L'Italia e la "Revue des Deux Mondes"

L'Italia e la "Revue des Deux Mondes" L'Italia e la "Revue des Deux Mondes" PARIGI, dicembre. In casa mia la Revue des DeiixWondes, fu sempre l'oggetto di unculto. Mia nonna a Milano, ne avevacostantemente sul tavolo quattro ocinque fascicoli, deposito prezioso afli-datole a intervalli regolari, sotto la Salvaguardia d'uno spago e, più, di un foglio della Perseveranza, dalla benevola parzialità di Gaetano Ne- gri, quando l'arguto scrittore ani- broeiano e la sua numerosa famiglia avevano finito di leggerli, vale a dire con dieci o dodici settimane di ritar- do. Da casa nostra gli stessi fascicoli emigravano con licenza del proprie- ta.no'.ln altro case amiche: il chemi obbliga a supporre che nella ca- pitale lombarda dell ultimo Ottoceu- to esistesse gente che trovava nate- ressante la rivista del Brunetiere au- ohe a un anno di distanza dalla pub-blicazione; cosa che, se non toma adisdoro dei milanesi, costituisce senza alcun dubbio un grosso titolo d'onore pr la rivista. In tempi meno remoti, battendo il record dell inattualità, mia madre, a Catania, leggeva confervore i severi tomi color salmone vecchi di una buona ventina di mesi, , r ,, .2 persuasa, che fosse ancora quello »modo migliore per tenersi a giorno di quanto si diceva e faceva nel vasto mondo. Non so se la scoperta di simili abusi farebbe piacere all'amministratore del vecchio organo di me de l'Université. Ma la teoria che 1 abbonato debba chiudere i periodici sotto chiave per non defraudar.l«Mtore di altri eventuali abbonati e diconio troppo recente per costituire un canone ineccepibile. E poi, quale miglior omaggio rendere a una rivista del dichiararla atta a fare, con un solo fascicolo, la felicità di tanti lettori? In quanto a me, l'aver potuto, a dispetto di tali esempi di sereno disprezzo della celerità dell'informazione, abbracciare ugualmente senza discapito la professione del • ™.li«h, ™? rTr» Unii, bella giornalista, m. pare a prova della scoraggiante inefficacia dell'educazione a petto degli eloquenti spintoni della vita. I nomi che, all'epoca, facevano legge in famiglia erano dunque per lo più nomi transalpini: quelli di Emilio Ollivier, ministro di Napoleone III, di cui uscivano allora sulla rivista i ricordi sull'impero liberale; di Ferdinando Bmnetièrc, babau del naturalismo ; di Paolo Bourget che pubblicava L'élape, Un divoree e L'emigri; di Edoardo Kod. autore della Seconde vie de Michel Teissier; di Renato Bazin, reso celebre dalla Terre qui meurt e dal ISlé qui lève; di Melchiorre di Voglie ; del marchese di Ségur; e in sottordine quelli più familiari di Teodoro de Wyzewa, di Roberto de la Sizeranne e di Francis Charme*, titolari delle rassegne quindicinali di belle Ietterò, d'arti belle • di politica. In Italia Maggiorino Ferraris sudava eangue ad accrescere credito e dignità alla Nuova Antologìa -. ma i raffinati stimavano che nessun paragone fosse possibile fra l'organo magno della cultura francese e il suo modesto emulo cisalpino; e perfino i romanzi di Grazia Deledda e della Serao pareva che a leggerli tradotti sulla rivista di Parigi pigliassero un sapore più aristocratico di quel che non concedesse ■loro il periodico romano. La cosa che impressionava di più era probabilmente quella grandiosa lista di librerie affiliate che lavoravano da un capo all'altro del globo alla propaganda della lieuue: non solo in Italia, dove la bandiera del Buloz era riuscita a sventolare perfino sulla libreria