Ecco un prete valdostano che ha fatto da solo il cammino di Marco Polo attraverso il deserto mongolico

Ecco un prete valdostano che ha fatto da solo il cammino di Marco Polo attraverso il deserto mongolico Ecco un prete valdostano che ha fatto da solo il cammino di Marco Polo attraverso il deserto mongolico Il «suo inedito racconto ctllet "Stampa 99 professore don Giuseppe Capra... Il nome è quanto mai nostrano e, Eliciamolo pure, insignificante. Esso è brave, estremamente paesano; può ripeterli?, dopo averlo udito una sola volta, un bambino delle nostre -vallate e certamente devono chiamarsi cosi parecchie e parecchie famiglie dell'alto Piemonte. Quasi quasi non c'è sugo a scriverlo. Non è un nome esotico; uno di quei nomi che sembrano degli scioglilingua e più adatti ad essere pronunciati, anziché dal labbro dell'uomo, da un saxofono. E' un nome, questo, senza il più lieve sapóre di lontananza. Il professore Giuseppe Capra, poi, è un sacerdote nato in un paesello della valle d'Aosta, a Pont San Martin, che tutti conoscono e al quale ognuno può arrivare con un treno qualunque, quasi mai < diretto • e che ha il torto di non passare sui ponti « sospesi sull'abisso » come si conviene agli < intemazionali «, agli c Orioni espressi, alle • Valigie delle Indie »... Nel paesello, infine, si pania soltanto 0 piemontese, infiorato tutt'al più di qualche parola di gergo francese, a malgrado che esso sia alle porte di una delle vallate più belle del mondo e che la polvere della sua strada sia spazzata dal vento che vien giù da certi giganti che si chiamano il monte Rosa, il monte Cervino, il Gran Paradiso... Come se non bastasse, la casa del reverendo prof. Giuseppe Capra è una, casetta comune e dalla sua veranda si vedono, nel praticello che la circonda, i peschi e i mandorli che in questa stagione san già come capannuocie colorate di bianco e di rosa e a inaila pena qualche ghiacciaio scintilla tratto tratto, lontano, in cima alle grandiose quinte che si avanzano dalle catene laterali della < grande vallee » fino a mettersi di costa sul corso della Dora. Viatico paterno Eppure, questo reverendo professore, dal nome qualunque, nato in un pae sello esplorato domenicalmente anche dall'ultimo « meccanico • dilettante ciclista, ha avuto il coraggio di visi.are tutti ì continenti del mondo; ha percorso in lungo e in largo l'Australia, l'India, l'Africa centrale, come se fosse un esploratore milionario inglese o americano, e tra un viaggio e l'altro inse gna all'Università di Roma e a quella di Urbino. Veramente, quando ha infilalo la pri ma volta la tonaca del chierico gli oriz zontl del suo spirito irrequieto non erano cosi sterminati, e aveva appena un buon palo di scarpe chiodaie nei piedi par arrampicarsi sulle mulattiere delle sue montagne. Il padre, che non aveva veduto con troppo entusiasmo runico suo figlio incamminarsi per la strada del sacerdozio, quando se lo trovò davanti con tanto di abito talare, arricciò il naso, ma fece btK*fl viso a quella che egli reputava cattiva sorte. • Sia pure!— disse al saoerdotino, il fiero valdostano — Sei padrone di seguire i dettami della tua coscienza: quello che è fatto è fatto; ma almeno promettami che ti dedicherai ad alleviare le miserie morali e, per quanto sarà in tuo potere, anche quelle materiali del nostri poveri emigranti L'Italia è misconosciuta all'estero e tu farai opera di 'patriottica propaganda; la nostra mano d'opera è sfruttata e tu cercherai in ogni modo di valorizzarla... ». Il sacerdotino Giuseppe Capra, alzandosi sulla punta delle scarpe ferrate e stirando i centoottanta centimetri del suo corpo ritto come il fusto di una quercia, promise che avrebbe assecondati 1 desideri sacrosanti del padre e fece il suo primo viaggio a New York. A quei tempi, e per un valdostano, un tale debutto era piuttosto., energico! In seguito, come abbiamo già detto, giro in lungo e in largo tutto 11 mondo e naturalmente, del mondo, egli conosce ormai tutte le lingue, comprese quelle orientali. — La mia lingua — mi ha detto il professore Giuseppe Capra — è peggio di quella di una donna... Lui Ho parlato con il sacerdote valdostano, e me ne