Aurora di Giaffa

Aurora di Giaffa Aurora di Giaffa H periodo aurero della pensione Pancaldi, al settimo piano di San Oarlo al Corso, fu segnato precisamente dalla presenza dell'agitatore nazionalista Gionata Bhimestein, nativo di Giaffa ed acerrimo nemico dei cristiani, studioso di cose ebraiche e sognatore instancabile di un florido regno di Palestina, ove lui e i suoi correligionari di tutto il mondo sarebbero andati a trascorrere la loro vita- tra immense agiatezze e campi ubertosi. Blumestein, rivoluzionario dal fisico insignificante e dalla voce corpulenta, raggiungeva, a mezzogiorno preciso, casa Fancaldi, preceduto da una fame spaventevole; agile come scoiattolo si fumava lo scalo e, ossequiando a destra e a manca, calava il naso sulla ampia minestra calda. Da questo momento egli esigeva l'attenzione della lunga tavola con lo sue interjniiiabili apologie del sionismo, e lo ascoltavano, nervosi, un disperato amatore di cavalli, in realtà impiegato alla Banca Italiana di Sconto, alcuni pittori spagnoli, gran mangia tori di pane, e una dozzina di borghesi avari e milionari, incapaci di spendere più di uno scudo a pasto. Gente usuraia, ecco, frequentava la pensione Pancaldi, che un tempo risonò delle orgie e dei dollari di gai artisti stranieri; chi si portava sotto la giacca le arance comprate al mercato lontano, chi il triste vino nelle minuscole bottiglie da farmaci. Eppure la casa sembrava una galleria: quadri di valore e statue antiche e moderne ingombravano l'ingresso, le pareti e i corridoi. Tuttavia si pagavano pranzo e cena meno che in tutte le osterie di Roma. Perciò il cospiratore di Giaffa si impose al settimo piano di San Carlo al Corso. Guadagnava poco ma alla fine del mese saldava in anticipo la vedova Pancaldi, e rimaneva. Le polemiche religiose lo appassionavano grandemente tanto che i tafferugli si consideravano quotidiani tra lui e il cavallerizzo o gli spagnoli; Blumestein voleva l'indi pendenza della Palestina con Giaffa capitale o per conseguenza frustava a sangue i cristiani. Spaventata i clienti più timidi non tornavano più, lasciando il loro posto ai fedeli seguaci del separatista. Un fianco della tavola ospitava ormai gli ebrei scalmanata, in fila serrata; il capo contava di conquistarne anche l'altra fila a forza di invettive contro i borghesi di fronte, su cui si scagliava molto volentieri, sapendoli agiatissimi, ignoranti e vili. Era arrivata, la mattina, da Mosca la coppia Klimòf, ricevuta alla stazione centrale da Gionata Blumestein. Davide ed Aurora Klimof avevano abbandonata la Russia rivoluzionaria perchè ebrei dissidenti e disciplinata seguaci del redentore di Palestina. Rifugiatisi a Roma, oocu- i jyywi, "tra un Ìc-Tliberi in casa Pancaldi, quace e battagliero pittore brasiliano e il cavallerizzo. Klimof, dalla voluminosa borsa di cuoio rosso, l'impermeabile trasparente, gli occhi larghi di vetro opaco e la faccia gonfia asimmetrica e incoronata di capelli e barba rossiccia, aveva preferito l'esilio perchè convinto, dalla moglie, delle sicure promesse di Blumestein, ma non era vero che a Mosca viveva da cane e d'altro canto nessuno sapeva che lui professava idee di nazionalista monarchico. Anche nella pensione Pancaldi taceva o mangiava, approvando con leggeri colpi di testa le terribili profeto del maestro. Il suo chiaro compito non andava di là dal mangiare taciturno e abbondante. Aurora Klimof non era più eloquente del marito e però il suo silenzio emozionava più di un romanzo. Seduta di fronte al redentore si curava poco della qualità e della quantità dei cibi e poiché aveva la bocca piccola e le mani di bimba si nutriva di briciole, ma i stipi grandi occhi neri, tristi e incerti divoravano Blumestein o saettavano l'intera tavola, eppure non si vedeva tra tanti colossi dato il suo corpicino di bambola da villaggio. Soltanto i grandi occhi incastonati tra gli ampi zigomi denunciavano la profonda intelligenza di Aurora che, del resto, ora upa piccola donna semplice e per nulla degna di attenzione, dai capelli unti e divisi in mezzo alla leggera pelurie deb volto olivastro su cui ardeva lo sconfinato amore per Giaffa, terra nativa, tutta per gli israeliti. * * Le polemiche si moltiplicavano, e le conclusioni le esigevano dalla consorte di Klimof, unica donna della tavola; come ruscelletti veloci i discorsi andavano a finirò contro la tesa attenzione di Aurora. I complimenti e le ingiurie attraversavano apzitutto il suo corpo, il fumo delle sigarette e l'odore del vino la pigliavano di bersaglio ; tuttavia la delicata figlia di Giaffa rimaneva inchiodata alla scafo mentre numerose perline di sudoTe le incoronavano l'ampia fronte e le labbra sottili. Sorrisi lontani si illuminavano negli occhi dopo lunghe tappe di tristezza se Gionata BlumeBt«in, alla fine d'una parabola dal significato spaventevole, batteva trionfalmente il grosso pugno sulla ta vola. Allora la Klimof lasciava sfuggirsi una approvazione, non altro che un breve cenno della testolina d'un nero lucente. Ritornava di colpo a soffrire appena il crudele cavallerizzo o gli spagnoli contrattaccavano le