di quel Vieusseux che avrebbe dovuto pensare invece a difender meglio YAntilogia, ma ad Atene, al Cairo, a Rio de Janeiro, al Messico, alla Nuova Orleans, a Tokio .e sin nella lontana Melbourne. Di fronte a una diffusione simile, come sperar di resistere al prestigio di chi sapeva conseguirla? Mi manca l'elenco degli abbonati italiani della Revue des Deux Alondes: ma sono sicuro che, grazie al concorso dei Vieusseux, dei Seeber, degli Hoepli, dei Treves, dei Bocca, dei Lattes, essi furono ognora più numerosi di ogni altra clientela straniera. Fra i paesi colonizzati dalla cultura francese, il nostro per tutto l'Ottocento si affanna a tenere il primo posto, e purtroppo ci riesce. A Milano, sin dal 1829, anno di nascita del periodico di cui Parigi festeggia oggi il centenario, Francesco Buloz dispone di un ausiliario autorevole: il Manzoni. E, sempre accorto nel rispondere alle esigenze di una situazione, il favore incontrato presso gli italiani del Risorgimento egli lo ricambia con equità. Fra il 1831 e il 1834 affida al Fauriel e al Libri la cronaca del movimento letterario nella penisola, facendosi araldo della fama mondiale dell'autore dei Promessi Sposi e iniziatore di quella corrente di studi danteschi che doveva far capo all'Ozanam e attirare in Italia Gustavo Planche, uno fra i critici che maggiormente concorsero a stabilire la riputazione della Revue. L'incidente ■ Laraartine avrebbe potuto distruggere o compromettere la buona armonia fra l'editore parigino e i lettori italiani ; ma Srowide il Lamennais ad aggiustare l noar. dichiarando a tanno opportuno chi1 « all'ora segnata dalla Provvidenza il gigante addormentato Bel sepolcro scavatogli si desterà t, dove si vorrebbe veder quasi un'anticipazione del grido fatidico: 'Si scopran le tombe, si svegliano t Intoni Francesco Buloz, del resto, era savojardo, e non è impossibile che questa origine abbia deciso sino a un certo punto dei suoi sentimenti verso il nostro paese. A parte l'ospitalità accordata a Pellegrino Rossi, che dal >J339 al 1844 disimpegnò alla Revue le funzioni di cronista politico, prima Hi esser mandato a Roma dal Guizot ! E ambasciatore alla Corte dei Poutefìce, basterebbe quella, larghissima, offerta a Cnstiua Uelgiojoso e l'idea concepita nel itili?' di assumere quale collaboratore Silvio Pellico per provare come l'Italia godesse nella rcdaIzione della me des Beaux-Arts di L^enimU di favore. Dove .1 merito Ynoa era poi nemmeno tanto del lìu loz, quanto dell'Italia e dei tempi. Il Buloz fu indubbiamente uomo di ca ratiere, attento a mantenere integra 1 la propria indipendenza morale, ma questa indipendenza aspirava di rado :l manifestarsi in senso opposto alle tendenze dominanti Quando il ven (0 tirava al Romanticismo, eeli fu romantico. Quando i successi delle tragedie di Por.sard rivelarono nel pubblico il bisogno di liberarsi del l'enfasi vittorughiana, egli mollò gli ormeggi che attaccavano la sua nave alia tela dei 133u_ Quando Taine ! iniziò coi documenti alla mano il pro ce8S0 dei giacobinismo, diventò mo ; derat0 e determinista. Quando Le conte de Llsie mise alla moda a Parnaso, divento parnassiano. Buloz inon era insomma nè romantico, nè classico nè pal.