Una marcia di quasi 500 chilometri dall'altipiano del Cascimir al Caracorum attraverso l'Himàlaya

Una marcia di quasi 500 chilometri dall'altipiano del Cascimir al Caracorum attraverso l'Himàlaya LA CAROVANA DELLA « STAMPA » AL CARACORUM Una marcia di quasi 500 chilometri dall'altipiano del Cascimir al Caracorum attraverso l'Himàlaya ( r> a l nost i- < > inviato)- Mio campo di ASCOLE(valle del Braldoh - altitudine m. 3060) -- Agosto. Come già ieri scrivevo, la Spedizione, prima, e io più tardi, a distanza di circa tre mesi, si percorreva la via più usata, quasi tradizionale d'ogni spedizione, per questo viaggio. La Spedizione, alla partenza da Srinagar, s'era suddivisa in tre scaglioni, che si seguilebbero successivamente nella marcia, a pochi giorni l'un dall'altro; e questo principalmente, dato le limitate risorse del paese, per la possibilità di trovare, di tappa in tappa, gli animali o gli uomini, tri numero sufficiente per il trasporto del materiale; approfittando i successivi scaglioni di quelli già lasciati liberi e rinviati dal primo scaglione, il quale frattanto, ne' nuovi centri abitati dove giungeva, veniva arruolando altri uomini, affittando altri quadrupedi, il primo\ scaglione, col Duca e Vittorio Ponti, partiva da Srinagar il 29 marzo, due giorni dopo, partiva il secondo scaglione, con l'avvocato Balestrerà l'ingegner Chiardola, il radiotelegrafista Anfossl, il fotografo e cinematografista Terzano. le guide Croux e Bron. e ancora due o tre giorni dopo, partivano ali altri componenti della spedizione, il comandante Cugia i professori Desio e Di Caporiacco, il dottor Allegri. Io, poi, partivo da Srinagar, dove ero giunto ai primi dì giugno, come ho già particolareggiatamente descritto, il 17 di detto ir. ■ se. Da Srinagar, Imboccala la. valle del Sind, si saliva a Cangan, a Gund — e qua son rimasto, nelle passate corrispondenze, il lettore ricorderà, co' miediari, — a Sònamarg, a Buttili, e suallo Zogi-La: ch'è ti colle per cui si valica mimatala, all'altezza di 3527 metripassando dal Cascimir al Baltistànossìa Tibet Occidentale, o Piccolo Tibeto anche, secondo la denominazione degli antichi geografi cinesi, Tibet degli albicocchi. Io valicava lo Zoi/i La il 22 giugno, un giorno fosco, con raffiche di vento, e, sul versante settentrionale, o più pressamente, grecale, pioggia e nevischio. I tre scaglioni della Spedizione l'avevano valicato nella prima decade d'aprile, prime carovane dell'anno che s'impegnavano in quel cimento, sconsigliando anzi gl'indigeni il tentativo, quasi temerità, nella troppo precoce stagione, per le difficoltà del cammino, tra il cumulo enorme delle nevi, e "per il pericolo delle valanghe, onde il passo va specialmente e tristemente famoso: che non è anno non si prenda sue vittime; e il Novembre scorso, una intera carovana, d'una diecina di uo mini e d'una trentina di poneys, era travolta e sepolta da una valanga, al lo sbocco di libeccio del colle; e quand'io passai, sette mesi dopo, ne stava no cercando le salme e il carico, son dando e scavando lo strato di nuova e vecchia neve, spesso ancora parecchi e parecchi metri. Una vetta inespugnabile e nn emporio asiatico Dallo Zogi-La, entrati nel Piccolo Tibet, o Baltistàn, si scende, sul versante settentrionale dell'Hìmàlaja, per la desolata e selvaggia valle del Gembur, o Gombur, a Metàjan — 3344 metri — e a Dras — 3066 metri. Qua, il secondo scaglione della Spedizione attendeva il terzo, per proseguire indi uniti; mentre il primo era già proceduto innanzi. Io sostai a Dras, per necessità del mio lavoro, una settimana esatta; e trovai modo concedermi un giorno una bella, nient'affatto facile escursione su uno del monti che chiudono, da mezzogiorno, la conca-, quello stesso, credo, che tentò già salire, nel '913, il nostro Giotto Dainelli; che nelle sue note di ■ vita di carovana nel Tibet Occidentale », il libro già più volte citato, Paesd e genti del Caracorum, ne scrive: « ...una cima sovrastante ad una di quelle pareti scoscese che rammentano tanto le nostre Dolomiti Ma come il