Un'ora nella Specola

Un'ora nella SpecolaUn'ora nella Specola Siamo entrati nei giardini del Valicano di notte, su per viali oscuri, p ci pareva che il gran silenzio e la tenebra avessero abolito il tempo, pa una parte s'intravvedeva la BasiJica su cui le volute architettoniche disegnavano ombre potenti, c i muraglioni a picco dei paJazzi, senza «ina sola finestra, un solo spiraglio illuminati; dall'atra le masse enormi degli alberi, le siepi di bosso che si perdevano lungo viali infiniti, i prajti lisci e compatti come laghi neri. Man mano, però, che si saliva verso la Specola, nascevano in basso fieyoli e fuggevoli chiarori; erano lei luci di Roma rivelantesi a poco a poco dietro le cime degli alberi; fin che tutta la città si distese allo sguardo coi suoi freddi fuochi, i cupi rettangoli dei palazzi percorsi a tratti come da bagliori di incendio. Il faro del Gianicolo, girandola tricolore, e le lampade rosse in cima alle vertiginose antenne della stazione di San Paolo, 6'alternavano all'orizzonte in una magica danza, cui rispondevano dolci fiamme azzurrine sui fili dei tramvai in corsa : mutevoli fuochi nella città dove tutto, a dar più felice spettacolo di sè, vorrebbe sostare. Sulla cupola della Specola, arrivati non senza una facile acrobazia su per una curva scaletta di ferro, par come di trovarsi in cima ad un pallone aerostatico, e quasi ci si aspetta da un momento all'altro che il vuoto emisfero debba staccarsi e mettersi a volare nei cieli, col suo telescopio nel ventre, stanco di far tutte le notti l'amore contemplativo con gli astri; e andarli finalmente a trovare in casa loro. A qualcuno gira la testa, è meglio discendere. E' questa l'anticamera del cielo; impaziènti e indiscreti postulanti, di tratto in tratto guardiamo dalla fessura della cupola come in una stanca dal buco della serratura, e una stella, un pianeta, una nebulosa ci appaiono per un istante più grandi è più dolci, ma di noi noncuranti, non ancora disposti a concederci udienza. E del resto, a pensarci bene, pon dovremmo poi aver tanta fretta. Prima di sorprendere qualche segreto degli astri, ne abbiamo ammirate le sembianze. C'è una sala dove sono esposte le loro fotografie, come avviene, appunto, per le stelle dell'arte muta o danzante; il sole, con lo sue fiamme volanti e i suoi vortici abissali in cui la nostra Terra sarebbe inghiottita come una mela nelle fauci di un orso; le pallide, evanescenti, quasi morenti comete; i pianeti opachi e rugosi, segnati certuni da misteriose geometrie, altri maculati, altri ancora smorti, senza espressione; le canute tempestose capigliature degli ammassi stellari, i veli bizzarri delle nebulose, i lembi, candidi formicai di stelle, della Via Lattea; tutto è stato fotografato, catalogato, conservato per i posteri che rivedranno gli stessi cieli e compileranno la lista delle nascite e delle morti nella popolazione dell'infinito. Da ultimo, ecco la grande fotografia della luna, simile quasi ad un casalingo a ingrandimento 1 per salotto borghese. L'ingrandimento di un caTo scomparso. Tutto intorno alle pareti stanno i ritratti degli uomini illustri, venerandi abati e frati dal sorriso stanco, gli occhi miopi dietro, grandi lenti, già lontani con la mente e fora'anche col cuore dal nostro meschinìssimo mondo, da questo famoso nostro granello di sabbia, macerati dal calcolo infinitesimale, dalle veglie, dal fedele, geloso e interminabile colloquio con le scintillanti e silenziose amiche delle notti. • • • La profana curiosità ci fa affrettare nella cupola della Specola. Ci guida un tipo singolare di custodeastronomo, il quale, a furia di ascoltare ed aiutare gli scienziati — e specie Padre Hagen, direttore dello Osservatorio — s'è fatta una cultura spicciola davvero strabiliante. Questo uomo, che modestamente porta un berretto da bidello e si tien pago di due nerissimi baffi da appuntato dei carabinieri, ha l'universo sulle punta delle dita, sa dove e a che ora spunta Giove sull'orizzonte, e come è grande Marte, e di che materia son fatte le code delle comete, e come si interpretano le fotografie spettroscopiche ; parla di ascisse ed ordinate, di nebulose e di stelle variabili come un fattore parlerebbe dei frutti del suo podere ; e mostra piccoli frammenti di meteoriti, fulminei messaggi del cielo ora freddi e spenti, con una compiacenza da collezionista arrabbiato. Naturalmente