COSMOPOLI

COSMOPOLI COSMOPOLI Principi Musulmani in Vaticano - Un ospite Prigioniero - Un ritratto del Mantegno e un affresco del Pinturicchio - Ricatti politici • La leggenda e la storia Roma, 14, notte. Non so se nel momento di oltrepassare la soglia del Valicano, il re AmenLiliali non abbia intraveduto nell'om: bra dell'edificio secolare lo spettro di quel sultano Ujeiii, che oltre quattroc-ento anni fa visse ospite forzato in quelli stessi luoghi che egli visitava da Sovrano. Forse non lo sapeva né meno. Forse ignorava anche l'esistenza di quel Sultano in esilio, che durante quell'ultimo scorcio del secolo XV fu l'ansiosa aspirazione di tutti i Sovrani europei, e che anche oggi rivive, sdegnoso e impassibile, irrigidito sul suo cavallo bianco, nel grande affresco che il Pinturicchio dipinse in una dellle sale dell'appartamento di Alessandro VI Del resto, chi ricorda più quel princiipe sontuosi^ e crudele, che per olire tredici anni visse nel recinto del Vaticano e fu a volta a volta la brama secreta del Ite di Fran-eia e di Mattia Corvino, di Ferrante di Napoli e del sultano Bajazet. Primo della sua razza e della sua religione era stato ricevuto dal Papa con onorisovrani e trattato più da ospite che daprigioniero. Preso nell'isola di Rodi, dove si era rifugiato dopo lo scacco subito nella rivolta organizzata contro il calila suo fratello, trasportato in Francia ed ivi custodito severamente in una prioria dell'Alvernia, e finalmente ceduto al pontefice Innocenzo Vili, « dietro compenso » — e il compenso era stata la porpora cardinalizia al D'Aubusson, che lo aveva catturato — egli era giunto ad Ostia eludendo le crociere delle navi napo1 itane, che volevano rapirlo e consegnarlo al Re d'Ungheria, perchè se ne servisse di spauracchio contro i turchi. E da Ostia aveva proseguito, a cavallo, verso Roma, dove era giunto fermandosi alla Porta Portesa, tutta ingombra di popolo accorso a vedere il fratello del Gran Turco, che giungeva nella città prigioniero M guerra. A riceverlo erano anche molti personaggi inviati dal Papa — nessun prelato, iperò, trattandosi di un principe musulmano — e primo fra tutti quii Francesclietto Cibo; che le cronache dicevano figlio del Pontefice. Il sultano D.iem ricevette quei messi, ascoltò i loro discorsi, non rispose e solo con un cenno del capo fece capire che aveva inteso ogni cosa. Poi, sempre a cavallo di una cliinea die il Papa gli aveva regalalo, a traverso le vie del Trastevere, per l'isola di S. Bartolo-meo e la piazza Giudea, si diresse verso il Vaticano, dove fu subito ricevuto dal Pontefice. Il colloquio fra i due Sovrani — proprio come quello concesso da Pio XI al Re dell'Afganistan — avvenne per mezzo d'interprete. 11 Papa assicurò lo Djem della sua benevolenza e gli disse di star tranquillo, che tutto era stato disposto por lui. Il Sultano rispose ringraziando e — a quanto ci dice il Cataneo. ambasciatore della Serenissima — avverti il Papa che « se li prestava orechie li daria alchuni boni advisi ». Dopo di che salutò i singoli cardinali, e senza né meno volgere uno sguardo alle molte meraviglie d'ane onde il Papa era circondato, si ritirò nei suoi appartamenti ; dove cominciò quella vita di lusso, di crudeltà e di magnificenza che è come una pagina delle Mille e una notte in piena Leggenda dorata. Di quello che fòsse il Sultano si può avere un'idea chiara e pittore tea in una descrizione che di lui fece il Mantegna. scrivendo al marchese Francesco Gonzaga, nel giugno del 1489. . il fratello del Turco — egli dice —. abita qui in Palazzo sotto buona custodia. Nostro Signore gli permette svaghi di ogni ragione, cacce, musiche, conviti e simigliami. Di tratto in tratto capita a mangiare nel nuovo palazzo dove io sto dipingendo, e per un barbaro si conduce molto bene. Il suo portamento è superbamente mae stoso: persino In presenza del Papa non si scopre il capo, com'anche davanti a lui non si usa di levarsi il berretto. Il suo passo è quello di un elefante, il suo movimento pari a un barile veneziano. 1 suoi se ne lodano assai e decantano la sua maestria nel cavalcare, de] che, però, fin qui non ho visto nulla. Prima di prendere ciho beve acqua inzuccherata. Gli occhi tiene spesso semichiusi. E' d'indole crudele: quattro uomini, dicono, furono da lui ammazzati. Di questi di ha maltrattato un interprete. Dorme vestito; dà udienze sedendo come 1 Parli, con Ir gambe incrociate Sul capo porta una tela di trentamila (sic) braccia: i suoi calzoni sono così arhpii ch'ei vi si potrebbe nascondere. Ha una faccia che mette paura, specialmente se gli fa visita Racco ». E che Bacco dovesse fargli visita spesso, si vedràr dopo. Del resto a Roma si tenne tranquillo. Ignorando forse o facendo finta d'ignorare, gl'intrighi che intorno a Ini si andavano macchinando, l'orche tutte le nazioni cristiane bramavano di averlo, per farsene un'arma contro il Sultano e questo era talmente terrorizzato dalla possibilità di un suo ritorno nei territori dell'Impero, che tentò perfino di farlo avvelenare nelle mura stesse di quel Vaticano che gli dava ricetto. F. poiché questo tentativo non riusci, non