Il fango e la folla

Il fango e la folla Nella Russia dei Soviet Il fango e la folla Gli operai hanno vinto. La stella rossa della fortuna proletaria, l'astro dai bagliori sanguigni, che gli antichi chiamavano Marte, s'è levata nel cielo della rivoluzione d'ottobre. Dai bassifondi della capital* di Pietro il Grande, dalle casupole eli legno fradicio in riva agli stagni, Prosso le foci delta Neva, dai miserabili sobborghi dell'opulenta città costruita sulla melma delle paludi, dalle officine e dai\tuguri, le moltitudini affamate degli operai hanno invaso le piazze e le strade, uomini dai visi duri illuminati dai chiari occhi pazienti, donne pallide e risolute, cui fermenta nel ventre il rancore della schiavitù, folla in tumulto che si muove lenta, come un fiume fangoso, tra gli argini delle case. Pietroburgo è ormai abituata alle inondazioni: d'uomini e di acque; e non le teme. Ogni tanto, da due secoli, la Neva straripa; ogni tanto, da due secoli, le moltitudini affamate allagano le piazze. La città di Pietro il Grande non ha paura del fango: è nata dalla melma. Il fango è il suo elemento originale: è l'elemento fondamentale della sua architettura. Pietro soffiò sulla melma della Neva, per formarne la sua città. E bastavano i cosacchi, nel tempo morto, a ributtar nei sobborghi, nei bassifondi, nei tuguri, l'onda fangosa delle moltitudini in rivolta La folla è come la melma: allaga le strade, ma non distrugge le città, travolge gli uomini, ma non som- ■ merge gli Stati. Come il fango appesantisce, ritarda, arresta l'impeto dell'acqua che straripa, ed è il peso morto delle inondazioni, cosi la folla appesantisce, ritarda, arresta l'impeto delle minoranze rivoluzionarie, è il peso morto delle rivolu 'zioni. L'immensa folla della Russia proletaria è sempre stata il più sicu ro fondamento della secolare tirannia degli Zar. « Il nostro buon popolo » diceva Ivan 11 Terribile, zar ortodosso quant'altri mai, il più grande raccoglitore di terre e di genti che abbia avuto la Russia. Le tirannie d'ogni tempo hsìnno fatto raccolta di folle, non d'individui. Anche il despntismo moscovita è stato costruito sulla folla, svper hanc ■pairani. Ed è questa la pietra che l'ultimo Zar ha lasciato in eredità a Kerensky, alla rivoluzione demo cratica del febbraio 1917. Super hanc petratti il Governo Prowiso rio ha fondato il suo breve regno: assurda pretesa quella di voler stabilire sull'immensa folla della Russia proletaria non già il fondamento della tirannia, ma il fondamento della libertà. La rivoluzione bolscevica non ha rovesciato il despotismo in nome della libertà, ma il regno della libertà democratica in nome della dittatura proletaria. Quando, alla vigilia del colpo di Stato, Kameneff e Riazanoff, contrari all'insurrezione immediata, propongono a Lenin di temporeggiare in attesa delle decisioni del secondo Congresso Panrusbo dei Soviet, convocato per il giorno seguente. 25 ottobre, all'Istituto Smolny, Lenin respinge con violenza l'insidiosa proposta. Attendere le decisioni del Congresso significa affidarsi agli istinti e alle passioni delie moltitudini. La folla è fango: il torrente impetuoso dell'insurrezione non può lasciarsi appesantire dalla melma sulla quale riposa, da secoli, la chiglia della Russia proletaria, nave prigioniera; non può finire in palude. Bisogna far presto: domani sarà troppo tardi, a Le rivoluzioni, tutte le rivoluzioni, dice Lenin, si eono sempre compiute oggi : mai domani ». Ecco la formula d'ogni insurrezione: poca gente risoluta, e subito. Il 25 ottobre, alcune ore prima dell'apertura del secondo Congresso Panrusso dei Soviet, quando Trotzky annuncia al Soviet di Pietrogrado che l'insurrezione bolscevica, durante la notte, ha rovesciato 11 Governo Provvisorio di Kerensky, una voce grida nel tumulto: « perchè non avete atteso le decisioni del Compresso?». Trotzky risponde: «la insurrezione aveva fretta: non poteva aspettare ». Poca gente risoluta: dove trovarla? Il popolo russo è un'innumere vole folla senza ossa. A uno a uno gli operai escono dalla moltitudine, si fanno avanti armati di fucile, pronti a tutto, severi e taciturni: sfilano