Dainelli, fui arrestato sotto la vetta dalle difficoltà dell'ascensione, insormontabili per me, che mi confesso mediocrissimo scalatore di roccia: la vetta, che il Dainelli determina • ...una specie di grande torrione dalle pareti insuperabili... ». Considerato cosi che rischiavo dare il mio nome alla conquista soltanto in articulo mortis; e poiché questo non rientrava nè punto nè poco nelle mie intenzioni; me ne ridtscesi, un po' umiliato, al bànaalo. Un errore geografico Ripartii da Dras il 30 Giugno; e discendendo la valle del Dras, la cui desolazione selvaggia, analoga alla valle del Gembur, s'adornava, quasi miracolosamente, per la diruta ferrigna pctraja, d'alti e fìtti cesti di rosa di macchia in fiore; quel giorno facevo tappa a Sctmso-Charbu. Il giorno seguente, giungevo alla confluenza del Dras col Suru, dove, cioè poco prima, al ponte che attraversa qua il Dras, ultimo ponticello stabile, di tipo occidentale, che si trova internandosi in questa regione, sì dividono le due- strade: quella che prosegue verso nord, scendendo la valle del Suru, e poi quella dell'Indo, e raggiunge la capitale del Baltislàn, Scardu, o meglio Ascardu; e quella che risale il Suru. a Carghi!, e indi variamente dirama nel Ladàk, o Secondo Tibet, e il suo ramo principale immette alla capitale. Le. La mia strada era la prima : ma, come già la Spedizione, deviai fino a Carghil, capoluogo del distretto di Parigli, per la curiosità di conoscere questo importante centro di smistamento carovaniero, dove, com'esso e sito a cavaliere tra Baltistàn e Ladàk, tra Piccolo Tibet e Secondo Tibet, tra il paese musulmano setto e il paese lamaista. s'incontrano, assai più che a Dras, frammischiale razze e genti e tribù, Casctmiri e Tibetani, Baiti e Ladaki, Brokpà, Dardi, Clanghpn, insieme con quelli che il Dainelli distingue chiamandoli appropriatamente Purighi, dal nome stesso del distretto. A Carghil si respira già dell'aria mongolica; e si osserva un emporio asiatico continentale, modestissimo ma quanto mai caratteristico, poiché, non essendovi intruso che eccezionalmente qualche spurio elemento, di civilizzazione occidentale, si ritrovano ancora originali autentici tipi e prodotti, aspetti e costumi. Ma di tutto questo, ch'ò del più interessante materiale di Impressioni e d'osservazioni ch'io abbia raccolto, tratterò riprendendo la serie de' miei diari, dopo queste lettere, più espressamente dedicate alla spedizione del Duca di Spoleto. Bipartita da Carghil in due scaglioni — che, com'ho detto, il secondo e il terzo scaglione s'erano ricongiunti, da Dras, in un unico, — la Spedizione ripercorreva quel tratto di strada per cui era deviata, rhtiscendendo il Suru fino all'affluenza del Dras, e risalendo questo per la poca pezza fino al ponte ; che attraversava; e prendeva la strada di Ascardu. E scendeva ancora per la valle del Suru, a Oltinghtàn ,poi, superato il promontorio che di qua si protende sulla confluenza dei Suru con l'Indo, scendeva con questo, a Baghicciò, Tolti, Parcutta, Gol, Ascardu — 2234 metri: — dove i due successivi scaglioni giungevano verso la metà d'Aprile. Per la stessa strada, io vi giungeva proprio tre mesi dopo, il 17 di Luglio. E ad Ascardu, tanto la Spedizione che io sostavamo qualche giorno; io, fino al 25 dello stesso Luglio. Poi, si passa l'Indo; e si è finalmente nel Caracorum. E prima tappa, qua, è Sclgar, la più vasta e fiorente oasi, di quante n'ho visitate, del Baltistàn, con un importante centro abitato, che rivaleggia con la capitale Ascardu. e sparse borgatelle e casette d'agrtcolto ri. La Spedizione, allora, aveva messo e tende al campo del « polo », del glo co tradizionale del paese, che tanto appassiona queste popolazioni; e che 'antropologo ungherese K. E. Ulfalvy già ritenne nato qua, tra Htmàlaja e Caracorum; mentre pare più probabie sta stato importato e diffuso dai sovrani mongoli, contemporaneamente che in india, dove però se n'andò poi perdendo il gusto ed estinguendo l'uo, fuorché in qualche provincia eccentrica; donde poi gl'Inglesi, appropriandoselo, lo