La mia vita

La mia vita La mia vita Un romanzo dì Cèchov che esce ora in italiano La Casa editrice « Slavla •, che sta diffonde urlo in Italia buone traduzioni integrali del capolavori .russi, ha fatto tradurre da Giovanni Faccloll « La mia vita • di Anton Cèchov, romanzo llnora Inedito nel nostro Paese. In questo romanzo — che escirà tra giorni — il grande scrittore russo racconta lo vicende di un gLavane aristocratico che, por rivolta al suo ambiente, l dà alla vila operala eri Innamora di se del suo singolare temperamento una ricca fanciulla, che diventerà sua moglie illudendosi di poter condividere la nuova esistenza di lui. La cortesia dell'Editore ci coniente di anticipare ai nostri lettori queste pagine, elio sono tra le più amorose dell'interessante romanzo. Per tutta la settimana non andai dai Dolzikovy. il vestito di maglia fu venduto. Non c'era lavoro da decoratore e vivevo di nuovo semi-affamato, guadaguandotui da dieci a venti copeche al giorno, dove capitava, con lavori pesanti e sgraditi. Guazzando fino al ginocchio nel fango freddo, spossando il mio putio, volevo soffocare i ricordi e quasi mi vendicavo su me stesso di tutti i formaggi e le conserve che mi avevano servito dall'ingegnere; ma tuttavia, appena mi coricavo nel letto, affamalo e bagnato, la mia immaginazione peccatrice cominciava subito a disegnarmi dei quadri meravigliosi e seducenti, e con stupore io confessavo a me stesso che amavo, amavo appassionatamente, e m'addormentavo d'un sonno profondo e sano, sentendo, che, con quella vita da forzato, il mio corpo diventava solo più forte e più giovane. Una sera nevicò fuor di proposito e soffiò il vento del settentrione, come se veniese di nuovo l'inverno. Tornalo quella sera dal lavoro, trovai nella mia camera Maria Viktòiovna (Mascia). Ella stava seduta in pelliccia, tenendo tutte e due le mani nel manicotto. Perchè non venite più da me? — domandò, alzando i suoi occhi intelligenti e chiari, ma io era sconcertato dalla gioia e stavo davanti a lei irri gidito, come davanti a mio padre quando si accingeva a battermi ; ella mi guardava in volto e dal suoi occhi si vedeva che capiva perchè ero sconcertato. Perdiè non venite da me? — ripetè. — Dal momento che non volete venire, ecco io stessa i6ono venuta da voi. Ella si alzò e mi venne vicina. — Non mi abbandonate — disse, e i 6uoi ocelli si riempirono di lacrime. — Sono sola, affatto1 sola. Ella si mise a piangere e disse co prendesi ii volto col manicotto: — Solai Mi e duro vivere, assai duo, e al mondo non ho nessuno all'in- fuori di voi. Non mi abbandonate! Cercando il fazzoletto per asciugarsi le lacrime, ella sorrise ; rimanemmo in silenzio qualche tempo, poi l'abbracciai e la baciai. graHlamlomi a sangue una guancia contro lo spillone appuntato nel suo cappello. E ci mettemmo a parlare come se fossimo intimi già da tanto, tanto tempo... * * Due giorni, dopo ella mi mandò a Dubècnja e io ne fui indicibilmente felice. Mentre andavo alla stazione e poi mi sedevo in carrozza, ridevo senza motivo e la gente mi guardava come se fossi ubriaco. Nevicava e di mattina c'era il gelo, ma le strade già nereggiavano e su di esse volavano, gracchiando, le cornacchie. Da principio facevo conto di siste mare l'abitazione per noi due, per me e per Mascia, nell'ala laterale di fronte al padiglione della signora Cepràkova, ma in essa, come si constatò, vivevano da gran tempo i colombi e le anitre ed era impossibile ripulirla senza distruggere una quantità di nidi Volenti o nolenti, ci toccò rivolgerci alle scomode stanze della grande casa dalie persiane. 