„assiau0) ne liberale, nè mod„ralo era giornalista, e basta, A patt0 cho K ingegni migliori fos sero co„ lui ° „ era sempre pronto a stare con u |ngegni migliori, i Ne, casQ dellr£tBlia bò ,. nione francese rf , n Q cQn i.T,„,- . t , 1 • , , 1 Italia, questa Jugoslavia del reni- l^nte Mettonich, Buio talia, almeno fino alla guerra del Cinq-uantanove. Cristina Belgiojoso, staffetta della Castiglione, ebbe facoltà di far sentire sin dal tempo di Filippo Eguaglianza la voce della patria dalle, colonne della Renne des \Deux MondMi non esgendo Mibne Mche un 0 come „ 7esta8se |80rdo a] fascino di llnaMde|le iu elet. !te muse romantiche impostasi a Pa- ngi non solo quale donna fatale, scrittrice ed oratrice la cui patriottica eloquenza era echeggiata un giorno perfino in piena Camera dei Deputati, ma addirittura quale regina della moda, il resino più difficile da conquistare sulle francesi. Ma non totalmente estranea alla genesi di V""-» Pie£?a sentimentale del Buloz doveva esser stata anche la propa- propaganda italiana di Stendhal, che alla Revue dette fra il 1837 e il 1839 Vittoria Accoramboni, l Cenci, La duchessa di Falia.no, la Badessa di Castro, pagine che alla commossa fantasia romantica dovevano rappre sentare sempre più necessario il soc corri-) a una terra così nobilmente tragica e appassionata. Se il Vieusseux e il Manzoni aiutarono l'editore parigino a colonizzare intellettual mente l'Italia, non furono dunque in ùutto privi di scusa. Plauso o assistenza calorosa trovarono alla Reme des Deux Monde» anche i grandi musici nostri, grazie agli articoli del Blaze de B.urv. Kos- sini co.n C€rte "serve Bellini e Do ni recondite di questa gioia ce le" fa comprendere senza volerlo la lettera in questione, dove l'editore sfoga il proprio risentimento contro Cavour pel discorso da questi pronunciato a! Parlamento Subalpino a difesa pro- nizetti vi vennero salutati da cronache entusiastiche, allo quali, di fuori, si mescolavano, per la maggior gloria dell'Opera italiana, gli inni d'amore dei poeti per la Malibran e la Garcia, la Pasta e la Taglioni. « Regnare sul proprio tempo mercè la sola forza del genio, partire dal nulla per giungere a tutto, versare nel comune patrimonio del secolo una immensa somma di idee: ecco la vera arte, e chi visse per tale compito può dire di non esser vissuto indarno. Tale fu la soTte di Rossini I », scriveva la Revue alla morte dell'autore del Guglielmo Teli. Il successo di Verdi in casa Buloz fu più lento a venire. Il Nabucco, l'Emani, il Trovatore stesso vi furono discussi a lungo e trattati anzi non molto meglio di come ai giorni nostri abbiamo veduto, al Temps, trattare Puccini. Ma le prevenzioni non du rarono, e nel 1865 Emilio Montégut lodava l'arte del cigno di Busseto come <r dell'Alfieri in musica, con qua e là gli accenti di un Leopardi cho non avesse cavato dallo studio classico dell'antichità i segreti consolatori dello stoicismo ». L'A ida, l'Otello, il Falstaff ottennero, oltre all'entusiasmo delle platee, l'animi razione totale di Blaze de Bury, co me pochi anni dopo, nel 1879, doveva ottenerla il Meftstofele, che al l'attenzione del critico parigino aveva raccomandato lo stesso Verdi, dicendogli : « Fate attenzione a Boito. Quello là non è semplicemente un musicista ma anche un poeta drammatico e «dei migliori». La politica italiana fra il 1848 e il 1860 attrasse naturalmente più di ogni altra forma della nostra attività l'attenzione del Buloz. Circa la parte da iui avuta negli avvenimenti del Cinquantanove, Maria Luisa Pailleron, sua infaticabile biografa, dice di aver rintracciati abbondanti do cumenti inediti ohe si ripromette di pubblicare un dì o l'altro. Pel mo mento ella riproduce nel Libro del Centenario col quale la Revue des Deux Motides ha