vanto. Gli ho parlato nella veranda della sua casetta che ho già descritta ma della quale voglio dire di più. Alle pareti della camera In cui il professore lavora non ho trovata appesa né una lancia africana, nè la pelle di un coccodrillo ucciso a colpi di « Winchester.» alle sorgenti del Nilo, nè un tappeto del Cachemir, nè il codino furtivamente tagliato ad un fumatore di oppio del Celeste impero. Ho visto sul davanzale che corre lungo tutta la vetrata della veranda, una dozzina di vasi di gerani fioriti e una carta dell'Europa: una di quelle carte che gli esportatori di vini nostrani regalano a titolo di reclame. Poi, soprattutto, ho veduto lui, don Capra." Un fisico da guida di Valtournancue ; un viso che sarebbe forse troppo duro se la luce degli occhi azzurri non lo illuminasse di bontà e di gentilezza allorché egli parla di cose semplici, buone, umane; una fronte ampia e serena, chiusa dall'arco dei capelli fitti e duri come setole, e in tutte le sue movenze qualcosa tra 11 soldatesco e il professorale. Egli accompagna le parole che pronuncia, o con degli schiaffi o con delle carezze. Di .schiaffi, il sacerdote valdostano non deve averne dati in vita sua, neppure ad una mosca; di carezze deve averne prodigate molte, agli ammalati e ai bambini. ' — Professore, sono molto contento d'averla conosciuta e mi reputo orgoglioso che i lettori della «Stampa ora. la conoscano. Mi dimenticavo di dirlo: il professore Giuseppe Capra nel 1926 ha percorso passo passo tutta la strada fatta nel 1272 da Marco, Polo, dalla Cina alla Russia,' da Tientsin a Tashkent, in ferrovia, in piroscafo, a piedi e In portantina attraverso 1 monti Tsinn Ung, e sul carro attraverso lo spaventoso deserto del Gobi; egli ha valicato 11 maestoso gruppo del Pamir, il « tetto del mondo »-. che dai suoi tremila metri d'attetz* dotalo* l'Afgauilstan l'Asia, ti Turcheytan e la Persia, ed è arrivato a Mosca di dove molto umilmente, rimettendo nel portafogli il suo biglietto da visita cinese nel quale pomposa mente figurava come il signor « Casa «ielle cento fortune- », l.a raggiunto. £°ot San Martin, ritornando in tutta semplicifà H prof. Capra Giuseppe, di. anni..* quasi cinquanta, sacerdote, e su per -giù sconosciuto nel mondo internazionale dei grandissimi esploratori. Pochi, per non dir nessuno, sapeva che un Italiano, nostro contemporaneo, insegnante in due Università del Regno, avesse avuto l'idea e poi anche l'ardimento di mettersi 6ulle strade battute settecento anni fa da Marco Polo, e di percorrerle da un capo all'altro. Ci sono degli stranieri che sono più fortunati di lui, se la popolarità acquistata può reputarsi una fortuna. Nessuno vuoi togliere 1 meriti a chicchessia; all'uomo prode e coraggioso, a qualunque nazionalità egli appartenga, è doveroso far tanto di cappello. E' giusto però non dimenticare che costoro sono stati preceduti da italiani 1 quali hanno dato prova di altrettanto coraggio, spirito di abnegazione e amor di patria. . Solo Essendo dunque a Tientsin, il prof. Giuseppe Capra si senti un bel giorno nascere nell'animo il desiderio di rifare la strada percorsa da Marco Polo, e il desiderio divenne cosi prepotente in lui che H 6 maggio 1926 si pose in cammino. Egli non ha allestita nessuna carovana, non si è' contornato di gente armata anzi, di armi non ha voluto portarne nessuna, .non ha messo in movimento qualche centinaio di cammelli ohe tanto, come mi ha detto, li avrebbe perduti per la strada o gli sareb bero morti di mal di cuore. Perchè, mi ha spiegato, U cammello è il più generoso, frugale, paziente degli animali, ma di queste sue ottime qualità paga quasi sempre il fio. Dopo un grande sforzo compiuto dal quale gli uomini non possono rendersi conto egli cade improvvisamente per non più rialzarsi, col cuore spaccato. E- don Capra non ha voluto nessuna commendatizia speciale: si è munito di un semplicissimo passaporto simile ad uno di quei fazzoletti chiesi di carta di seta e sul quale è scritto • La casa delle cento fortune (Cià-pe-là Suen Su) è sacerdote Italiano» e di un biglietto da visita col quale, mi afferma l'esplo: rat ore, si può scorazzare impunemente la Cina. E' ormai