La divina e casta Margherita

La divina e casta Margherita La divina e casta Margherita Impalmata da Emanuele Filiberto, Ja figlia di Francesco I, Margherita, lasciava nel 1559 la sua terra di [Francia, per entrare nella corte eeyera del Duca sabaudo. * * * L'abbandono della patria era anphe un congedo alla sua giovinezza. Aveva trentasei anni, ed era stata, jed era ancora, la protettrice e ispiratrice dei due maggiori astri della Pleiade, Pierre Ronsard e Joachim Du Bcllay, la divine et chaste Marguerite del primo, la « Fallacie moderna » del secondo. Con il suo naturale intuito, con la sua impressionabilità e. sensibilità p col suo gusto raffinato e rinvigorito dagli studi umanistici, s'era fatta una giustificata e solida reputazione di principessa fra le più intelligenti p colte del suo tempo. Durante la sua prima gioventù, era stata sempre un poco pensosa, un poco austera, ma dolce. Era vissuta in una corte piena di magnificenza e di fasto, fra il lusso p le pompe, e in mezzo a feste, in cui lo splendore gareggiava con la licenza; ma nel raccoglimento e nei libri, da quelli greci e latini a quelli francesi, italiani e spagnuoli, aveva trovato le soddisfazioni e i conforti che più convenivano al suo eletto temperamento. Dicevasi che la sua cultura confinasse con l'erudizione; ma nessuno avrebbe potuto negarle pieghevolezza e duttilità di mente e una così pronta e fresca versatilità, congiunta a doti innate di cuore, da salvarla dall'affettazione e dalla pedanteria. La sua squisita sensibilità non ne era mai rimasta offuscata; anzi, era parsa brillare di maggior luce fra i pregi della sua rara educazione letteraria. Il Du Bellay, più che dalla regalità, si confessava preso dal fascino dolla donna, dalla sua e gràce et douceur »; e il Ronsard poteva cantarla, con versi deliziosi, intenta ad opere muliebri, ritraendola quasi in una garbatissima miniatura, fra le sue damigelle: Aucunefols, a-.ce ses deinoiselles, Camme une fieur assise ati milieu d'eUes, Tenolt l'aiguUle, et d'un avi cuTleux Jolgnott la soye a l'or Judustrieux... Persino i versi latini, sempre gravi e sostenuti, di Michel de l'Hospital ci increspavano di commozione, quando ai rivolgevano a Margherita, alle Bue abitudini, alle sue distrazioni, Bile Bue letture, mostrandocela nell'alterna vicenda delle sue occupazioni giornaliere. - * * * Anche quando, lasciata la corte del te Enrico II suo fratello, succedette ventiseiemie a sua zia nel Ducato di Berry, fra le nuove e gravose cure dftll'ammimstrazione di un'intera provincia, essa si mantenne fedele a ee stessa, col suo fervore per gli studi, con la sua passione perJ».poesia e con la sua inalterabile amabilità, cne valeva, quasi a conferirle.il decoro, di una bellezza, di cui la natura non Je era stata soverchiamente prodiga. L'Hospital, suo primo ministro o cancelliere nella nuova residenza, ce la descrive in tutta la ricchezza della Bua spiritualità. Ne esalta la franca urbanità, la compostezza non leziosa, la dignitosa e non aspra severità, la fedeltà alle amicizie, l'insofferenza per lo lusinghe e le piaggerie. La celebra come provetta conversatrice e accorta patrocinatrice di studiosi e di letterati, paziente coi buoni e coi cattivi poeti... I maestri più insigni dell'Università di Bourges le erano a buon diritto devoti. L'attorniavano, in corte, uomini come Nicola Denisot, Jean Morel e l'italiano Bartolomeo del Bene. Di alcuni di questi Margherita si ricordò quando, divenuta sposa di Emanuele Filiberto, svolse in Piemonte la sua opera di protettrice degli studi e delia poesia e chiamò intorno a se un