Gli ultimi discendenti della Cavalleria

Gli ultimi discendenti della Cavalleria Gli ultimi discendenti della Cavalleria ■(DAL NOSTRO INVIATO)- SAN DEMETRIO CORONE, ottobre. A San Demetrio Corone, che è un paese della Provincia di Cosenza, tra a Sila Greca e la Valle del Cratl, ripensavo alla forza delle favole eroiche nella vita dei popoli. E un'altra cosa, comune, ma scoperta sul vero, mi veniva in mente, come nuova: l'universalità e il cosmopolitismo delle civiltà mediterranee in confronto ad altre civiltà esclusive. Gli abitanti di questa piccola città sono i discendenti di quegli Mirici, o comunemente albanesi, venaitl in Italia mei Cinquecento con Scandeberg 11 Castriota, dopo essersi difesi inutilmente dall'incalzare del turchi, meritandosi una larga accoglienza come compenso dell'aiuto prestato agli Aragonesi contro gli Angioini e I Baroni. Soellsero una contrada quasi deserta, popolata allora soltanto da conventi, che erano però molti, circa quattrocento. Questo popolo che discende da quel profughi somma in Italia a novantamila persone. Tiene a San Demetrio uno del suol centri intellettuali più importanti. Parla ancora una lingua illirica d! tipo osco, slmile all'albanese del sud; serba consuetudini e tradizioni; nelle donne un costume; una religione cattolica di rito greco. Strano movimento delle popolazioni italiche: nei secoli mescolatesi e rinnovatesi con gente affine, talvolta con gente repugnante, di quella sopravvive la vita e di questa tutto è dimenticato ; poi a loro volta ripresa a via del mondo si sono mescolate coi popoli più lontana come accade da un secolo a questa parte; dopo aver preso il meglio delle razze amai lo rovesciano sul mondo. E' come un si stema di circolazione del sangue. Per questo l'Italia non soffre per il peso del suol tremila anni di storia ed è l più vivo fra f paesi antichi. ™ Questi illirici o albanesi di cui ho fatto conoscenza, appartengono a una razza che a più riprese approdò in Italia.- Da noi si trovarono subito come nella loro terra, non soltanto per la terra e il clima somiglianti, ma anche per il fondo della civiltà ma per la disposizione comune dello spirito, il classicismo greco-romano, i miti eroici continuarono anche sotto il pondo di Garibaldi. A un certo punto della storia queste due civiltà hanno voluto dire una sola cosa, ebbero non soltanto favole .religiose comuni, ma modi comuni di concepire la vita e l'arte, divennero un sistema unico, un mondo unico, la base della civiltà del mondo. Finirono per ricordarsi della patria soltanto per la lingua, che si può considerare ormai come uno dei dialetti italiani, certo non il più facile, ma uno dei più illustri. Ebbero n comune la storia italiana che arricchirono di episodi significativi. Il concetto dell'eroismo greco rimaneva intatto nel mondo latino, si rinnovava con la cavalleria, rigerniogllava nel Risorgimento. Si fusero le tradizioni, e il Castriota, dopo aver rifiutato la pace di Maometto II e di Amurat, preferiva l'esilio per se e i suoi, riprendendo la tradizione antiorientaie dei Romani. Della loro famiglia fu Grispl, come lo era stato Agesilao Milano, della loro famiglia alcuni martiri poco ricordati nelle storie come tutto quello che riguarda il conributo dell'Italia meridionale all'Indipendenza: i martini del 1849. Gli Ilirici, o greci, o albanesi d'Italia furono a capo dei sommovimenti quando Garibaldi si avvicinava come la empesta. Garibaldi ito un proclama da Gaeta ne riconosceva il contributo e 11 valore. TI collegio albanese di San Demetrio ora divenuto un centro d'Italianità, e una bella notte del 1848 ne scappavano gli alunni col rettore n testa per mescolarsi al movimenti liberali. Già i Borboni non avevano mai potuto sopportare questo