egli sostiene che la Specola del Vaticano è la più grande del mondo, e a chi gli rammenta che in America ve ne sono di più potenti e moderne, risponde che sì, sarà vero, ma che gli americani hanno i danari, e l'intelligenza ce la teniamo noialtri. ChieIfcogli se eia possibile osservare qualehe pianeta al grande telescopio, rispose con una punta di disprezzo: JToi non ci occupiamo che di stelle. Per usare tuttavia una cortesia a Boi poveri indotti, il bravo e davvero intelligente custode consente a farci ammirare nel canocchiale qualcuno di quei fraterni pianeti del nostro modesto sistema solare. Ecco Saturno con l'anello famoso, che pare un ro tondo testone con un'aureola di tra verso, sulle ventitré. Ecco Giove spuntare flebile e smorto all'orizzon te e diventare, nel canocchiale, addirittura commovente : un disco grosso come una moneta da venti lire, leggero e rossastro, senza splendore, Infinitamente lontano. Commuovefterchè, per la prima volta, abbiamo 'esatta percezione di un mondo nuovo ; soltanto la visione diretta poteva 'farci convinti che l'universo può es ftere altrimenti abitato, chò le cifro più sbalorditive o le più esatte foto» grafie, in fondo in fondo, ci lasciavano stranamente assenti, indifferenti; vederla invece, laggiù, tranquilla e solitaria, quest'altra Terra lontana, ci fa quasi smarrire ci dà l'etìimera, leggiadra intuizione di un affetto che può aggiungersi a quelli già noti della nostra stona, ed è come, guardando, se assistessimo ad un gentile miracolo. Un altro mondo. Ingrandito cosi, pare che ci sia venuto incontro volando, vorremmo che si avvicinasse ancora, che ci svelasse i colori d'una men feroce aiuola. Per fortuna l'astronomia è una scienza, con tante formule che la circondano e segregano, per fortuna l'algebra ha sostituito la fantasia, se no gli astronomi, a pensar sempre quel che noi pensiamo, tutti finirebbero in una dolce pazzia. Un bell'effetto fanno le stelle doppie. Ad occhio nudo non si scorge che un pallido puntino, e nel canocchiale brillano due rotondi diamanti, uno azzurrino, l'altro rossastro, oppure uno giallo chiaro e l'altro verde. Ma, tutto sommato — e non io diciamo al custode per non dargli un dispiacere — al canocchiale le btelle hanno un che di freddo e di immiserito che delude; meglio guardarle tutte insieme, nell'ampiezza fresca e vellutata della notte. • • • E' giunta l'ora della luna, che s'è appena levata. Eccola, la dolce amica, gonfia, dilatata, tutta coperta di incrostazioni come quelle sfere di pietra che si mettevano in cima ai pilastri d'entrata dei giardini. La favola è abolita, la luna, che non ci aveva mai dato l'idea di un mondo, bensì d'una benigna creatura animata, ora rivela le piaghe inaridite deifa sua natura cosmica, ora si dichia¬ ra dolorante figlia del caos, ora n-corda, malinconica, immani catastrofi, spaventi tellurici che la straziaro¬no quando balzò dalla Terra in fiam me e prese a rotearle intorno nella sua infinita caduta. Circhi immensi, crateri, negre ombre di mari prosciugati, non basta la luce rosea del sole già per noi tramontato a ridarle il poetico languore onde si rivela ai passeggeri e agli amanti. « Che fai tu luna in cdel? ». Facile, inevitabile ci torna il verso nella mente, e appena togliamo l'occhio dalla lente, e torniamo a guardar come sempre, ci accorgiamo che ritorna intatta la favola. La visione meccanica non ci ha tolto nessuna illusione, la luna è sempre la nostra luna, anche se per un momento ne abbiamo colto un segreto. Non quello che noi vediamo, dunque, è falso, se la verità consiste in ciò che dà forza alle nostre fantasie. Eterno e inconfutabile è soltanto ciò che i nòstri sensi percepiscono. • • • Siamo ancora nei viali del giardino, disposti alle medesime ammirazioni di prima. Giunti in basso, quando le luci di Roma scompaiono ancora dietro gli albori, le stelle spiccano fitte e brillanti, ben dolci a vedersi, la Via Lattea è tornata un immenso, placido fiume celeste, le costellazioni riprendono gli antichi, ingenui e dilettosi disegni, brillano gli astri maggiori, giusti sovrani di un popolo stellare, e la luna ha ripreso a sorridere benigna, il suo volto è carezzevole, la sua luce fa sempre più docile e chiara la Terra. Di ciò ci contentiamo ; e di più un uomo non dovrebbe chiedere al cielo.Q. B. ANGIOLETTI.

Persone citate: Hagen

Luoghi citati: America, Roma, San Paolo