Le dame della Regina Madre

Le dame della Regina Madre RICORDI PERSONALI Le dame della Regina Madre L'aristocrazia romana dopo il 1870 ■■ Bianchi e neri -» La « nemica » di Re Umberto ■■ Donna Paola di Villamarina Il sapore del dialetto piemontese =- Le attrattive della bellezza ■■ Il divieto di una Regina appassionata di musica »• La Marcia Reale a suo tempo •• Opere di pietà Nessun desiderio In me di tessere ora un capitolo di oronaca mondana retrospettiva. Ho rinunciato da tempo all'esercizio di tale specie di attività professionale, che pure fu conforto e anche orgoglio mio negli anni lontani. Del resto l'argomento non sopporterebbe questa sorte di rinascita d'antica velleità, appunto perchè si tratta della regina Margherita. Per la nobiltà desia mente e dell'animo di lei. ogni atto suo sovrasta alla cronaca per entrare nella storia, la viva e conclusiva storia d'Italia. Una leggenda da sfatare Il ricordare Intatti, come, fin da principio, componesse la sua Corte vale come documento a distruggere una leggenda in parte tuttavia superstite: quella che l'aristocrazia, tutta l'aristocrazia romana fosse e rimanesse avversa al regime inaugurato il 20 settembre 1870. Contro quella leggenda stanno fatti non pochi, precedenti la conquista nazionale dell'unita. L'indirizzo, per esempio, rivolto a Vittorio Emanuele subito topo il '70, portava per prima nrma quella di Don Anton'o Boncompagni Principe di Piombino; Don Frallcesco Sforza Cesarini anche pri- ma, era entrato nel] esercito italiano: cos, aveva faMo Don Fabrizi0 Col<m_ na. Dc.n Baldassare Odcscalcbi, che pure contava un Papa nella sua fami- glia, era entrato nella diplomazia nostra; il principe di Venosa aveva seguito Garibaldi a Mentana. E questi sono grandi nomi della nobiltà romana. Presidente della prima Giunta di Governo, nominato all'indomani della occupazione dal generale Cadorna, fu Don Michelangelo Caetani duca di Sermoneia. Rimasero, è vero, a parte, e anche protestanti, parecchie case patrizie, principalmente quelle appartenenti alle numerose diramazioni, anche a cognomi variati, dei Borghese, come i Salviati e gli Aldobrandino nonché il principe Lancellotti, che, in segno di lutto, fece chiudere la porta principale del suo palazzo, e il principe Massimo, l'avo del quale aveva detto a Napoleone I: — Da più dì venti secoli la mia famigLia è ricordata. E quel discendente, nel giorno In cui Vittorio Emanuele inaugurava la prima sessione del Parlamento nel Palazzo di Montecitorio, lesse un indirizzo di protesta Aera, anzi violenta. In nome della nobiltà romana. Non era questa — tranne rare eccezioni — composta da famiglile specialmente legate al Vaticano anche pel titolo comitale o ducale recentemente avutone? Certo, esse, pei primissimi anni esercitarono una specie di resistenza passiva, che si manifestava soprattutto nelle occasioni di ricevimento, perchè accoglievano quasi esclusivamente 1 loro. Cosi si faceva dall'altra parte. Parve allora che ci fossero veramente due fazioni: i neri e i bianchi, deli berate a non avvicinarsi, almeno, nei divertimenti. Poi, a poco a poco, anche le pacifiche resistenze scomparvero\ la più immutata resistenza fu opposta da una signora di origine straniera, la marchesa Theodoli, bellissima. Quando le capitava di accennare a lei, re Umberto usava questa invariata forma: — La mia nemica. Ma discorriamo ora delle donne di Roma, chiamate dalla Regina Madre a comporre la sua Corte. La fedelissima dama d'onore Queste donne hanno, nel protocollo tuttavia immutato, tre intitolazioni di-quelle di Palazzo soltanto in questo: te prime dovevano essere considerate verse: dame d'onore, di Corte, di Palazzo. La regina Margherita di dame d'onore ne ebbe una sola, che non variò mai: la marchesa Paola di Villamarina Montereno nata Rignon. Per essa, che volle e serbò nell'intimità sua, aveva un'amicizia piena. Le faceva anche piacere di potere con lei parlare