istituto e una volta lo avevano chiuso, quando Agesilao Milano tentò di sbarazzare 11 paese da Ferdinando II. Il Miano era stato alunno dei collegio di San Demetrio dove 11 culto dell'indi viduo e dell'eroe era vivo. Agesilao I Il nome stesso aveva agito in lui co me elemento di suggestione contro il Borbone, quasi che in quel nome fosse la sua missione. Egli voleva che a un discendente dei greci fosse riserbato il vanto di aver liberato il Napoletano da quel re imbelle e cattivo. Perciò non mi stupii, quando, levan do gli occhi sul muro dei vicoli di San Demetrio, lessi nella comune targa di maiolica queste diciture: Via Salamina-Vla Maratona. Nel secolo scorso una questione Inorno a questi illirici interessò 1 dotti di Europa. Essi sarebbero 1 primiti vi della Grecia, i primitivi dell'Europa, concludevano alcuni. Erano della stessa famiglia dei Frigi e dei Traci, 1 pelasgi, poi i discendenti del pelasgi cacciati dagli EÉeni, ridotti alla Macedonia e all'Epiro o emigrati in Umbria, nel Lazio. In Toscana. Come quelli, sono rimasti popoli rustici, de dicati alle fatiche dei campi e alla guerra. Ancora oggi, nella loro Un gua, piai: significa uomo vecchio, e da questa parola presero nome 1 pelasgi E' uno svago featenoMato cercare la parentela della lingua con alcune antichissime espressioni. Roma verrebbe da rromi che vuoi dire nella loro lingua, e, si dice, in pelasgico, l'eterna, la vivente. La ninfa di Numa si chiamava Egeria; Gierija fra di loro vuoi dire affinità. Èrebo, l'Inferno, vuol dire oscurità e viene da erebiir. Nemesis da nemes, maledizione ; Atene, 11 nome greco di Minerva, da Alhenà, parola pensata; Atlante da AUjas, padre antico; Achille da achil, "piede veloce. Odisseo, il nome greco di Ulisse, disse al Ciclope di chiamarsi Outhis, che in greco vuol dire Nessuno. La stessa parola vuol dire in tosco e in pelasgico Viaggiatore, e li Ciclope, quando disse ohe autore del suo acciecamento fu un certo Nessuno, e fece ridere 1 suoi compagni, capiva il greco e non 11 pelasgico. Altri nomi che si ricollegano strettament» alla storia delle migrazioni greche in Italia. Cuma viene da axlma che vuol dire in tosco rupe precipite. Il nome greco di Giove, Zeus, ha una corrispondente parola pelasglca e HUrlca; Zea vuol dire spirito, e Zeno, vuol dire principio. Quelli che rivendicano agli albanesi erranti la parentela con i pelasgi, si basano su queste parentele impressionanti di antiche denominazioni, di cui si potrebbero fare volumi, fra alcune parole greche più antiche e la lingua che essi parlano tuttora. Ora vivono in queste regioni, pressappoco come vissero in tutti i paesi dove per millenni corsero a stabilirsi, fra il campo e il muro di macigno. Vivono una vita, come allora, campestre e pastorale, e come allora piena delle suggestioni dell'emigrazione. Ferdinando II, quando fece il suo viaggio in Calabria nel 1853, chiedeva di esse re accolto nelle modeste case del popolo come un passeggero, e si sdegnava quando tentavano di mettergli nel letto lenzuoli di lino. Voleva i lenzuoli duri e rigidi del popolo, e non per ostentare sentimenti democratici, che non era il caso, ma perchè si trovava in un paese in cui tutto era rimasto primitivo, semplice, comune, riposante, come ne aveva bisogno il suo spirito di nevrastenico. » Questi, disse, sono 1 più bel giorni delia mia viia ». Era vestito male, e l'uniforme gli stava addosso come un sacco. E io immagino quel re disgraziato, che malgrado le dimostrazioni sanfediste si sentiva vacillare W. trono, respirare bene in un paese di semplice vita. Dopo il colpo di baionetta di Agesilao Milano detestò 1 calabresi e questo San Demetrio. Portava una pietra sulla ferita, che riteneva avvelenata, e negli ultimi giorni delia