manipolo di energie intellettuali, che promossero un nuovo fervore di vita spirituale nel ducato sabaudo. * * » La corte di Emanuele non le offriva il lusso di quella di Enrico II, nò lo raffinatezze di quella del Berry ; ma le prometteva, nella sua austerità, un'esistenza più grave e raccolta e più consona alle sue vere e naturali disposizioni di spirito. II Piemonte era decaduto, immiserito, mutilato. C'era tutto da restaurare: costumi, ^nanze, commercio, ndustrie, studi. Inoltre, il vincitore di San Quintino, con la sua schietta mpronta di guerriero e con la sua mente realistica di uomo d'azione e di governo, appariva, fra i Principi della Rinascenza italiana, quasi estraneo alle mode cortigianesche del buo tempo: non incline allo sfarzo e alle apparenze, incurante di lodi frivole e menzognere e assorto, invece, nel grande compito di riassettare e di rinforzare uno Stato, a cui la sorte e a virtù dei successori dovevano preparare alti destini. In questa corte Margherita era entrata con le gramaglie del lutto. Il re di Francia, ferito in un torneo durante le feste per le nozze, era stato quattro giorni senza riprendere i sensi; e poi, dopo un breve intervallo tìi miglioramento, era spirato proprio all'indomani del matrimonio. Con l'animo ancora turbato per la recente catastrofe, la nuova Duchessa era venuta in Piemonte, dov'era aspettata come apportatrice di pace e messaggera di amicizia e 'li. una durevole alleanza con la Francia. « « » Malgrado la grave ombra di malinconia e di tristezza discesa con la morte, del Re, le nozze* avevano svegliato le muse Du Bellay avevi « esposto » in rima, come allora si diceva, le c divise » del tragico torneo e aveva consacrato al Duca di Savoia alcuni versi non belli, ma « appropriatissmii » (era la parola di prammatica) ad Emanuele Filiberto: Centi qui veui sloire immoTteUe avolr rjoit assemblei' ics lettros et les annes... ftuestq concetto del connubio delle 'j lettere e delle armi si affacciava spontaneo a tutti in quell'occasione. Lo troviamo anche in alcuni distici latini del Pingone, la cui voce difficilmente sarebbe potuta mancare fra quelle dei sudditi beneauguranti alle nozze con Margherita. Fra questi, un cronista o guerriero, che.aveva preso parto alla battaglia di S. Quintino, Cristoforo Duchi di Moncalieri, aveva fatto miniare un elegante libriccino di preghiere per la Duchessa. Marco Claudio de Buttet, di Chambéry, le aveva dedicato un epitalamio. Un anonimo aveva composto un'ode gratulatoria con accenni delicati ai begli occhi e al soave eloquio della sposa. Altri poeti di Francia avevano scritto, chi pastorali, come Jacques Grévin, e chi e réjouissances », come Jacques Dubois o Estienne Jodelle. • • • Le speranze, suscitate dalla venuta di Margherita, non dovevano andar deluse. Si,sa che, fingendosi estranea agli affari di governo e nascondendo abilmente il suo intervento, essa influiva sull'animo del Duca. La sua acutezza e penetrazione e il suo intelletto agile di donna integravano le doti di Emanuele Filiberto, che, oltre l'arte della guerra, in cui era versatissimo, coltivava di preferenza gli studi scientifici, valendosi dell'aiuto di un matematico di grido, G. B. Benedetti. Potranno dire gli storici quali meriti spettino alla Duchessa nell'opera di ricomposizione dello Stato e in quali atteggiamenti politici del Duca si possa sorprendere l'azione dissimulata di Margherita. Certo è che nel rinnovamento degli alti studi in Piemonte essa ebbe una parto importante. Accanto agli uomini venuti per volontà di Emanuele Filiberto (G. B. Giraldi, M. A. Capra, F. Vicomercato, ecc.), altri