r. che, tutto sommato, il mestiere l'aveva insegnato Otto von Bismarck? Gli uffici di propaganda degli Alleati si lambiccavano il cervello per scoprire i punti deboli della Monarchia danubiana, e negli archivi del Ministero denti Esteri berlinese, in quelli di Vienna dello Stato e della Corte e nell'archivio statale serbo, a Belgrado, dormicchiava materiale di prim'ordine, elaborato dal principe e per il principe Otto von Bismarck, rivoluzionario ministro di Prussia.- Ora vogliamo ritornare al libro del signor Wendel, al quale muoveremo anzitutto la critica di non avere esposto documenti e dati con la imparzinlità che deve distinguere chi tenti fare della storia, ma col palese intendimento di mostrare in Bismarck il divinatore del futuro forte regno jugoslavo, colui che per primo stabili « intimi contatti politici fra tedeschi e jugoslavi, i quali attualmente ricominciano a starnarsi, dopo di essersi tenuti per lungo tempo lontani ». Ecco dunque che questo libro intende costituire ancora un contributo all'opera di riavvicinamento fra Jugoslavia e Germania, opera che, con una pubblicazione di diverso genere e di pregio indubbiamente assai minore, ha cercato di favorire — come a suo tempo vedemmo — l'ex-generale prussiano von Taysen. Quelle divinazioni e aspirazioni erano mille miglia lontane dalla testa di Bismarck: non si può ritenere costenitore sinceramente convinto della teoria delle nazionalità l'uomo che al Congresso di Berlino rifiutava di occuparsi del cutzo-valacchi, esclamando: «Ecco un nome che non ha il diritto di esistere» e facendo sulla carta un gran frego col lapis blu. Bismarck non era un sentimentale : tutt'alfro. Egli faceva della buona politica reale, puntando le leve dove i punti di appoggio gli apparivano solidi e sempre mirando, riferivamo poco prima, unicamente agl'interessi della Prussia. Tale concetto bisogna tener presente nel giudicare la sua prontezza ad allearsi con la rivoluzione per il coso che la salvezza della Prussia fosse stata in gioco, o per giudicare la frase, scappatagli di bocca nel '50. che appoggiare l'Austria contro l'Italia avrebbe equivalso, per la Prussia, ad un suicidio. Perciò non crediamo che Bismarck nel 1866 abbia voluto assicurarsi il titolo di apostolo della redenzione jugoslava, di precursore di quanto ai giorni nostri è poi avvenuto. La stessa idea «jugoslava» a quel tempo appena prendeva consistenza; anzi chi la propagava era un vescovo fedelissimo alla Casa d'Austria, lo Strossmayer, che intendeva riunire, sì, tutti gli slavi meridionali, serbi compresi, però sotto lo scettro giallo nero e la spirituale egida di Roma, segretamente desiderosa di vibrare un colpo all'ortodossia, conferendo ad uu programma cattolico etichetta nazionale e politica. Viceversa è doveroso riconoscere che i collaboratori di Bismarck, o perchè si trovavano sul posto, o perchè diligentemente si affrettarono a cercare di plasmar meglio i progetti abbozzati dal capo, si diedero sul serio ad esaminare quale assetto statalo avrebbe potuto essere concesso agli slavi sottratti al dominio absburgico; cosi il rappresentante della Prussia a Belgrado, Laubereau, poteva fra l'altro scrivere essere, l'affinità dj

Persone citate: Bismarck, Hermann Wendel, Lenin