Le spedizioni dei due Savoia

Le spedizioni dei due Savoia La carovana de «La Stampa» raggiunge il Caracorùm Le spedizioni dei due Savoia Glorie italiane rievocate sul campo delle gesta « L'indimenticabile impresa del Duca degli Abruzzi « L'attuale spedizione del Duca di Spoleto ricalca le fortunose tracce ( I> e» 1 «oatro Inviato) II nostro Mario Bassi è l'unico giornalista che. attraversando solo, con un'esigua carovana indigena, la catena deU'Hlmàlaja. e 11 Baitistàne internandosi tra i selvàggi formidabili monti del Caracorùm, sia riuscito, dopo più d'un mese e mezzo di marcia, nell'Agosto scorso, a raggiungere, al campo-base di Ascole, nella valla del Braldob, la Spedizione Geografica Italiana, condotta da Sua Altezza Reale 11 Duca di Spoleto. Riceviamo soltanto ora la serie delle sue lettere In merito, di cui pubblichiamo oggi la prima, che è di premessa, rievocandosi in essa la storia d'un'altra grande spedizione italiana al Caracorùm, quella condotta, vent'atmi fa, da Sua Altezza. Reale il Duca degli Abruzzi. Le altre lettere, ebe seguiranno, costituiranno l'unico, destinato oramal necessariamente a rimaner tale, servizio giornalistico stili' attuale spedizione, d'un giornalista che ha visitato di persona 1 luoghi, e ha veduto la spedizione stessa all'opera, nell'ultimo sviluppo del suo programma. ASOOLE (Valla del Braldeh) Agosto. • Ho raggiunto finalmente, quassù, tra le sperdute valli e i formidabili ghiaccia} e le giganteggiami cime del Caracorùm, la nostra Spedizione Geografica, comandala da Sua Altezza Peate il Duca di Spoleto. Non senza un'orgogliosa soddisfazione, che credo legittima, mentre dal mio campo, sito a un par di centinaia di metri da quello del Principe, m'accingo a redigere queste note, che non potranno arrivare in Italia, forse, ed essere pubblicate prima dell'ottobre — tante la strada da ripercorrere!; — considero ch'io sono il primo, l'unico giornalista c'abbia affrontato e superato questa prova: di compiere solo,- e con mezzi necessariamente limitati, lo stesso viaggio, attraverso queste regioni appena sommariamente note, in parte non riconosciute che a vasti tratti, e di toccare approssimativamente le stesse mète, di grandi spedizioni, preparate di lunga mano, peritamente organizzate, condotte da esploratori famosi, con guide alpine, con uomini scelti, con attrezzatura e rifornimenti a iosa. Ora che sono qua, mi pare-però, ripensando, che tutto, e comprese le fatiche e le sofferenze, sia proceduto in modo relativamente facile. Dedicherò le prossime corrispondenze, com'è logico e doveroso, alla spedizione del Duca di Spoleto, reduce, pur l'altro ieri, dalle sue esplorazioni nel bacino del ghiacciaio Baltoro e zone circonvicine, e da qualche ardimentosa scalata. Poi riprenderò miei diari, che per necessità di marcia ho dovuto interrompere, nella redazione elaborata per il giornale, dalla partenza da Gund, in valle del Sind, sul finire del giugno scorso. Riassumo ora i dati dell'itinerario c'ho seguito ch'è lo stesso identico cammino percorso dalla spedizione del Duca, e ch'è anche quello di quasi tutte le precedenti .spedizioni. Poiché ho accennato alle precedenti spedizioni, insisto in ricordare l'importantissimo, anzi fondamentale contributo degli Italiani all'esplorazione e alla conoscenza di queste regioni. Su poco più della diecina, che sono in lo tale, nell'ultimo cinquantennio, le principali esplorazioni della zona compresa tra l'Himàlaja e Caracorùm, e al Caracorùm, se ne contano ben quattro esclusivamente italiane; e si può sicu ramentc affermare, almeno per tre di esse, tra le meglio organizzate e delle piti fruttifere di risultati. E se si comprenda anche questa mia modesta spedizione personale, se ne contati cinque. Non spiacerà al lettore ch'io rievochi di qua, dove.ancora una volta Italiani hanno, in pacifica gara, ma travagliosa e perigliosa quanto una impresa di guerra, conquistato non cfimero vanto, d'interessanti, per quanto limitate, scoperte geografiche, e di valida partecipazione al progresso scientifico, nel campo geografico, appunto, e geofisico, geodetico, geodinamico, geologico, geomorfologico, e nella glaciologia, nella botanica, nella zoologia, e infine nell'antropologia; oltre a qualche memoranda ascensione alpinistica; ch'io rievochi la gloria degli antecessori nostri. Dal 1728 ai nostri fiorai La prima spedizione italiana in questi paesi... Si! La prima rimonterebbe addirittura a Marco Poto. E rimando pertanto il lettore alla nuova magnifica edizione fiorentina del Milione, curata con sicura dottrina e fervido amore da Luigi Foscolo Benedetto, e che si può dire la prima completa, nel testo autentico, dell'opera capitale di quel nostro impareggiabile viaggiatore e delizioso raccontatore. Poi, padre Oderico da Pordenone, missionario nel Tibet. Poi — cito a memoria, e chiedo venia d'agni eventuale lacuna — padre Ippolito Desideri da Pistoia, che, sul principio del secolo XVIII, venne anche lui missionario nel Tibet, a Lassa; e ci lasciò anche lui una minuta relazione del suo viaggio. E riguardo a questo, pel tratto dall'Italia, a