in piemontese, ch'era la forma graditissima di manifestare 11 proprio pensiero. Le dame di Corte, alle quali portò pochissime variazioni, anzi una sola, ch'io ricordi, si differenzia%-ano da permanentemente in servizio; le seconde erano chiamate a turno, per quindici giorni soltanto, libere poi di tornare alle loro residenze abituali, in provincia. Ma senza insistere nella diversità delle denominazioni, rammentiamo quelle romane o venute ad abitare a Roma. E, prima, la principessa Carolina Pallavicini, un cognome che pare esclusivamente genovese. Ma in realtà non era cosi: perchè il cognome era stato assunto proprio saltante nell'Ottocento e per un patto di alleanza stretto due secoli avanti. La discenden- rza moveva dai Rospigliosi. Essa poi. 'la principessa Carolina, signora di ,grande bontà, solenne e pia, era nata Boncompagni. Altre due delle dame di allora si collegavano ugualmente alla famiglia dei principi di Piombino. Una, la principessa di Venosa, il padre della quale, conte Marescotti, pure era romano. Ella è morta da parecchi mesi, dopo aver vissuto l'ultimo periodo dell'esistenza lontana da tutti. Dacché il marito era defunto, andava ogni giorno al V'erano, per recare fiori alla sua tomba; vi si tratteneva parecchie ore, come se potesse intrattenersi con lui e si rinchiudeva nuovamente in casa. Ma benché scomparsa è ancora presente alla memoria di tutti, presente per la bellezza, la grazia, la dolcezza immancabile. Poche signore furono più di lei meritevoli di ammirazione. Usciva direttamente da casa Boncompagni la contessa Lavinia Taverna. Precocemente le erano venuti bianchi i capelli, che accrescevano luminosità al suo volto perfetto. Quando compariva in abito da sera appariva una miniatura del Settecento. E per lei tornava a mente la vecchia definizione di Paolo Ferrari: — Soavità, non c'è altro nome. Rammentiamo ancora: donna Ada Caetani di Sermo-neta, nata in Inghilterra, formosissima, colta e squisita come una vera signora del suo paese d'origine, aveva sollecitamente guadagnato simpatia rispettosa nella patria di elezione. Poi, due nate dai principi Doria: donna Teresa-Maria, sposata al duca Massimo di Rignano, donna Guendalina. maritata al conte della Somaglia, che prese stabile residenza nella Capitale. Ancora: due Sforza-Cesarini. Una di esse moglie del duca Francesco, era nata dei principi Colonna, che dalla madre aveva ereditato la radiosa venustà spagnola. Il secondogenito dell! Sforza, conte di Santa Fiora, aveva a consorte donna Vivi di Santa Croce, di bellezza veramente italica difficilmente comparabile. Alta, radiosa, perfettamente armoniosa, era pure colta, interessante e graziosa nella conversazione. Ove appariva richiamava su di sè gli sguardi ammirativi di tutti i presenti. Citiamo ancora: la marchesa Flora Calabrini, che nei fini lineamenti suggeriva la visione dei più puri disegni preraffaellisti, e donna Eleonora CenciBologneMi principessa di Vlcovaro, che degnamente aveva preso posto in una casa che prima del Mille aveva dato un Papa alla Chiesa. E finalmente la principessa Corsini, una grande famiglia fiorentina, che pure a lei non toglieva certamente la memoria ■ della sua Roma, dove era nata dei principi Barberini. Non ho proceduto finora che per e numerazione, enumerazione somma ria, quasi rude ; ma constato : anche cosi non ho schierato non pochi nomi 'della più sicura aristocrazia romana? Eppure le dame che li portavano, a breve distanza del 20 settembre stavano tutte intomo alla regina Margherita! Essa — probabilmente a ragione — non professava il culto della parsimonia. Pensava che la regalità dovesse non solo esercitarsi in effetto, ma anche dimostrarsi esteriormente, in ogni atto. Partendo da tali immutati criteri, volle circondarsi di una Corte assai numerosa anche per le dame. Queste, sempre secondo il protocollo, oltre che nella capitale, hanno da essere scolte fra le varie regioni