L'atteggiamento romeno

L'atteggiamento romeno L'atteggiamento romeno te conversazioni del ministro romeno Titulescu, col Capo del Governo italiano crediamo che abbiano "avuto notevole importanza.. Nessuno certo attendeva che si creasse una situazione assolutamente nuova nei rapporti della Romania con le altre due Potenze della Piccola Intesa. La Piccola Intesa ha un valore molto limitato/potchè si riduce soltanto ad un.accordo difensivo per il mantenimento dello sfati* quo nell'Europa centrale e balcanica. Non è stato possibile, nonostante gli sforzi fatti dalle tre Potenze contraenti, di allargare il valore dell'alleanza. 11 più grande ostacolo e consistito nel fatto che non vi è tra Bukarest, Praga e Belgrado, una unità di interessi di front* ai più gTavi problemi della politica europea; la Piccola Intesa ha dovuto limitarsi quindi, da questo aspetto, ad un'opera negativa. Forse, se domani si arrivasse ad una interpretazione più logica e più equa del compito della Società delle Nazioni per la revisione dei trattati di pace, le tre Potenze potrebbero non essere del tutto d'accordo neanche nella loro politica negativa. Comunque .sia, quel che oggi ha un significato è questo: che la Romania — come ha dichiarato il ministro Titulescu — riconosce ' perfettamente, rutiliti) della politica italiana nei rapporti con l'Albania, riconosce cioè che il trattato di aljeariza tra Roma e Tirana è un trattato che giova alla pace della penisola balcanica. L'atteggiamento di Bukarest è dunque —'.nella questione che maggiormente ha appassionato la penisola orientale in questi ultimi mesi — in perfetta antitesi con la politica di Belgrado. D'altro verso le parole che il mi nistro romeno ha pronunciato intorno all'incidente che si voleva sol. levare a Ginevra a proposito della introduzione di armi in Ungheria, svalutano intéramente la questione che Belgrado si proponeva di ingrossare e svisare. Su due punti essenziali nei contrasti della politica presente.— la questione, ungherese e la questione albanese — il contegno' della Romania ed il contegno della Jugoslavia non solo non coincidono affatto, ma divergono in maniera caratteristica. Volendo fermarci solamente a questi due fatti,' possiamo concludere che,il programma danubiano-balcanico di Belgrado, quantunque ampiamente .sussidiato da incoraggiamenti francesi, è fallito nella sua base. Si credeva di potere, edificare un grande apparecchio diplomaticomilitare contro l'Italia, e l'edificio si sgretola nei suoi fondarne»'" poi volgiamo..I04.-i parte; ole* verso"* mo formulare osservazioni non dissimili da questa: la politica greca, non converge affatto con-là'politica dello Stato serbo-croato-sloveno. Atene non consente, nel proprio interesse, nei disegni di Belgrado. E la ragione di tutto ciò è evidente; nessuno Stato balcanico, nò laGrecia,, nè la Bulgaria, nè l'Albania,.possono «piegare i loro interessi nazionali davanti alla ingiustificabile smania di dominio della Jugoslavia. Nel seno stesso di questo Stato i macedoni si ribellano; si ribellano perchè sottoposti ad una continua opera di violenza barbarica, ma si ribellano anche perchè non possono ammettere che un paese come il loro, non inferiore per civiltà e per organismo etnico, alla Serbia, sia considerato come un paese da assorbire e distruggere. Il piano egemonico di una Potenza non'può avere come semplice fondamento la forza materiale, bensì deve essere giustificato da titoli di superiorità civile e politica, che la Serbia non può vantare. Uno sguardo complessivo sui paesi danubiani e balcanici mette in luce meridiana questo stato di fatto e questo stato di spirito; e l'atteggia-, mento della Romania è più sintomatico di ogni altro, perchè si tratta di una Potenza che è legata alla Jugoslavia da un patto di alleanza. ANDREA TORRE.