sua orrenda malattia, vera punizione celeste, pensò con odio a questa gente cui credeva di attribuire la sua triste fine. Le razze delio spirito decadono fatalmente. Le razze pastorali e del lavoro della terra sono sempre Infanti. Prima pelasgi, poi greci, poi albanesi, poi italiana, questi popoli hanno seguitate le loro migrazioni e le seguitano tuttora. Ai loro compagni sperei pel mondo e che formano una popolazione tre volte superiore a quella della stessa Albania, non più albanesi, ma più vicini alla loro storia più remota e più universale, si devono aggiungere le colonie degli italo-albanesi in America. Là se ne sono stabilità altri centomila, serbano usi e costumi loro, sposano donne di qui, e stampano nel dialetto natio un giornale". DI lontano domandano se vi sono ragazze da marito convenienti nei loro paesi, che sono più d'una ventina in questa provincia. Vengono a sposarsi e ripartono con la loro donna. La stonila dell'emigrazione italiana in questi paesi ai colora cosi d'un nuovo colore. La storia della loro discendenza rimane nelle cose delia virta comune, come nelle donne che hanno una linea di abbigliamento di figurine di Tanagra nel loro costume. Fanno, alla vigilia delle nozze, un dolce grande e rotondo, che è l'ultimo simbolo rimasto dello scudo greco, e lo chiamano con lo stesso nome con cui i greci chiamavano lo scudo: pelfa. Banano ancora una danza che è l'ultimo vestigio della danza plrrica. Burria, da cui fanno provenire questo nome, vuol dire, nella loro parlata, virile. Destino delle parole: buria in slavo vuol dire tempesta e buriana in romanesco vuol dire chiasso. Danzano la pirrica, però senza scudo nè asta: ma 6ono rimasti i movimenti del danzatore che il brandiva; quando poggiano il piede destro in terra la mano destra si allunga sulla coscia come se posasse ritmicamente l'asta al suolo. Intanto la sinistra leva 11 gomito davanti alla fronte nell'atto di chi la copriva con lo scudo imbracciato. Questa stessa danza io la ebbi a notare in altri paesi greci (della Magna Grecia e della Grecia Bizantina) In Calabria, e me ne ricordo dalla mia infanzia. Matrimoni, nascite, morti, formano gli avvenimenti dei paesi a chi ricerca certe tradizioni. In queste cose si conferma quello ohe rimane di remoto in essi e ritorna uno stato d'animo primitivo, non consunto dal tempo e dalla consuetudine. Ho veduto qui la celebrazione d'un matrimonio, si aspetSavaao. ancora gli sposi e la casa del¬ l'avvenimento era spalancata. Le stanze erano piene di gente, disposta su una Ala di sedie lungo le pareti, gli uomini nella prima stanza e le donne nella stanza in fondo. Cesi nelle visite di lutto, tutti stanno zitti, e soltanto nella stanza dello donne queste piangono e parlano a voce alta, ricordandosi ognuna del suo lutto remoto o recente davanti a quello nuovo. Stavano silenziose queste persone, e alla massa nera degli uomini si contrapponevano i vestiti di gala delle donne, viola, verdi e dorati, con 10 scudo donato che chiude le trecce arrotolate sulla nuca. Quando per l'arrivo degli sposi si mescolarono I due pubblici, si potevano osservare intorno le donne di razza bellissima: la bionda di sangue slavo coi zigomi forti, gii occhi obliqui la fronte stretta, e la donna orientale con lo sguardo grande e umido, e la pinguedine giusta ed eloquente. Gli sposi si presentarono al prete che indossò la ca.ppa del rito greco, davanti al tavotinetto parato con un Crocefisso, una caraffa di vano, un bicchiere, e un dolce a forma di cS». FI prete mise l'anello alla sposa e allo sposo. U quale di quando in quando se lo guardava splendere, di sottecchi, al mignolo. La donna era calma e'compresa, e quello che manifestava più emozione e Più confusione era l'uomo. Poi, il