esitò a scrivere direttamente al Papa, supplicandolo di tenerlo sotto buona guardia e di conservarlo presso di se Il più a lungo che fosse possibile. E iSultano che si faceva cosi umile dinanzi al vicario di Cristo era il terribile Bajazet, che però nell'occasione non si peritava di mandare grandi regali al suo nemico spirituale, interpellandolo col titolo di Tua UivinitàNe doveva pregar troppo affinchè il Papa aprisse bene gli occhi sul suo ospite prezioso 1 Ospite prezioso chementre garantiva i cristiani in Oriente, era per lui un pegno magnifico verso i Sovrani europei, che facevano a gara per averlo presso di loro. Vi riusci ad averlo Carlo Vili, dopo che ebbe espugnata Roma ed esserventrato da conquistatore, con l'asta appoggiata alla coscia e seguito da un così gran numero di artiglierie che il fragore dei cannoni, rimbalzanti suselci delle vie romane, atterriva 1 cittadini accorsi a vedere l'ingresso deRe cristianissimo nella cristianissima città. Carlo Vili, impose al Papa un trattato cosi duro che tutti gli anticolnon ne poterono essere accettati, non ostante la presenza di soldatesche tanto numerose che a memoria d'uomo non si ricordavano tali. E lo stesso Re dovette cedere : ma non cedette suLla consegna del Sultano Djem. Re Carlo voleva Intraprendere una sua crociata e Djem era um pegno prezioso, che pensava già di mettere sul trono di Maometto al posto del fratello. L'ultimo giorno della sua dimora in Roma— e fu il 28 gennaio del 1495 — il He di Francia senti la Messa in San Marco, e fu nell'atrio di quella stessa, chiesa che gli fu consegnato il Principe musulmano. Dopo di che si diresse con lui alla volta di Napoli, dove si sarebbe imbarcato per la Terra Santa. Ma a Napoli, il Principe Djem. morì improvvisamente. Sebbene corressero voci di avvelenamento, non molti ci credettero e il Brognolo, legato dfllla Corife di Mantova a Roma, scriveva aMarchese suo signore La seguente lettera che — per esser egli di solito ben informato e cauto nei suoi ragguagl— non lascia dubbio in proposito« Ill.mo Signor mio, AH 25' del passato morì in Napoli ed fratello del Gran Turcho; credo di sua morte benché molti dicano che li sia stato dato da bevere. Questo è vero: che era disordiaatissimo in ogni cosa ». Il che, in fondo, non è altro che una chiara riprova delle « visite di Bacco » a cualludeva il Mantegna. Comunque, la sua morte, tolse a Re Carlo Vili ognpossibilità d'intraprendere ta designata crociata. Dal canto suo, il Sultano Bajazet, libero oramai da ogni paura di ricatto, si dimenticò delle promesse fatte alla « Sua Divinità » e riprese con. maggior lena a molestare cri stintili. Così visse a Roma e morì il primo Principe musulmano che mai abbia varcato le soglie dei Sacri Palazzi, e che vi sia stato ricevuto con onori regali. Allora quella visita ebbe del prodigioso e non mancò di eccitare la fantasia dei poeti e la' curiosità delle plebi, le quali però non videro di maocchio collii che doveva entrare neregno della leggenda popolare col nomignolo di Principe Zimzim. In quanto ai poeti, esiste un romanzo francese-intitolato appunto 'Usimi, prince ot toman amoureux de Philippine Heleine de Sassenage, e ne è autore un Riesser Guy Aliar, di Grenoble. Oggi tutto ciò non avviene più e perfino i cronisti dei giornali si occupano mediocremente di questo seguace di Maometto che a sua volta è venuto a riverire il Santo Padre, in quella stessluoghi e con il medesimo cerimoniale col quale quattrocento quaranta quattro arimi fa era stato accolto un suo correligionario, di stirpe regia come lui e che, come lui, « per un barbaro si era portato bene ». Delle sue impressioni vaticane, il Re afgano ha parlato poco, perchè anch'egli come isultano Djem non desidera di manifestare al pubblico i suoi sentimentinteriori. Forse però, quando compiuta la visita ufficiale, è ritornato con la Regina a visitare i musei e i palazzi vaticani, avrà certo intraveduto l'arcigna figura di Zimzim, ritta sul suo cavallo bianco. E avrà capito che costui era un uomo della sua religione, anche se il mio buon amico, 11 commendatore Franco dei Cavalieri — che è uomo dottissimo e di fine senso artistico — non gli avrà spiegato chi fosse costui e per quali ragioni si trovasse nel mirabile affresco del Pinturicchio. Ma di simili ricordi, di simili analogie e di simili « ritorni » il recinto del Vaticano è pieno: e molti altri Principi e Sovrani, ed Emuli e Gran Khan asiatici verranno a inchinare Il Pontefice, trovando in quelle stesse sale e tra quelle stesse cose l'ombra dì un passato che non è altro se non la visione di un presente un po' più affievolito. Ma ohe distanzafra gli uni e gli altri ! Che diversità di tendenze e d'interessa, di esigenze politiche e di correnti spirituali, di pensiero e di 'forma, dal giorno in cui il sultano Djem proponeva a Innocenzo Vili di dargli a quattro occhi c alchuni beni advisi . in cui Pio M, nel suo bel latino umanista, scriveva una epistola piena di reminiscenze classiche àd Mahomelen Turcarum imperatorern, per persuaderlo sul serio di liberare il santo Sepolcro e di restituirlo al culto cristianol DIEGO ANGELI.