Il DUBBIO

Il DUBBIO Il DUBBIO spesa. Portava una pelliccia vcc(hia ma ancora decente, un cappellino modesto e, tra le mairi inguantate, una grossa borsa nera. Il suo viso rotondo • dagli occhi lucenti, dal naso un po' grosso, vòlto leggermente all'insù, era piacevole a guardarsi come tutta la sua persona grassoccia e i suoi gesti lenti. Ella bì fermava a lungo nelle botteghe, discutendo seriamente col macellaio, osservando con occhio attento i vari pezzi di carne, esitando e riflettendo prima di comprare la più modesta verdura. Altre signore che facevano la spesa come lei le rivolgevano la parola; alcune, avendo appreso che un tempo ella faceva la maestra di scuola, le proponevano qualche lezione. Ma lei rifiutava sempre, con pretesti vaghi. Tornata a casa e messa ogni cosa a posto, sedeva accanto alla tavola dov'era posato il fornelletto a gas, nel corridoio che serviva da cucina, e lì si faceva cuocere un uovo o un pezzetto di carne in un tegamino minuscolo, e poi mangiava adagio adagio, tendendo l'orecchio ai passi della gente su per la scala, col viso illuminato dal piacere, da . una sensualità calma, di gatta egoista e solitaria. Nel pomeriggio ella non usciva mai: aiutava la figliuola a fare i compiti, ripassava lentamente il bucato e intanto pensava a quel che avrebbe fatto cuocere per cena. Il signor Marino, il cavaliere, quello ohe pagava la pigione del mezzanino, il vestiario e i vari pasti della giornata, non veniva tutte le sere, poiché le sue occupazioni non glielo permettevano. Era ingegnere delle ferrovie e viaggiava spesso. Ma ogni sera madre e figlia l'aspettavano fino alle nove: quando le nove scoccava no ed egli non era venuto, traevano un sospiro di sollievo e andavano a letto. Quando veniva e si sentiva il suo passo nervoso su per le scale, la figliuola si faceva pallida e si stringeva convulsamente la cintura con un gesto quasi incosciente ; la madre, ogni volta, le diceva : — Su, Vera, non fare la sciocca. Va ad aprire a papà. E buttagli le braccia al collo, mi raccomando. •Vera apriva la porta e con un gesto goffo e sforzato buttava le braccia al collo del papà. Talvolta egli gradiva l'abbraccio e stringeva al petto la magra testolina di nera cai da o morbida come quella d'un uc-re.llino dalle piume castano 1 osse, e \u quella .stretta le. aijrufjav*. Tioi magnìfici ^capelli. ì respingeva brusco ed entrava 'con i* ria sospettosa, le ciglia aggrottate. J*Era un uomo piccolo e magro, elegante, con le tempie cave, gli occhi torbidi e pure pungenti, il mento raso e magro, qualcosa di perennemente agitato nel volto e nei gesti. Cominciava a brontolare perche le spese erano forti. — Cara Matilde, spendi troppo!. E non voleva, vedere il quadernetto dei conti, non accettava spiegazioni. La donna» protestava, con lo lacrime agli occhi. — Se non andiamo mai in nessun posto... Mai a un cinematografo, mai a un teatro... Sempre chiuse, qui, in case.! Se non vuoi nemmeno più che si mangi, dillo!... Egli sedeva accanto alla tavola, mostrando il capo stretto e calvo sotto la lampada e si metteva a esaminare i compiti di Vera. Se la faceva sedere vicino, sempre più vicino, la teneva stretta per le spalle e le sue dita secche e dure sembravano entrare nella carne delicata della fanciulla che faceva uno sforzo per non gridare. Insegnandole la regola del tre o l'analisi grammaticale, egli la guardava con una avidità tormentosa, negli occhi, in fondo alle pupille, nella fronte, nella bocca, in tutte le più rapide ombre di quel piccolo viso "he si contraeva dolorosamente e pareva farsi sempre più piccino, menile quella curiosità terribile e insanabile sembrava gridare una domanda sola a cui nessuno rispondeva: Ohi seif Chi sei?... Poi la carezzava, :on insistenza, sul capo, intorno al riso, sulle gote, e le sue carezze erano così