a gruppi, in ordine, per le strade che d'ogni parte confluiscono nella Prospettiva Newski, dove la lolla è accampata in attesa di novità. Lungo i marciapiedi, file interminabili di disertori, soldati di tutte le armi e di tutti 1 fronti che la rivoluzione democratica di febbraio ha disperso ai quattro venti, contadini in divisa che vogliono vivere sotto le bandiere bianche della pace, non già morire per quelle rosse della libertà, rifiuti delle trincee dell'est e dell'ovest, sudici, stracciati, qrltsombfi dai capelli lunghi e dalle barbe incolte, stendono la mano per chiedere l'elemosina, o, miserabili marchands des qualre saisons, vendono fucili, sigarette, semi di girasole. A quell'esercito di disertori affida Kerensky la difesa della Santa Trinità della rivoluzione di febbraio: libertà, egalité, fraternité. La Santa Trinità del 1789 non ha mai fatto miracoli, in Russia. La folla, al passaggio dei gruppi d'operai armati, ondeggia, s'apre, si richiude pigramente. Qualche bandiera rossa sventola sul mare di teste, verso la Cattedrale di Nostra Signora di Kazan : vexilla regis prodeunt inferni. Giunge ogni tanto, dalla Neva, il crepitare della fucileria. Gli junker* e i battaglioni di donine sparano dalle finestre.del Palazzo d'Inverno. A questa folla di Kermesse e di Luna Park affida Kerensky la difesa della democrazia. Gli operai armati s'aprono il passo nella calca, indifferenti e risoluti, guardano con disprezzo le mandrie di disertori, la moltitudine pigra e rassegnata, sorda al rumore della fucileria lontana: da tutte le parti dell'immensa città le Guardie Rosse accorrono al richiamo di AntonoffOvseienko, stratega dell'insurrezione bolscevica. « Bastano gli operai, dice Lenin a Trotzky : la folla è fango ». Trotzky non ha fiducia nello spirito rivoluzionario delle masse di disertori. I marinai della flotta del Baltico, primi, fra tutti, gli equipaggi degli incrociatori Aurora e Zaria Svobody, già si uniscono alle Guardie Rosse operaie: Cronstadt è in marcia Li conduce Dybenko, l'atletico marinaio Dybenko, calmo e sorridente, feroce e buono: bontà sua. Pochi, ma risoluti. La famosa minoranza bolscevica è tutta li: scarsi drappelli di lavoratori e di marinai, appoggiati da esigue bande di disertori. Genie disperata, ohe sputa sulle cartucce prima d'infilarle nella canna del fucile. Che importa se oggi Kerensky è entrato a ZarskoieSelo sopra un cavallo bianco, al suono di cento campane? Che importa se la controrivoluzione, da Kolpino, da Obukhovo, da Pulkovo, addenta la città rossa in un .semicerchio di ferro? Gli operai di Pietrogrado, all'urlo delle sirene, abbandonano le officine, muovono da Wiborg e da Putiloff verso i sobborghi minacciati, s'indrappellano strada facendo, marciano in ordine di combattimento incontro ai cosacchi neri di Kerensky. Il cielo è grigio, l'aria è fredda, dai laghi del nord le nebbie d'autunno scendono a chiudere le foci della Neva: sulla terra dura il passo degli insorti risuona come sopra una lastra dì carne, il vento orientale batte come in un tamburo, con rumore di tuono, nelle nuvole basse addensate «all'orizzonte dell'ovest. Che importa se la folla ha ancora paura degli antichi padroni, e curva la schiena all'ombra delle bandiere della libertà? La folla è pronta a saccheggiare le case dei vinti, ma si rifiuta di combattere per la vittoria del popolò. Bastano gli operai di Wiborg e di Putiloff, bastano i marinai del Baltico a strappare lo knut dalle mani degli antichi padroni. Questi operai pallidi e risoluti che disertano le officine per andare a combattere, saranno domani i nuovi padroni della Russia proletaria, della Santa Russia dei nobili e della plebe: spezzeranno lo knut sulle spalle dei signori, frusteranno i servi, frusteranno la folla, frusteranno, in nome della dittatura del proletariato, tutti gli schiavi ohe parleranno di libertà. Dai più lontani orizzonti, dai confini dell'Asia, dalle terre nere del mezzogiorno e dalle abetaie del settentrione, s'alza il grido della vendetta. Gli operai hanno vinto. Popolo di Russia, plebe sorda, folla senza ossa, gli operai hanno vinto: guai a te ! CURZIO MALAPARTE.