La morte del carnevale

La morte del carnevale COSMOPOLI La morte del carnevale Roma, febbraio. Un avviso del principe Spada Poteri; ziani governatore di Homa, avverte 1 cittadini che armo vietate le maschere — sia isolate che in comitiva — sulla pubblica via, unitamente al gettito di magnettacci, coriandoli, stelle filanti e altre galanterie del genere. Ma i passanti frettolosi non leggono nè meno questo avviso e continuano per la loro strada senza accorgersi nè meno che siamo In Carnevale, perchè a Roma U Carnevale è definitivamente morto e nessuno ci pensa più, ne meno forse per rimpiangerlo. E' morto come sono moTte le giostre al Testaccio, i Fuochetti del teatro Corea, la girandola di Castel Sant'Angelo, il lago di Piazza Navona, la veglia orgiastica di San Giovanni e in generale tutte quelle feste popolari onde la plebe di Roma prolungava in pieno cattolicismo le antiche tradizioni pagane. E in fondo non poteva essere altrimenti. Un tempo il popolo vegetava e penava durante tutto l'anno e aveva solo per spasso questi grandi festeggiamenti pubblici, durante i quali gii era lecito mescolarsi coi signori e partecipare in certe modo ai loro divertimenti. Oggi coi teatri aperti a tutti, coi cinematografi, coi concerti, con le grandi riunioni sportive, quella esclusione è fluita e ogni operalo e ogni artigiano può durante tutto l'anno prendersi cruelli svaghi che un tempo gli erano vietati. Le eorse dei Barberi Altri tempi, dunque, ed altri costumi: dobbiamo veramente rimpiangere i carnevali d'una volta, e le corse dei barbari e i lunghi cortei di maschere, mali ci sono descritti dai laiidalores temporis adi? per conto mio, rispondo francamente e sinceramente di no. I famigerati corsi d'una volta, i festini dell'Argentina e del Tordinona o i ve glioni del Costanzi erano una brutta cosa e se qualcuno ancora li rimpiange, non è per la loro bellezza perduta, ma per l'illusione che a quella bellezza prestava la gioventù tramontata. Quando io ripenso a quello che erano, mi rallegro in cuor mio che un'epoca più civile li abbia aboliti e abbia insegnato al popolo divertimenti meglio adatti e infinitamente più estetici. Né c'è .da credere che nei Secoli scor- si la loro magniflcifnza fosse reale Nati in pieno rinascimento — e più sotto il p-ntiflcato di Piao,,° 11 che dai prati del Testacciodove erano limitati in campo chiuso li'trasportò sulla via del Corso — consistevano in gazzarre incivili e brutali, con non raro spargimento di sangue. Benedetto di Cola, nella sua cronaca sotto l'anno 1467 ci fa sapere che « arti2 de febraro fu corso lo palio dell; Jurtel e arti 6 febraro fiKCorso lo palio delll Vecchi ». Corse, come si può capire che da un triste esibizionismo d'infermità e di sofferenze traevano il loro lato umoristico. E che dopo queste corse si ebbe « lo palio dalli Bufali, e lo palio dellli barberi » il quale ultimo « perchè non fu data bona mossa fu corso da S. Maria del Popolo fino a San Marco e ebbolo Paolo Angelo de Juliano ». Ora io ricordo che cosa erano queste « corse dei barberi », quando — verso il tramonto — si lanciavano a tutta carriera una mezza dozzina di cavalli, non guidati nè retti da nes sun fantino, a traverso la folla che solo all'ultimo momento si ritirava sul marciapiedi laterali- I cavalli — 0 barberi come si chiamavano per tra dizione popolare — erano martirizzati da aculei e da ferraglie che battendo sulle loro schiene li rendeva pazzi e gl'incitava a correre disperatamente. Inutile aggiungere che ad ogni corsa c'era sempre qualche ferito grave e magari qualche morto. L'ultima corsa avvenne nel 1893 e ai chiuse con un massacro generale: una quindicina di feriti e tre morti. 11 re Umberto, che assisteva al corso da una finestra del» palazzo Fiano insieme con la regina Margherita vide Iti fulminea tragedia che si svolse sotto i suol o/ichi e a pena fu informato della gravità del caso, senza nè meno aspettare la carrozza scese nella via e a piedi si recò all'ospedale dl S. Giacomo a visitare i feriti. Ma da quel giorno dette ordine che di ta li corse non si parlasse più: e i ■ barberi » infatti furono aboliti. // carosello della Regina di Svezia Del resto il cosi detto corso di gala degenerò presto —'"col volgere dei tem pi — in una incivile gazzarra- Erano passati i giorni in cui il principe di Galles — colui che fu poi Edoardo VU — e suo fratello il duca di Connaught, potevano girare pedestreniente tra la lolla e lanciare alle belle signore romane, mazzolini dl fiori e confetture sopraffini. La plebe scatenata non conosceva più gerarchie nè disciplina, come 1 « gentiluomini » dei balconi e delle finestre non esitavano a gettare nella folla soldi arroventati per dilettarsi agli urli e alle smorfie dolorose dei poveri diavoli che non curanti dalle crudeli bruciature si affannavano a raccoglierli da terra. Da parte loro la teppa che si era insinuata fra la popolazione, invece dl fiori lanciava veri e propri proiettili, cerchiati di rll di ferro spinoso che producevano sui volti lacerazioni e ferite dolorose. Di fronte a queste barbarie, 1 autorità di pubblica sicurezza dovette intervenire, e anche i corsi furono proibiti E coi corsi finirono anche le mascherate allegoriche, le quali in Roma avevano tradizioni alustri, tanto che talune erano state immaginate e ordinate dailó-- stesso Cavalier Bernini. La storia" ricorda ancora quelle dell anno 1656 anno che ebbe un Carnevale singolarmente sontuoso per la presenza della regina di Svezia. In suo onore 1 principi Barberini dettero nel cortile interno del loro palazzo alle Quattro Fontane, un ricchissimo carosello, per il quale il detto cortile fu trasformato in teatro con due file di palchi l'una sopra l'altra. « Per dar lume al Campo— racconta Gualdo Previato nella sua Història della Sacra Redi Maestà di Cristina di Svezia — oltre alle spalliere di grosse torcie e di materiali d'artificio che ardevano sopra diversi colonnati finti, sopra le scalinate e da' capi dello steccato erano sedici gran stelle artificiosamente composte di filo di fer ro ognuna delle quali alzata e lihfata in aria con moderna e mai veduta inventione nel mezzo del campo, conteneva sedici grande torcie, sì che a buon calcolo questa sola illuminatione costava un buon migliaro di scudi ». Ipalco di Sua Maestà era nel mezzo, parato di dentro e di fuori da broccati ricchissimi, con un gran baldacchino cremisi ; tutto listato e frangiato d'oro. Per l'occasione la Regina eia accompagnata da quattro cardinali — primo dequali il così detto coadiutore HetzPaolo Gondi — e da un gran numero di principesse e di dame « tutte vagamente abbigliate e risplendenti ». li carosello composto di 34 cavalieri In abiti magnifici, da 8 trombetti e da 120 palafrenieri, si svolse in modo esemplare. Alla fine d'esso comparve un « bellissimo carro dl vaghissimo disegno . _ e sl capisce: lo aveva immaginato Gian Lorenzo Bernini in persona — « tirato da tre musici in abito ddee rappresentanti le tre grafie. Vi sedeva sopra, in maestoso sembianteRoma festiva, la quale bramosa di palesar la sua gioia per la venuta di sgran principessa, mostrò di haver assunte le sembianze et abito d'Amoregià che essendo questo l'anima dell'Universo elesse per immutabile suo trono il cuore di lei, come Città deMondo ». Ma questa giostra Immaginosa non tu la sola festa offerta alla Regina da princlpi Barberini, Vi furono ballò, banchetti, concerti di musica e perfino la rappresentazione teatrale di un'opera in musica di Marco Marazzoli Intitolata li monto della pietà ossia la Vita umana, « molto degna per l'apparato delio scene che furono vaghe per la dottrina e bellezza deJla compositione e anche per la soavità della musica che fu squisitissima ». Né i Barberini furono 1 soli a festeggiar la Regina, che i principi Pa.mphily avevano trasformato la facciata del loro palazzo sul corso in una « lunghissima ringhiera sostenuta da un primo ordine di colonne che dal laii formava due bracci ritirati un tantino, in uno dei quali si dovevano trattenere li Cavalieri di Sua Maestà, dall'altro le Dame » 11 centro di questa ringhiera era riservato alla' Sovrana e i principi Pamphily lo avevano • tutto griernito di recami d'oro, su raso e velluto turchino col soglio e baldacchino regio per lo più con l'impresa di Sua Maestà e suoi Regni, di ricchissima canutiglia ». Fu da quella « ringhiera » che Cristina di Svezia assistette al passaggio delle varie mascherate carnevalesche. Cosi fini il gran carnevale del 16Ò6; ma fini male, perchè fra il tripudio dei banchetti e delle maschere, si facevano udire t lugubri rintocchi delle campane delle chiese di Roma che chiamavano i fedeli alla preghiera per scongiurare M terribile flagello della peste, che già serpeggiava più o meno violentemente in Italia. // primo valzer Col secolo XVIII il carnevale, pur continuanao le sue tradizioni saiurnalesche, si trasforma a poco a poco, penetra' nei teatri, s'insinua nelle famiglie, è l'epoca dei « festini a notte lunga » ai baMi in maschera, alile riunioni più 0 meno licenziose nei ridotti dove già si abbozzano quelle promiscuità e quelle libertà di gesti e di parole che fanno presentire la prossima rivoluzione. E poi il popolo