della penisola, e ne diventano, in certo mo do, le rappresentanti. La consuetudine fu naturalmente prispettata e proseguita dalla Regina Margherita. Può tuttavia soltanto osservarsi che una più larga rappresentanza fosse accordata, forse con intento di opportunità politica, alle province del Mezzogiorno continentale e insulare. Grandi dame del Mezzogiorno Infatti, al gruppo napoletano può ascriversi la principessa Adelaide Pignatelli-Strongoli per cui la Regina aveva una particolare amicizia, meritata dalla serietà e nobiltà del temperamento di lei. Pure allo stesso sr>ippo'apparteneva la baronesa Artemisla Baracco, anatrata per 1 amplis sima cultura, elle formava di lei, specie a quel tempo, una felice eccezione. Ancora: donna Emmelina di Mollterno, maritata prima al principe di Ottajano, singolarmente appassionato pgncsqsslnncavatgdella equitazione, e poi al marchese nEmilio di Campolattaro che fu sinda- j dco di Napoli, uno dei più geniali temperamenti del paese nostro. Ella, per la bellezza e la dolce gaiezza dello spirito, pareva impersonasse l'incanto dell'isola di Capri. Ovunque si mostrasse portava la consolazione di un sorriso grato. Anche a lei la Sovrana dedicava una particolare confidenza. Pure dello stesso gruppo: la principessa Brancaccio, che ebbe certo parte nell'indurre. Il marito a portare la loro residenza a Roma, costruendo un palazzo che conferi decoro a un nuovo quartiere nella parte alta della città; la principessa Pignatelli di Monteroduni; la principessa di Piedimonte; la marchesa Doria; la duchessa Enrichetta di Carafa d'Andrla. Cospicua era pure la rappresentanza della Sicilia comprendente la principessa di Trabia, la principessa di Belmonte, la contessa di Mazzarino. Queste tre dame dimorarono di preferenza, con le loro famiglie, nella capitale. Avrebbe da ascriversi al gruppo siciliano per rispetto al marito anche la principessa Trigona di Santa Elia; ma ella era nata Menabrea. in Piemonte. Vittorio Emanuele disse, in quel primo periodo della unità, al marchese di Rudinl. festeggiato allora per la strenua difesa di Palermo, di cui era giovanissimo sindaco: — Bisogna stringere rapporti fra le due aristocrazie. — Conseguentemente consigliò il matrimonio Trigona-Menabrea. Alla Sardegna apparteneva la marchesa Americh nata Sanjust dei baroni di Teularìa; famiglia pure questa stabilitasi a Roma. E per le altre province: una antolo già di nomi risonanti nella nostra storia: la principessa Strozzi e la marchesa Torrigiani di Firenze; la contessa Antonia Casati, nata Negroni-Prati Morosini, donna Mima Sala nata Trotti: la duchessa Teresa di Sartlrana, signora di rara intelligenza, per la Lombardia; le contesse Serego Adighieri, Papadopoli, Brandolin pel Veneto. La marchesa Guidi di Bagno, date le numerose, residenze di questa famiglia, potrebbe definirsi degna rappresentante dellltalia centrale, ma anche assegnarsi al gruppo romano perchè nata Chigi Albani. Del Piemonte, alle già ricordate, aggiungiamo la contessa Irene Rignon nata Martini ed entrata in una casa benemerita di Torino. E benché non avesse il titolo ufficiale di dama, dovrebbe comprendersi nelle enumerazioni la contessa Francesetti, che ebbe per madre donna Irene della Ronca, e fin da fanciulla, acquistò l'intimità della Regina, che l'ebbe poi sempre fra le predilette sue. E trascuriamo di rammentare « i gentiluomini di Corte », pure meritevolissimi tutti di considerazione; ma non potevano esercitare l'azione che ebbero, in quel periodo, le dame. E di tale azione mette conto discorrere. Munificenza e beneficenza Esse, oltre ti fascino della stirpe da cui derivano, avevano quello personale. Tutte — o quasi tulle — erano belle, anzi bellissime, e sapevano, e potevano abbigliarsi con isquisita eleganza e meravigliosa ricchezza. Conviene rammentare. La Corte pontificia era in grado certo di offrire la vista di molte magnificenze alla pò- vs polazione