pesanti che Vera si rattrapgiva tutta e il suo collo si curvava «me quello di un fragile fiore che ta per spezzarsi, e così malefiche che » fanciulla all'indomani sembrava ialata, con gli occhi cerchiati di vioi, la bocca screpolata, le gambu maire e i gesti rigidi come quelli di ila marionetta. Chi l'osservava, diéva tra sò: — Quella bimba non ivrà... .'Le sere più terribili per lei erano «elle in cui il cavaliere si chiudeva j camera con la mamma e stringenola alle braccia le sibilava sul viso: Confessa che Vera non è mia!..ami chi è suo padre !... Confessa !..ira!... Dimmi una buona volta la ritàlU La donna gemeva, fissando nel vuoti suoi occhi spaventati, che non \rdavano, che non sapevano, pooochi di donna debole, che vorpe rinnegare tutti i suoi peccatiE' tua, Marino, te lo giuro!... Sai che cosa tocca a chi giura (so?... La prigione in questo mon-l'infcrno nell'altro. Lo sai? |sentiva un'anima di carnefice: lava la donna, poi si guardava km Ire e figlia stavano in un mez-po piuttosto scuro: due cameret- la! soffitto basso e un corridoio /la finestra ad inferriata verso lascala; quel corridoio serviva da cu-cita. La figlinola, una ragazzetta pallida, con lunghe gambe magrissi- j. iridava a scuola ogni mattina [i sola e la madre scendeva a far *v*. ftSffr_5*_;™£col desiderio di metterglie-le ilorno al collo grasso, di stringe-re rte fino a soffocarla. Ricordavamaio l'aveva conosciuta, tanti an-• li jnal lictro, in un paese di monta 2ra una bella maestrina, di piacevole, d'umore alle ì nd'era tornato a trovarla, ella si era sciolta in lacrime, aggrap pandori a lui. L'avrebbe abbandona ta in quello stato ? No, non l'aveva abbandonata,' alla bimba aveva dato il silo nome e l'idea di sposare la donna, col tempo, non gli era sgra dovole... Poi un giorno, per una bu già che Matilde gli aveva detto, il dubbio era piombato su di lui, terribile come la folgore. — Non rassomiglia nè a me, nè a te... A chi somiglia? Giura!... Matilde, atterrita giurava, e Vera, ascoltando dietro la porta, oscillava bianca e fragile come una canna che stesse per spezzarsi. Rimaste sole, madre e figlia non si dicevano nulla, Vera badava ai suoi compiti, seguitando a tremare, Matilde alle -sue faccende, senza pensare più a nulla, assorta nel suo riposo bestiale. E la bambina deperiva ogni giorno più, come se un vampiro le succhiasse il sangue dalle vene... Or ecco che, dopo una terribile notte in cui il cavaliere le aveva tenute fino al mattino deste e atterrite minacciando freddamente di. uccidere la donna, egli non si fece più vivo e dopo una settimana un uomo d'affari della sua famiglia venne a dire che, colpito da un accesso di nevrastenia acutissima, egli si trovava ora in una casa di cura, e che la sorella e il fratello, al corrente di quella relazione, avrebbero pensato essi a provvedere mensilmente la solita pensione. Matilde ringraziò, un po' confusa, balbettando parole di sorpresa e di dolore; ma Vera, che era a letto malata, balzò su, prima in ginocchio, poi in piedi, con un grido di gioia. Il suo volto poco prima giallognolo come la cera, coi cerchi viola sotto gli occhi e due rughe precoci intorno alla bocca, apparve roseo e radioso, come per una guarigione fulminea, miracolosa. La madre la sgridò, un po' scandalizzata. — Ma ed tratta di tuo padre, Vera ! Vera le rivolse uno sguardo lungo, profondo. — Ma io non son contenta perchè lui è rinchiuso, ma perchè con lui è chiusa quella paura che non mi lasciava mai, e la domanda che mi facevano i Buoi occhi, sempre... Ella guarì e riprese ad andare a scuola, Matilde ripigliò le sue faccende. Il tempo passò in quella calma dolcissima: due anni. Dopo due anni Matilde era enormemente ingrassata e Vera si era fatta una bel lissima fanciulla, slanciata, rosea, con una fisionomia granosissima, incui la mirezza