1 contadini chiamavano questa casa palazzo; c'erano in essa più di venti stanze, ma tutta la mobilia consisteva in un pianoforte e in una grossa sedia per bambini che giaceva in soffitta e, se anche Mascia avesse portato dalla città tutta la sua mobilia, non avremmo ugualmente po tulo distruggere quell'impressione di vuoto tetro e di freddo. Scelsi tre pie cole stanze con le finestre sul giardino e dal mattino presto lino a notte io le assettavo mettendo nuovi vetri, incoi landò la tappezzeria, turando fessure e buchi nel pavimento. Era un lavoro facile e piacevole. Correvo ogni mo mento al fiume per vedere se il ghiac ciò se ne andava; mi pareva sempre che fossero arrivati gli stornelli. E di notte, pensando a Mascia con senso di dolcezza inesprimibile, tutto preso dalla gioia, tendevo l'orecchio al rumore dei topi e al rombare e picchiare del vento sopra il solaio; pareva che in soffitta tossisse il vecchio folletto. La neve era profonda; ne cadde an cora molta alla line di marzo, ma essa si sciolse presto come per incanto, le acque primaverili passarono impetuose, di modo che al principio di aprii già strepitavano gli stornelli e volavano in giardino le farfalline gialle. Era un tempo meraviglioso. Ogni giornol prima di sera, andavo verso la città a incontrare Mascia e che delizia camminare a piedi nudi sulla strada che andava asciugandosi, ma ancora molle I A mezza strada mi sedevo e guardavo la città, nè mi risolvevo ad avvi Chiarini di prò. La sua vista mi turbava, lo pensavo sempre: che diranno di me i miei conoscenti apprendendo il mio amore? Che avrebbe detto mio padre? Particolarmente mi turbava pensiero che la mia vita si era complicata, clic io avevo totalmente perduto la facoltà di dominarla e che essa, come un pallone aerostatico, mi trasporlava Dio sa dove. E non pen savo più a come guadagnarmi la vita, a come vivere, ma pensavo... non ricordo proprio a che cosa. Mascia arrivava in vettura; io scd_ vo accanto a lei, e noi andavamo in sieme a Dubècnja, allegri e liberi. Op pure, atteso il tramonto del sole, tor navo a casa scontento e tristo, non comprendendo perchè Mascia non fo se venuta, ma al portone della villa0 nel giardino mi accoglieva inattesa mente una graziosa apparizione: leil Risultava che era arrivata in ferrov e dalla stazione era venuta a pied Clie festa! In semplice vestito di lana, col fazzoletto in capo, con un modesto ombrello, ma attillata, armoniosa, con le costose scarpine venute dall'ester_. era un'attrice di talento che recitava la parte della borghesuceia. Noi visi tavamo il nostro dominio c stabilivamo dove sarebbe stata la camera di ciascuno di noi. dove sarebbero stati 1 viali, l'orto, l'alveare. Avevamo già ,dei polli, delle anitre e delle oche, che noi amavamo molto perchè erano nostre. Avevamo già preparato per la semina dell'avena, del trifoglio, del fleo. del gran saraceno e delle sementi da orto, e ogni volta esaminavamo tutto questo e discutevamo a lungo quale avrebbe potuto essere il raccolto, e tutto ciò che dic-va Mascia mi pare a straordinariamente intelligente e bello. Fu quello il tempo più felice della mia vita. Poco dopo la seconda settimana di Pasqua, noi ci sposammo nella nostra chiesa parrocchiale, noi villaggio di Kurilovka, a tre verste da Dubècnja. Mascia volle ciré tutto fosse modesto; per suo desiderio i valletti d'onore furono giovanotti di campagna, cantò un solo cantone, e noi tornammo dalla chiesa in una piccola carrozza traballante ehfi ella stessa guidava. Sola ospite della città fu mia sorella Kleopàtra, a cui tre giorni nrima delle nozze Mascia aveva mandato un biglietto. Mia sorella aveva un vestito bianco n i guanti. Durante la cerimonia, ella pianse dolcemente di tenerezza e di gioia, il suo volto aveva un'espressione materna, infinitamente buona Ella era ebbra della nostra felicità e sorrideva come se aspirasse un profumo inebriante e, guardandola durante la cerimonia, compresi che per lei nulla c'era al mondo di pifi alto nlie l'amóre, l'amore terreno, e che ella lo sognava adesso in segreto, timidamente, ma di continuo e con passione. Ella abbracciava e baciava Mascia e, non sapendo come esprimerle il suo entusiasmo, le diceva di me: — E' buono! E' molto buono I ANTON CÉCHOV.

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