si aggiunsero chiamati di Francia, come Antoine Gouvea, il Cujas o Cuiaccio, che diedero nuovo lustro all'Università restaurata. Essa protesse i poeti Grévin, Pierre Demay e Jean Grangier e fu larga d'aiuto al Del Bene, che la cantò in varie poesie e la fece protagonista di un suo poema (La città del vero). Dall'Italia il suo interessamento si volgeva ai letterati francesi. Il celebre filologo Amiot fu indotto da lei a continuare le suo traduzioni delle Vite di Plutarco, e Ronsard ottenne, per sua intercessione, da Caterina dei Medici nuovi favori. L'Hospital le indirizzava, poco prima di morire, la sua ultima epistola in latino, lagnandosi di non potere aderire al suo invito di dettar nuovi versi, perchè ormai era vecchio, ammalato, affranto dal dolore per la sua lontananza. •*•■ Ma, fra i poeti che cantarono Margherita, uno si. leva sugli altri per la sincerità e il vigore dell'ispirazione. In lui la lode non è un omaggio con venzionale, ma è quasi adorazione, esaltamento mistico. Gioachino Du Bellay l'aveva veduta, fra un corteo di dame che accompagnavano a Parigi Caterina dei Medici, nel 1549. Era un poeta già celebre per aver pubblicato la prima edizione dell'Olive e i Vers lyriques ; un petrarcheggiante, ricco di reminiscenze classiche e non privo di una simpatica originalità, che risiedeva nel fondo idillico, quasi elegiaco, della sua anima. Ormai stanco di imitare il Petrarca, s'era dato ad arditi voli poetici, sotto la guida di Maurice de Scève e di Pontus de Tyard, verso le sfere del perfetto amore platonico. Proprio allora gli apparve Margherita, che gli sembrò incarnare il suo ideale celeste e casto di bellezza. Da quel giorno, essa divenne la sua ispiratrice: Alors Je m'apercu, qu'ifinorant san mérlte J'avals, sans la cflgiiaistrc, admlió Morgue trite Cornine, saós les cognolstre, on admlro lesfuioux Qualche mese dopo, le presentò il suo Eecueil de poesie, nel quale l'eco del Petrarca e dei platonizzanti Maurice e Pontus svaniva, mentre l'idealizzamento cedeva il posto a motivi più realistici, e anche un poco cortigianeschi. Poi la celebrò sia in una corona di sonetti nel libro dei liegrets, che sono il suo capolavoro, sia in altri componimenti francesi e latini. La seconda edizione dell'Ocre compariva con in fronte un sonetto di dedica « à la fleur des Marguerite» ». Ronsard, che un giorno aveva avuto la gradita sorpresa di sentirsi difendere da Margherita, presente il Re, dagli attacchi di Mellin de Saint-Gelais, faceva eco al Du Bellay e trovava! per lei immagini colorite: « Sur les monta de Savòye, en t quelque part qu'elle aille — Tou i jours, dessous sea pieds, un pré de o fleurs s'émaille ». Per lei Jodelle scriveva i suoi versi migliori, e in lei la Pleiade vedeva una risorta Minerva, una moderna Pallade combattente, armata di lancia, t contre 'ignorance et l'envie ». Così, la Duchessa di Savoia passava fra i canti e gli inni della nuova poesia della Rinascenza francese. « » » Margherita moriva nel 1574. Sei giorni prima di chiudere gli occhi per sempre, aveva dettato per il Duca lontano una lettera, in cui palpita il suo cuore di madre, dolente di non poter più prodigare al figlio le sue vigili cure, e in cui si leggono parole di incorameuto e di rassegnazione: e de mon mal ce n'e3t pas grand cas » Era una pietosa menzogna. La morte la spiava ormai da vicino, e, pochi giorni dopo, recideva quel fiore d'intelligenza e di bontà. Allora la musa di Ronsard si vestì a lutto : e la « divine et chaste Mar guorite » fu cantata per l'ultima vola dal corifeo della Pleiade. .GIULIO BERTONI.