teorie del profeta, solidificando le idee eoa lazzi, risate e colpi di gomito sul legno. Immobile e senza fiato stava la piccola ebrea, linda ed umile tra tanta cenere di macedonie sparse nelle tazze del caffè, si levava soltanto appena Blumestein dal volto di brace, spargendo sulla tovaglia gli avanzi del sigaro, andava via maledicendo nel suo idioma l'avversaria gè Fuori, la coppia Klimof lo accompagnava, sempre silenziosa, a passeggio, oltre il Palazzo di Giustizia, o lei lo ascoltava col profondo orecchio dell'anima. Secondo le elementari teorie del marito, Aurora era una timida creatura, per la cui bocca non esistono lo parole e i suoni. Nella pensione Pancaldi nessuno ancora conosceva la sua voce, eccetto Blumestein che trascorreva al Caffè Greco intere ore con Davide Klimof e la signora nel giuoco degli scacchi. Certo l'uomo dall' impermeabile trasparente avrebbe persino concesso alla ingenua moglie, senza alcuna ombra di gelosia, anzi orgoglioso, di passeggiare sola con l'agitatore di Giaffa, nè il più lontano sospetto di tradimento avrebbe fatto ricadere sull'uno o sull'altra. Aurora, però, avrebbe rifiutato decisamente di rimanere testa a testa col grande e terribile Blumestein, nelle cui mani larghe e pelose stava riposto il destino della Palestina. Troppo, questa era la verità, la appassionava il compatriota eloquente. Dentro di sè, nella fragile e forte anima sentiva di dominarlo e di ispirarlo, ma nella realtà avveniva il contrario. Soltanto con la fantasia si portava vicino a lui e gli confidava il suo amore, ma per le strade, al caffè, nella pensione rimaneva a bocca cucita. La politica aveva in Blumestein soffocato tanti bei sentimenti e al punto tale che il sognatore della libera Palestina vedeva in Aurora non la sua innamorata, ma il simbolo del la lontana terra nativa. — Gionata, gli avrebbe voluto di re la triste commensale, tu porti Giaffa redenta sul palmo delle mani e con la tua parola pura, santa e robusta la togli a poco a poco dagli artigli stranieri, se il mio cuore ha forza, questa, ti dico, la passo a te perchè tu possa combattere con maggiori mezzi, però al di sopra del mon do e degli eventi io ti amo e vorrei vivere ai tuoi piedi infaticabili per respirare intorno a te la grandezza della tua anima cristallina. Sono povera e debole, ricchezza e benessere a te ho sacrificato, ti seguo per il mondo e soffro ! Veleni infatti e non cibi assapo rava alla pensione Pancaldi la sensibile Aurora, e per amore di Blumestein dimagriva in segreto. Guai, purtroppo, quando i profeti perdono la serenità che li rende immortali o il loro sangue si riscalda fino a bollire negli occhi e nelle tempie; allora diventano, detti apostoli, dei volgari e' sudici energumeni piangono, bestemmiano gli antenati e le anime innocenti, si mordono la lingua e la sputano, si rotolano per terra, vomitando e sbottonandosi perfino le scarpe. Una sera* avvenne identico fatto con Gionata Blumestein. Il cavalle rizzo gli spruzzò il vino in faccia, alla presenza di Aurora Klimof. Come un lampo, il profeta si scagliò. JmlI'avversano, scavalcando la tavo-T1*' e > 6Taffi ? 1 Pugni> nf{ corP°a corpo, non si contarono più. Nes suno levò un dito per salvare Blumestein ' dalla rivincita dell'amatore di cavalli, magro ma muscoloso e .velto, che, a sua volta, lo mise con le spalle a terra sempre pestandogli la fac eia a colpi di pane duro. Pietrificati rimasero i commensali alcuni con la forchetta a tre dita dal la bocca, altri col coltello in aria, gli spagnoli con la crosta tra i denti Dopo il primo pugno sferrato, l'agitatore di Giaffa si lasciò massacrare dal cavallerizzo, limitandosi a copri re l'avversario di trivialissime male dizioni. Il più forte, zitto e cauto menava senza misericordia, sfogando la bile accumulata in tanti mesi, e picchiava con eleganza e metodo non accennando alla minima stan ohezza; da pugilista che vuole vince re. ai punti, gli risparmiava la dura lezione dello svenimento immediato Inginocchiata, Aurora, invano supplicava. — Asse:, atsez, monsieur/ lid era la prima volta che nellapensione Pancaldi faceva udire la sua dolcissima voce. **# Blumestein si levò senza fatica; non il più piccolo sfregio alla faccia, nè la più minuscola goccia di sangue alle mani si trovò, staccandosi dalla terra sporca, ma si sentiva le ossa spaccate e la carne pesta. Ormai, muto o avvintissimo, si lasciò spazzolare dalle morbide e tremanti mani di Aurora. In fondo alle scale una dozzina di fanciulloni ebrei cospiratori lo acclamò al suo apparire, e Gionata scoppiò in pianto rumoroso sulle spalle dell'amica. — A morte il cavallerizzo! Minacciarono i ragazzi e feceroper slanciarsi di colpo fino al settimo piano. Aurora, però, li trattenne con la sua dolcezza infinita e spiegò che non con il sangue ma con la amora volo persuasione si riscatta la libertà del lontano paese. Ciò detto, come visione, scomparve, umilmente, tra le pieghe dell'impermeabile di Klimof Soltanto Gionata Blumestein ritornò da Pancaldi quei tre giorni che rimanevano alla fine del mese. ANTONIO AMANTE

Luoghi citati: Mosca, Palestina, Roma, Russia