lontano il tempo In cui 1 grandi uomini del Celeste Impero viaggiavano con attaccato al collo una grande tavola d'oro sulla quale era inciso tanto di nome e cognome e l'autorizzazione di transito firmata dall'Imperatore. Prima di avventurarsi nel Gobi l'esploratore, italiano ei è recato da Tientsin, sul fiume Azzurro, a visitare la storica città di Slang-Jang che precisamente Marco Polo riusci a prendere ai Cinesi essendo al servizio dei Taratali, nel 1282. Marco Polo, come tutti sanno, non ■a uno scienziato, ma un mercante venerano che partendo dall'Arabia volle condurre a termine dei buoni affari. Con lui c'era 11, padre suo e un suo zio. I tre Veneziani, ai quali naturalmente importavano fino ad un certo punto le vicende politiche e militari dell'Estremo Oriente, badavano a non lasciare nè le loro borse nè tanto meno le loro teste in mano del più forte. I più forti allora erano i Tartari capitanati dal formidabile imperatore Cubile, del quale il nostro grande pioniere fu stratega, mandarino e anche qualcosa di più: infatti egli fu incaricato da Cubile di acconupagnare in Bulgaria la Tartara richiestagli dalla Regina bui. gara come novella sposa per suo marito, quando questi fosse rimasto vedovo. Il viaggio fu terribilmente, fantasticamente lungo e non possiamo dire con precisione in quale stato arrivasse la futura, reginetta al regale fidanzato. Ma questi particolari, nella storia vista a distanza di secoli, non contano. Italia sul fiume Azzurro Il prof. Giuseppe Capra ha iniziato dunque il suo viaggio da Siang-Iang. In questa città il ricordo di Marco Polo è ancora vivissimo come d'altronde è ancora vivo in tutta la Cina occidentale il ricordo e la venerazione, dei primi missionari francescani che arrivarono in quelle terre. E fra questi sono stati padre da Monte Corvino, il primo vescovo di Pechino e il beato Ulderico da Pordenone. Molti altri italiani che però non hanno lasciato nulla di scritto, intorno ai loro viaggi compiuti, hanno seguite in quel tempo le orme incancellabili di Marco Polo. Gli stranieri quindi che si sono accinti poi ad una tale impresa o che stanno per tentarla arrivano buoni ultimi. Questo, ripetiamo, non toglie nulla alle loro benemerenze e non sminuisce l'ammirazione rispettosa che loro si deve. Il prof. Capra, dopo avere visitata la città di Siang-Jang, che sorge su una delle pittoresche anse del fiume Azzurro, ha puntato definitivamente verso il nord/compiendo cioè a ritroso 11 viaggio di Marco Polo che,.allo stesso punto era arrivato dall'occidente. Egli inratti mi dice prima di narrarmi la sua avventura orientale: — La memoria degli antichi nostri viaggiatori rimane viva in quella terre, e fra quelle popolazioni che per tradizioni e narrazioni familiari si tramandano i fatti, le gesta, gli avvenimenti dei loro paesi. Popolo semplice, classe Istruita, autorità, me io hanno fatto intendere, mi hanno detto che altri italiani sono passati, molti e. molti anni addietro e che il loro passaggio fu caro e benefico a tutti. Anzi, chiaramente mi dicevano che volevano onorare in me italiano, non solo il figlio di una grande Nazione, ma anche la memoria degli antichi nostri viaggiatori che visitarono i loro paesi non con scopi reconditi, ma per fare del bene, per farlo conoscere ed apprezzare. E queste parole di incoraggiamento sono state l'unico viatico per l'intrepido valdostano che In tutto e per tutto aveva un passaporto e un biglietto ot» volita e ette uon ha nm avuto j.jI penosissimo viaggio una scorta armata, nè provvigioni d'alcun genere, nè banconote da sparpagliare ai quattro venti. Uno degli episodi al quali egli dà una.certa importanza e che narrandolo! condisca con molto a giocondo u- mtuhsdldecpdPvdrmrntOtrsddftcsnldSctaemcsèqdmlrdpvdblpltSspaacHcpdftflrrstcrsnppncmdslccdmesppdmcsugtemaucèprerpdbzgsgdC morlsmo è quello costituito dall'iincon- tro insospettato, in pieno Turchestan di un agricoltore italiano, il quale gli ha fatto il più grande piacere di questo mondo offrendogli Un peperone 1... ...E Dio mi protesse... Egli non aveva neppure il corredo, abbandonato a Gian, capitale dello Scensi e che egli aveva fatto centro degli studi