prete congiunse le loro mani, intrecciando il mignolo dell'uno a quello dell'altra. Si tenevano 1 due sposi, mentre11 prete pregava in greco, agganciati per il mignolo, come si fa tra bambini quando per gioco si fa patto d'amicizia, almeno in Calabria, e mi stupì questa parte importante risici-baia al dito più piccolo. A turno i due padrini scambiarono. gli anelli da! dito dell'uno a quello dell'altra e viceversa per tre volle. Il prete presentò alla sposa il dolce da mordere. Ella ne morse un poco, e lo masticava ientamente come una cosa cui non fosse preparata. Lo sposo diede un morso anche lui allo stesso punto. Poi il bicchiere fu riempito di vino ; bevve lo sposo e bevve la sposa posando le labbra l'una sull'impronta dell'altro. Il prete lasciò poi cadere In terra il bicchiere .ohe andò in frantumi. Un lieve ridere corse fra gli spettatori. Le donne guardavano a destra e a sinistra coi loro occhi sottomossi e pericolosi. Poi il prete piese due corone di fiori d'arancio, disposti come le punte di una corona di conte, e non a ghirlanda, e le pose .sul capo dello sposo e della sposa. Ella portava quest'ornamento come una cosa naturale e che le spettasse ma lui, col suo viso scuro e ostinato di lavoratore, apparve con quella corona d'arancio, sui capelli tagliati a spazzola come se Io facesse per gioco. Poi, quando i padrini, secondo 11 rito, scambiavano la corona dello sposo con quella della sposa e viceversa, ciascuno per tre volte, incrociando sempre le braccia sui polsi, mentre facevano lo scambio, la corona dello sposo venne un poco di traverso, ed egli con le sue mani nere c dure cercava di accomodarsela, ponendosela come evidentemente era solilo mettersi il cappello. Pronunziata la sentenza dal matrimonio, il prete riprese a cantare, secondato da un chierico, e andava girando intorno alla tavola. Gli sposi giravano con lui tenendosi ai lembi del suo paramento come a delle ali; i padrini alla loro volila li seguivano reggendo sul capo degli sposi le corone. La cerimonia era compiuta, gli amici baciavano gli sposi, e tra questi le madi-! si distinguevano por certi baci schioccanti. Poi ognu.io di noi ricevette nel palmo della mano, come un mendicante, tre confetti. Ognuno dei presenti, agli sposi che avevano preso posto su un divano, si presentava salutando e augurando. Ai dolci e ai liquor! ce ne andammo, mentre arrivava una automobile carica d'inglesi che arriva, vano troppo tardi per godere lo spettacolo. Un'automobile infiorala aspettava alla pona Le donne si affacciavano dai poggioli e dalle finestre. Per mezz'ora la casa era stata teatro di una cerimonia fuori di ogni sospetto che se ne potesse nutrire vedendo qupl luoge rustico, una cerimonia che aveva una storia. Qui anche il clero era stato patriota e sacerdotale neMe gueiTc, secondo le religioni nazionali pagane. Basterà dire che nel 1790 il vescovo Bùglr.ari di San Demetrio fu ucciso dai Sanfedisti pe.r le sue idee liberali; clero e aristocrazia si mescolarono in tutto il rivol gimento contro i Borboni, Garibaldi uomo della terra, figlio anche lui del la stessa disposizione di spirito, amò questo popolo e lo capi, si ricordò di esso e l'onorò da Gaeta, di un proclama: « I miei prodi albanesi » diceva. Con un decreto dittatoriale soccor se e illustrò li famoso collegio albanese. A Soveria. dove si decise la conquista del continente e dove l'esercito borbonico fu sgominato, una modesta lapide ricorda il fatto. I libri di sto ria sonò muti a questo riguardo, e unpaese che neila guerra mm vede altro chr, „n iato naturale della vita, nousi cura troppo di rivendicare l'onoredì questi fatti. CORRADO ALVARO,

Persone citate: Agesilao Milano, Borboni, Castriota, Ferdinando Ii, Miano, Minerva, Numa, Sila Greca