dell'anima la libertàctti w purezza cieli anima, la libertadella fanciullezza e quell eleganza incosciente che si chiama debolezza fem¬ minile'si riflettevano luminosamente alternandosi di minuto in minuto nello sguardo e nel sorriso. l Un giorno, tornando a casa, trovò |Ìa madre insolitamente seria e grave, che le disse con voce commossa: — Vera, la famiglia del tuo papà vorrebbe conoscerti. Lui, purtroppo, sta peggio, e speranze che esca dalla cosa di cura credo ve ne siano poche o.punto. Temo anzi che egli sia prossimo alla fine. Vogliono conoscer te, non me... Non devi aver paura!... Vera si era fatta pallida e le sne spalle si erano curvate in un fremito improvviso. Non rispose nulla e non fece una parola fino all'indomani. Sua madre si vesti da festa per accompagnarla fino al portone della casa del cavaliere, pur sapendo che non sarebbe salita, che nessuno l'avrebbe veduta. Vera salì lentamente le scale. Una cameriera coi capelli bianchi, dall'aria severa, le aprì la porta e la introdusse in un salotto semibuio. Là un signore talmente somigliante a suo padre che ella sussultò al vederlo, le si fece incontro, le tese una mano gelida e umida, la trasse in una sala vicina dove una signora piccola e magra adagiata sopra un sofà in una posa elegante, come si vede in certi ritratti antichi, parlava sottovoce con un'amica o dama di compagnia che fosse. Come sofferente la signora si sollevò un poco a stento e guardò Vera con l'occhialetto. Poi ricadde giù, gemente. — Eccola... Povero fratello mio, quando ci penso!... Erano i suoi parenti, lo zìo e la zia. — Come vanno gli studi! Ella rispondeva come se fosse stata ad un esame, in piedi, con le gambe che le tremavano un poco, le braccia ciondoloni. — E' bella, bella... disse sommessamente la dama di compagnia. — Troppo bella... mormorò la zia. — E anche saggia — disse lo zio guardandola avidamente, quasi come faceva il padre, nel viso di porla, nei capelli castano rossi che le raggiavano 'intorno alla fronte e le facevano un'aureola d'oro, nel collo dalla linea elegante. — E' buona... Di che cosa ti occupi attualmente?... Che libri leggi f...Vera rispondeva vagamente tendendo l'orecchio alle parole della zia.— No — questa diceva sottovoce — nè nel volto, nè nella persona. Marino ha ragione. Non c'è la minim:i somiglianza... Ci fosse almeno un'inflessione di voce, un gesto a ricordarcelo... Povero Marino, quanto si è tormentato anche per questo !... La cagione della sua malattia eccola lì...Tutti in quel punto tacquero. Ci fu nel salotto un lungo silenzio, come un senso d'attesa angosciosa in cui lo cose stesse parvero attonite in una calma di morte. Vera si sentiva come affascinata da quegli sguardi fissi su di lei e un gelo di sepolcro le fermava il sangue nelle vene. Ecco, j l'orrenda cosa era di nuovo sospesa ; su di lei, il vampiro stava per avvi[chiaro alla sua nuca candida le lab-brìi viscide, il dubbio stava per avvilupparla di nuovo in un abbraccio mortale. Le pareva che ogni forza l'abbandonasse, che le sue ossa si rammollissero, che tutto 3 suo essere si disfacesse in una massa vischiosa, lì, sul tappeto. i Chi sei? Chi sei! > chiedevano quegli sguardi spietati, crudeli, insidiosi, vendicativi, senz'abbandonarla un minuto, t Sei dei nostri, tu? Chi potrà darcene la certezza?... Chi sei?... Da chi sei Vrtnuta tu che porti il nostro nome?... *. Ed ella, come se avesse realmente udito quelle domande, rispose forte battendo un piede in terra: — Sono io! Voglio soltanto essere io!... E a me basta credere in me stessa!... Alzò il capo bello, e con quel gesto parve linciarsi di tutte le catene e apparve ai parenti attoniti come una creatura indipendente e nuova, una bolvetta rossa e ribelle, pronta a mordere, & spezzare la gabbia, a correre per il mondo, a vivere. CAROLA PROSPERI.