Ordinatogli dal compianto e grande Ernesto Schiapparelli. — Convinto della bontà e della necessità del viaggio — egli continua — partii, e Dio mi protesse. E Dio veramente lo protesse quando dovette attraversare le pericolosissime Provincie cinesi popolate di soldati avidi di preda, aizzati dai rancori e dalle crudeltà delle interminabili guerre civili, atroci saccheggiatori che seminavano ovunque la miseria, la sofferenza, la* desolazione. Egli camminò nelle solitudini più disperate popolate, soltanto, specialmente nella Cina Occidentale e nel Turchestan dai fantasmi di una superba civtttà millenaria e della quale pochi ruderi resistono ancora all'inesorabile marcia dell» sabbie soffocanti e alle tenaglie dei gelidi Inverni. Da Saohocho, con una barca, il professor Capra, risale il fiume Han. Otto t tiratori » la rimorchiano ; essi camminano completamente nudi sulle sponde del fiume, per dieci ore al gior no, incalzati dal monotono grido del loro capo e arriva dopo un viaggio di 20 giorni di lenta navigazione a Sci-ugau che vuol dire « Gioia e pace » e trova'Ut fatti il paese... in continua agitazione. E qui inizia la parte più dura del viaggio: ora bisogna attraversare i a monti Tsinling che, per la loro natura geologica assomigliano moltissimo alle nostre Alpi. — Ho sofferto la fame — mi dice il professore — ma ho avuto però il conforto di curare molti ammalati, di sollevare qualche miseria, di lasciare un buon ricordo del sacerdote italiano che per primo attraversò i manti Tsinling per la via di Siao-lou, e di... cadere prigioniero delle truppe che assediavano Sian... Fuga sotto le fucilate Poco persuaso di dover far la parte del «prigioniero» il" professore Capra tenia due volte la fuga e sul nume King che cerca di traghettare viene preso a fucilate da uh plotone di soldati. Il sacerdote inerme apre le braccia In croce, grida ai fucilieri di essere un missionario italiano, sconta altri due giorni di prigionia e finalmente riesce a fuggire e a raggiungere il fiume Giallo dove, alla fine di settembre entra in piena guerra civile. E le peripezie continuano, ma egli non le racconta. Lo studioso, senza lasciarsi distrarre da quei mortali pericoli che sono inerenti alla guerra, osserva la larga e ubertosa vallata dell'Hoango nel cui centro sorge Lancen, l'antichissima capitale del Kausu e che sulla parte destra del fiume è tutta un'immensa necropoli. Per tradizione le più illustri famiglie vogliono avere in essa il loro sepolcro « quasi che il riposo sia più dolce cullato dal rumore delle onde del gran fiume, apportatore di vita a molta parte deffla Cina ». Ed eccolo, dopo una breve perma¬ nenza nella città In cui è ospite del connazionale signor Guaita, commissario generale delle Poste, sugli aridissimi e aspri ss imi monti Loess, che dividono il bacino dell'Hoango dalle sterminate e desertiche regioni mongoliche e che egli attraversa sotto la prima tormenta di neve ai passo di Usciolìng. E comincia l'esasperante marcia sul carro a due ruote, traballante sulle strade appena segnate dalle carraie e devastate dalle impetuose acque dei torrenti. I villaggi si fanno di mano in mano sempre più radi e scompaiono riducendosi poi a piccole capanne, kotte, distanti una dall'altra chilometri e chilometri, tragicamente solitarie nel deserto che a poco a poco invade il dominio dell'uomo. La grande muraglia della Cina che si incontra a Ptng-fang muore sulle ultime colline che aveva regolarmente seguite e sul versante opposto di queste si allarga la pianura desolante del deserto di Gobi; lo sterminato mare di sabbia, il regno della morte, il dominio dei venti, centro formativo dei tremendi monsoni. Improvvisamente, dopo avere camminato per intere giornate sui ciottoli e sulla sabbia, ecco apparire un flotto d'acqua; TS. sorgente miracolosa si allarga, forma dei laghetti, delle paludi e, come a Canceu, dà al paesaggio una flsonomia dolce e trasognata che fa pensare ad un angoluccio veneziano. Queste sorgenti danno luogo a parecchie oasi nelle quali crescono pioppi e salici che proteggono degli interi villaggi (tklie case ben saldamente costruite, sormontate e protette da fortilizi e da pagode.