comincia a brontolare, e menitre avventurieri d'ogm genere sono accolti generosamente nei crocchi più aristooratoci, i servi che aspettano i padroni sulla porta rissano tra loro, si bastonano e sono bastonati. Il mondo cambia e gli avvenimenti precipitano anche nella Città Eterna, che per le sue tradizioni e per le sue consuetudini sembra condannata a una immutabile immobilità. Ma non bisogna credere ohe le « nuove idee » siano accettati" nella loro esteriorità straniera. Liberta, si; eguaglianza, anche; fratellanza, mama di marca nazionale e non S S^ri: appoggiate dail'le baionette del generale Cacault o dalla propaganda del st: gnor di BasseviMe. E poi del Papa si vuol dirne male in famiglia e contro il suo governo mormorare fra concittadini. Ma venga il generale Radet e faccia prigioniero Pio VII e tutta Roma CAVSlp13sstbiisBCBBBBBBBrtmsdlqnI si. ribellerà contro l'ingiustizia stra niera Per queste ragioni, i carnevali repubblicani e quelli che precedettero la creazione del « Dipartimento del Tevere » furoii.i più tosto malinconici. E fu per queste ragioni che, proclamato l'Impero e all'Impero riuniti li stati ro mani, Thournon — prefetto di Roma — ordinò che il Carnevale fosse brillantissimo e lo inaugurò lui stesso con un ballo che rimase celebre, così come rimase celebre quello col quale H ge nerale Miollis cliiuse i festeggiamenti carnevaleschi. A quest'ultimo partecipò in folla l'aristoorazia e molte furono le mascherate, fra cui quella dei « cavalieri inglesi » formata da gentiluomini e gentildonne in costume elisabettiano. Ne facevano parte la marchesa Giustiniani, la marchesa di Cerva, la duchessa di Fiano. la marchesa Simonetti e la contessa Belluccio-Moroni, che avevano per cavalieri i marqhesi Olgiati e CavaJMetti, il conte Crivelli e i due giovani Stuart, ultimi pretendenti al Trono inglese. La musica fu diretta dall'arpista Isabella Palombi e s1 « danzò all'inglese » con un qualche scandalo dei numerosi ufflciaili dell'esercito imperiale — si era, si noti bene nel 1810 — che fremevano a quella anglomania della società romana. Ma 1 personaggi ohe la professavano erano tali, da vietare ogni intervento! Fu anche, in quel carnevale che si ballò il valtzer per la prima volta a Roma e la nuovissima danza fu accolta come oggi è stato accolto il charleston.. I primi a danzarlo furono il capitano Garabeati, aiutanie di campo dei generale Miollis. e quello stesso Radet, che aveva arrestato Pio VII e che volle mostrare la sua valentia di ballerino iniziando la danza che allora pareva eccessivamente lasciva, con la moglie dell'Aiborghetti 1 Carnevali romantici Caduto l'Impero e ritornato trionfai mente il papato, i carnevali riprese ro la loro fisonomia di un tempo e furono brillantissimi. Sono i carnevali romantici come ce li descrivono il Hawtherne net. suo Marble Faun, il Dickens nella sua Little Dorrit e Alessandro Dumas in quel suo Montecristo dove ci fa assistere a tutto il drammatico intrigo del brigante Vampa, mentre il corso s'incendiava di moccoletti. Sono i Carnevali pontifici dell'About, carnevali di popolo e di aristocrazia l'uMiimo dei quali — quel lo del 1866, alla vigilia di Mentana, è rimasto celebre nei suo tasto e che culminò col ballo di Casa Borghese dove si videro» — forse per l'ultima volta — molte dame e molti gentiluomini indossare i costumi autentici che avevano indossato i loro illustri antenati, come Vittoria Colonna che vestì, quello della Poetessa amica di Michelangelo, e don Virginio cenci il robone di velluto nero del terribile pa dre di Beatrice I Divenuta Roma italiana, il cara e va le si trascini1) ancora per un paio di decenni! per poi morire senza infamia e senza lode, in fondo non rimpianto da nessuno- E quest'anno, si ribadisce sulla sua tomba la pietra sepolcrale. Nessun grande ballo privato e pochi veglioni di secondo ordine. Solo la Corte ha dato un balletto agli amici delle Principesse, ma così intimo e ristretto ebe solo pochi ne hanno saputo qualcosa. E per la fine del Carnevale, alla vigilia delle Ceneri, la principessa di San Faustino ha organizzato un gran ballo in maschera a beneficio del suo Sanatorio Elìoterapico. E questo ballo, che è l'unico di tutta la stagione carnevalesca, è sotto l'alto patronato di S. A. R- la principessa Mafalda ed è organizzato — per quel che riguarda la parte arti stica dei costumi — dal suo consorte il principe d'Assia. Poi verrà la Quaresima e Roma continuerà tranquillamente la sua e sistenza cosmopolita senza ricordar nè meno che c'è stato un Carnevale e che questo Carnevale è passato. DIEGO ANGELI. Bqao1dqslddLzcat