pia, e anche a quella non pia. ma le era irremissibilmente negato lo splendore dell'Eterno femminino regale, quello che più avvince e convince la moltitudine. E forte per sè, e in sè, la regina Margherita di quello splendore riusciva a circondarsi con ineguagliata sapienza. E non dedicava le sue cure alla clas se aristocratica soltanto. Con perfetto intuito, infatti, avverti l'importanza che l'alta, la più fortu nata borghesia — comunemente defl nita « generone • — aveva nella vita cittadina di allora. Perciò volle che alcune delle signore di quel ceto l'avvicinassero; e a loro, particolarmente alla signora Brenda, dedicò grata cortesia. Visitava anche non di rado le scuole, ma a preferenza quella della Palombella, diretta dalla signora Fusinato, e frequentata quasi interamente da giovinette di quella borghesia che fl- niva P*r conoscere ad una ad una. Era del resto un ottimo, veramente prov- videnziale istituto, che, forse per ciò, si lasciò mano maino deperire. Il grosso poi della popolazione — la gente minuta — fu celeremente conquistata dal fervore onde ella seguiva le funzioni religiose. Quando si sparse la voce che nella Settimana di passione ella andava nelle varie chiese visitando 1 sepolcri, si diffuse un com mosso entusiasmo. La folla si accalcava nelle vicinanze, per vederla entrare ed uscire. Sarebbe scoppiata in applausi se non fosse stata trattenuta dallo scrupolo di commettere, una grossa, poco meno che ereticale scon venienza. La Regina e la musica Nè dimenticava quanti con maggiore potenza coltivavano la scienza e le arti. Al ricevimenti di lei erano partico larmente gli uomini di dottrina mag giore: Marco Minghetti le insegnava il latino: Felice Bernabei il greco. E particolarmente amava la musica aVeva ella raccolto un quintetto, il suo quintetto, di cui affidava la dire zione allo Sgambati, un artista dav vero insigne, di cui I romani troppo tardarono a riconoscere il positivo va lore. Assiduamente riceveva Filippo Marchetti, l'autore del «Ruy Blas », forse eccessivamente applaudito da principio, certo ingiustamente d!men ticato di poi. Il maestro, sfiduciato di sè, aveva negli ultimi anni dedicata interamente l'energia superstite a mantenere alta l'Accademia di Santa Cecilia e a dare esistenza robusta al Liceo unitovi. Fu data la presidenza dell'Accademia al marchese Pes di Villamarina, che curò amorosamente anche il Liceo; l'uno e l'altro, che hanno in seguito molto prosperato per l'assidua vigilanza e l'amore instancabile del conte Enrico di San Martino, piemontese anch'esso. La Sovrana era costante, addirittura immancabile frequentatrice di concerti e di teatri ove si offrissero audizioni artistiche. E a lei si deve di av;>r poslo termine a una triste consuetudi ne: quella di interrompere al suo arrivo un'esecuzione a 'sualsiasi punto si trovasse per suonare la Marcia Reale. Cosi una .sera, all'Argentina, si era interrotto il « Lohengrin » prò prio all'arrivo del Cigno. Ella allora fece sapere: — Mai più. Viceversa quando l'« Iris » si rappresentò per la prima volta al Costanzi e parte della critica si mostrò avversa alla nuova opera del Mascagni, ella non mancò a nessuna delle repliche, che furono nove. Con tali atteggiamenti, pienamente spontanei alla intelligenza e all'anima di Lei. fu, in breve tempo, compiuta dalla prima regina d'Italia, l'intera conquista della popolazione romana che ogni giorno, quasi ogni ora, la vide e la senti in opere radiose di bontà feconda. Indubbiamente una efficacissima cooperazione nella nobilissima missione assuntasi Le offrirono le dame da Lei prescelte a costituire la sua Corte, non solo perchè conferirono alla rv:»a lità insediatasi l'aureola lolla bjllezza e della grazia, ma perchè non po.:he di esse condussero le >oro famiglie a porre nella capitale la residenza loro Cosi un alito di vita novella, più agile e moderna, penetrò nella vetusta alta società di Roma. LUIGI LODI.