riesportarono. Io, esendoché solo, potei sistemarmi al bàngalo, ultimo bàngalo per questa trada. E sostai, anche perche costreto da una momentanea Indisposizione, no al ì corrente Agosto: quando ri- presi il cammino, per il paese che oramai, di passo in passo, si faceva sempre più aspro e selvaggio; e pervenni, quel giorno, a luno. Qua, due cose notevoli; e la prima che rilevai un errore delle nostre carte, sia di quella del Dainelli, sia della recentissima del Calciati, e In parte di quella stessa, generalmente ottima, anglo-indiana; errore, per quanto mi consti, che sarebbe sfuggito, pur cosi palese, sfuggilo almeno ancora in parte, all'os- scrvazione della stessa nostra Spedizione; e che non mi spiego se non con u,i mutamento dell'idrografia della regione, avvenuto in questi anni, e particolarmente accentuato ed evidente nella stagione in piena, in cui io mi trovai sul posto. Si tratta — accenno al fatto, riservandomi di parlarne specificatamente altra volta — si tratta che il fiume che scorre sotto luno non è lo Scigar, come le carte segnano; ma il Braldoh: attesoché questo non confluisce con il Bascia direttamente in corrispondenza dello sbocco della propria valle, formandosi indi, dalla unione delle due correnti; lo Scigar; ma, girato al piede lo sperone terminale meridionale della propria valle, il Braldoh scende ancora sulla sinistra dell'amplissima valle Scigar, parallelamente al Bascia, che scende sulla destra, fino a sud-sud-est di luno; dove soltanto avviene la confluenza de' due fiumi, e dove soltanto dunque comincia lo Scigar. E cosi, quelle alturelte moreniche che s'allineano attraverso la valle Scigar, a est del punto dove la carta anglo-indiana metterebbe la confluenza principale Braldoh-Bascla, che io appunto contesto sia qui, e registra la quota di 8227 piedi — pari a metri 2706, — quelle alturelte non sorgono nè a. est della confluenza, come precisamente deriverebbe dalla carta anglo-indiana, nè tanto meno a sud o sud-est, come comporterebbero le carie italiane, sibbene a nord-nord-ovest; e non lo Scigar le gira da occidente : ma da occidente le gira il Bascia, e il Braldoh le gira da oriente. Una traversata in « za!: » L'altro fatto notevole, voi, che da luno, per attraversare il Braldoh, che era, com'ho detto, in piena, con larga e impetuosa corrente, d'un terroso color grigio-marrone, e con gorghi e cavalloni quasi di mare, sperimentai la prima volta lo zak: quel galleggiante speciale del paese, costruito in guisa quanto mai primitiva, ma anche geniale, con una ventina di otri gonfi d'aria, sui quali s'appoggia, legato, un graticcio di rami. Hon altro. Ma dire che quando ci s'affida la prima volta, su uno di colili ordegni, a navigare un di questi fiumi, soprattutto se in piena, dire che non ti proti ne' primi momenti, seduti, come si è, quasi sull'acqua, e sballottati dalle onde e travolti a turbine dui gorghi, non si provi un certo senso che maledettamente somiglia alla paura... eh! venga un altro, meno timido di, me, a provare. Poi, si, subito ci s'abitua s'acquista anzi piena fiducia,- comprendendo che lo zak, checché accada, a meno non si lacerino o comunque si sgonfino gli otri, non può, in qualunque modo, che sempre galleggiare, come una zucca o un sughero, di cui ha tutto l'andamento pazzo. Divisa la mil piccola carovana in quattro scaglio-tt dato che lo zak non sopportava più d'un quarto del totale degli uoìiiinl e del bagaglio — e pur questo avevo già ridotto al minimo indispensabile per il tempo dell'escursione in vallo del B'aldoU e agli alti ghiarjial del Caracorum, lasciandone il più grosso in deposito ad Ascardu; — in quattro successive traversate, ebtrasportato tutto sulla destra del Braldoh, all'estremità meridionale del vasto greto che s'interpone, appunto, tra esso e il Bascia, di sopra, cioè, a nord, dalla confluenza. Indi marciai per il greto; sorpassai le collinette moreniche, per una spaccatura che al centro le divide; marciai ancora per il greto, davanti allo sbocco della valle del Braldoh, fino a raggiungere, di questa, lo sperone