degnamente festeg giati in questi giorni i propri cento anni di vita una lettera del Buloz al Nigra che non mi sembra attestato troppo convincente di simpatia disin teressata. Francesco Buloz avrebbe conosciuto Costantino Nigra, secon do la Pailleron, pel tramite di Alberto Blanc e, intuite le grandi capacità del futuro ambasciatore, lo avrebbe raccomandato caldamente al Cavour, col quale, sempre secondo la biografa, era in rapporti non soltanto epistolari ma personali. Nigra rimase durante tutta la guerra in contatto col x protettore ». savoiardo, servendogli probabilmente da informatore, come i molti corrispondenti straordinari che da Torino, da Chambéry, da Roma, da Vienna e dai comandi delle truppe di operazione, gli fornivano sugli avvenimen ti notizie sempre fresche ed attendibili. L'esito felice della campagna colmò il Buloz di gioia, ma le ragio- prirsi di paraventi fantastici e irato rati a giorno rli fronte ai meno sagaci è uno sbaglio die bisogna evitargli...». Qual'era, agli occhi del Buloz, la colpa dello statista italiano? Quella pna e di Napoleone dopo la cessione di Nizza e della Savoja. La lettera, datata da Parigi il l.o giugno 1860, dice: Caro Signore, « Tutte le persone oneste e superiori son rimaste dolorosamente colpite qui dal discorso del signor Cavour. In quanto a me, al vedere inghirlandare di Bori e rose quello cho c'è di più equivoco, mi domando quale errore sfa mai stato il mio di credere cho il signor Cavour conoscesse uomini e cose di questo paese. O debbo credereche dopo il trattato del 24-ìnarzo~\\signor Cavour sia turbato a sogno da««dere In modo si sciagurato lae rie! giusto e dell'ingiusto 7 Ilo-confondoie nozione dei giusto e dell'ingiusto? Ilo-vreste impedire al signor Cavour di ncorrere in nuovi errori di tanta gra-vita, giacché non è il primo del gene-t'L'Ì!^ er\! C0,"metLe, a.',!a 'i-'0""3 lorino Un- intacchi il liberalismoiuiiuu vai'- iu uni | nera smofrancese possiamo perdonarglielo inomaggio alla causa da Ini servita, ma che comprometta il proprio nome e il P:?.Pi,0„,n-con,^,al?il? valore co-di aver resi responsabili della ceesio- ne delle due provincie italiane i clericali, i lesittimisti e gli orleanisti di Francia, ostili alla guerra e al Bonaparte e disposti a lasciarlo fare soo contro compensi cospicui. Addi¬ t-ando al rancore d<:i counazionali ilclericalismo o l'autibouapartismo, Cavour gettava dell'acqua sullo ede-gno dei liberali patrioti e salvavasè, se non l'amicizia francese, dal contraccolpo di Villafra.nca. Ma il Buloz, ant.ibonapartis.ta se non clericale, e soprattutto savojardo di Parigi, alzava la voce j>m domo, affinchè cioè nessuno potesse in Italia, patria di tanti abbonati, sospettare il direttore della Revue des Dai Mondes di aver dato mano al <i mer cato infame ». Come ogni exeusattonon petita, la lettera di Francesco n.,i„- -„«W» ni <J.V.f*émn R1' ■ • crede-re al contrario ■Iasc,l\ crea?.r'p' al conlr"no che linfluente erotore non tosse estraneo alla cosa La Pailleron non osserva forse candidamr-nte che egli 1 i-i.- era a quest'epoca, anche in politica, << una potenza »? L'incidente fu il primo segno che ]a po]it-ca franco-italiana !usciva dalla fase idillica. Ma !a Renne seppe anche nei momenti più difficili che lo seguirono da presso a da lontano serbare il senso della misura: e fu quel che le permise di non pertare in Ttalia gli abbonati, mante nendovi l'ascendente intellettuale che eli uomini della mia generazione conoscono. CONCETTO PETTINATO.