terminale settentrionale. Sul quale m'inerpicai, ch'è dirupato e d'arto passo; e procedendo oltre, per il versante destro della valle; e avendo subito un ingente rilardo nella marcia, in conseguenza d'un errore dello scicari, li quale, sull'imbrunire, tra le rotte rocce aveva smarrita la traccia, e mi portò a finire, che già s'era fatto buio in un ca' del diavolo di altre roccie strapiombanti, che non si sapeva più né come andare avanti nè come tornare indietro; finalmente, recitando in cuore un'avemmaria di grazie, arrivavo a Dasu; e tuttavia ancor molto prima della mia carovana che, rimasta indietro nell'ascesa sullo sperone, e travagliala poi anch'essa dalle difficoltà della strada, non mi raggiunse che tra l'una e. le due della mattina, a gruppetti dispersi, di due o tre portatori alla volta; quand'io ora mai disperavo sarebbero più arrivati prima del g-iorno. ed ero preoccupalo di qualche grosso accidente. Emozioni Il giorno seguente — 6 Agosto — sempre risalendo la valle del Braldoh, facevo tappa a Gòmboro, o Gombar. E l'altro giorno ancora, a Ciongo, pas sondo, per un tratto di strada, sulla sinistra del fiume, per tornar quindi sulla destra, e il fiume valicando, l'una e l'altra volta, sui due ponti gitila, di Pacora e di Ciongo. Altra emo zlone, speciale dei luogo: i ponti costituiti di tre grossi paralleli cordoni di vinchi intrecciati, uno, più basso, per camminarci sopra, gli altri due fiancheggiatili più alti, per appoggiar si con le mani; e una serie di tiranti verticali tiene uniti con il primo cordone questi altri due,, j quali sono a loro volta tenuti divaricati da bastoni orizzontali. L'n po' di vento, nonché il nostro passo stesso, fanno oscillare e ondeggiale tutta auella costruzione, sospesa, com'è, unicamente dalle due estremità, e penduta al centro, a mo di festone; e non solo si cammina in sostanza su una corda, poco più grossa d'un braccio, ma bisogna anche, a intervalli scavallare, in equilibrio, i bastoni trasversali; e sotto, a quindici o venti metri, la corrente precipitosa e vorticosa del fiume; e quando s'è al centro, se sì guarda l'acqua, s'Ita l'impressione, naturalmente, d'essere trasportali con tutto il. ponte, in velocità, contro corrente. Per conto mio però, posso dichiarare con serena coscienza che l'emozione del giula, anche la prima volta, l'ho sentita pochissimo : sarà ch'io non soffro per niente di vertigini; e sarà che me n'avevano tanto parlato, come di qualche cosa di spaventoso; e il mio stesso scicari e il servo me n'erano andati empiendo la lesta, in. previsione, da una settimana, quasi pretendessero, per ja circostanza, un'assicurazione sulla vita; finì ch'io trovai quella specie d'esercizio da funambolista quasi divertente; e quando fui sull'altra riva, — E' tutto qui? — considerai: Evidentemente, come diceva quel romanaccio, ce stanno altri atti de valore a compì. — Certo però molti, degli stessi indigeni, provano per il giula un'irresistibile repulsione; e alcuni non riescono assolutamente a vincerla; sicché, se proprio non possono fare a metto, si fanno portare, bendati gli occhi, a spalle da un robusto e meno pavido compagno. Da Ciongo a qua. Ascole. la tappa è brevissima, meno di dieci chilometri. E l'ho percorsa feri — 8 Agosto, — arrivando qua giusto all'ora che dava luogo alla benignità di Sua Altezza Beale il Duca di Spoleto d'invitarmi a colazione. La Spedizione qua si trovava riunita, e impiantava il suo campo di base, il l.o Maggio scorso; muovendo indi alle sue esplorazioni e a' suoi lavori nel bacino del ghiaccialo Balloro e zone limitrofe. Questo piccolo abitato, poche casupole, di Ascole. è all'altitudine sul mare di 3052 metri. Io ho messo il mio campo poco sopra, a un par di centinaia di metri da quello dei Duca. E la marcia compiuta da Srinagar a qua, attraverso il Càscitnii e l'Himàlaja e il Baltistàn e il Caracorum centro-meridionale, è di circa cinquecento chilometri — precisamente, se Interessi, 484 chilometri. MARIO BASSI. »v.ju» /fintra rie stavifo dai nostro inviato nei!andate ^ vaas» // ritorno.