le, capitale del Ladàlc, cioè del con ideilo Secondo Tibet, — e il Ladàk confina, qua, col Baitistàn; e da Carghìl, dove io sono passato, venendo, non si dista da Le più che sei o sette giorni di marcia — riguardo dunque al viaggio dall'Italia a Le, padre Ippolito scriveva, che non è da intraprendersi nèda mercanti, nè da chiunque sia vago solo di visitare paesi curiosi, ma può intraprendersi soltanto da missionari evangelici, pieni d'uno spirito salante de' patimenti e disagi, e Infiammati da zelo per la gloria di Dio e la salute delle anime. Ma in lai caso, volendo andare al Secondo Tibet, si vada a Goa o a Bengala, e da Goa e da Su.rat, optmiire da Bengala, passare a Daily « — intendi Delhi — « capitale del Mogol: di là al Cascimir, al Piccolo Tiibet » — cioè il Baitistàn, — ■ e da questo andare a Lhatà » — Le, appunto, — « capitale del Secondo. Cosi ehi partisse, v. g., da Roma nell'ottobre o novembre del 1(28, non potrà sperare d'arrivare a Lhatà se non nel mese di giugno del 1731... ». Oggi non s'impiegano certo, da Itoma a Le, i due anni c otto mesi che ci mise il buon missionario scllecen lesco; ma se da noma a Bombay e a Ravalpindl si viene in men di venti giorni, ira ferrovia, piroscafo, e poiancora ferrovia; e se da Bavalpindi si sale alle capitale del Cascimir, a Sri nagar, in un sol giorno, coli'automobile! di qua da Srlnagar, per il Cascimir e il Baitistàn, se si volga al Caracorùm da questa banda, come per il Ladàk, se da Carghil si devii verso Le, si viaggia tuttavia con gli stessi mezzi d'allora, atta stessa guisa, quindi con la stessa velocità: che in fatto Ai viabilità, come del resto nel più d'altre cose, il paese, d'allora, non è mutato. E se non intero, bisogna nutrire almeno in buona parte quello spirito che il padre Ippolito raccoman dava, «... spirito amante de' patimenti e disagi... ». Imponente campo d'esplorazione Un altro viaggiatore italiano, cui si deve molto per la conoscenza di questi paesi, è il piemontese Osvaldo Boero dei marchesi di Cortanze; che visse tra Cascimir e regioni limitrofe ben venti-due anni, dal 1853 al "75; e viaggiò il Ladàk e il Baitistàn, e attraversò il Caracorùm, c si spinse addentro nel Turchestàn Cinese. Egli raccolse la storia de' suol viaggi in tre volumi, pubblicati a Torino, nel 1881: Cash"! mir. Piccolo e Medio Tibet e TuTke stan: tre volumi preziosi, che oggi, di sgraziatamente, non è più possibile trovare in commercio; e che a me non è slato dato nemmeno consultare, prima della partenza. Certo, il Boero di Cortanze, per quanto ne so, attraverso soprattutto il De Filippi, va considera io come il primo nostro studioso, nel senso pieno della parola, che abbia sistematicamente trattalo, e con conoscenza adeguata, di vari problemi, particolari e d'insieme, geografici storici, di questi paesi. Ma la prima organizzata spedizione italiana al Caracorùm è quella condotta da Sua Altezza Beale il principe Luigi Amedeo di Savoia, Duca degli Abruzzi, nel 1909; e di cui il dottor Filippo De Filippi, che vi partecipò, scrìsse quella veramente magistrale relazione, che io ho avuto cosi spesso, e avrò molte volte ancora, occasione di citare. Allestita tra il Febbraio e il Marzo, dello stesso '909, la spedizione— di cui tacevano parte, insieme col Principe e col De Filippi, il lenente di vascello marchese Federico Negrolto, Vittorio Sella, le guide alpine Giuseppe e Lorenzo Petigax, Alessio ed En rico Brocherel, ed Erminio Botta, e i portatori Emilio Brocherel, Alberto Savoie ed Ernesto Barcux; ai quali s'ag qiunse poi, da Srinagar, un Inglese, incaricato dell'organizzazione della carovana, A. C. Baines; — la spedizione partiva da Marsiglia il 26 Marzo; ti 9 Aprile sbarcava a Bombay; VII — Domenica di Pasqua — era a Raval viridi; e il 16 — allora la strada non si percorreva ancora in autoveicolo — a Srlnagar. Bipartiva da Srinagar nel pomeriggio del 23, e per via d'acqua raggiungeva Gùnderbal, allo sbocco della valle del Sind; e il giorno seguente si metteva in cammino, per la stessa strada che ha ripercorso la spedizione attuale, la stessa strada che ho ripercorso io; e di cui dirò appresso. Cosi, il 14 di Maggio, con rapida ininterrotta marcia, giungeva qua, ad Ascole, m ... all'ultimo luogo abitato » — annota il De Filippi — * da questa parte del Katrakorum... alto 3052 metri sul mare... la porta della vera alta montagna... ». E, «... poco più oltre cessa ogni traccia di via, e si accede ai gratuli bacini ghiacciati del Karakorum... ». Scopo della spedizione era «... di contribuire a risolvere il problema della maggiore altezza raggiungibile dall'uomo in montagna... ». Perciò era stato scelto il Caracorùm, questa catena di eccelsi monti, lunga più dì settecento chilometri, che si eleva a settentrione dell'Him alai a occidentale, o Himàlaja del Pengiàb, e contiene alcuni fra i più estesi ghiacciai della Terra, e comprende un numero di vette sovrane, quale, in eguale spazio, nessun altro sistema montano, li co¬ lonnello S. G. Burrard infatti, già Direttore dell'Ufficio Trigonometrico dell'India, elencava allora in tutto l'Himàlaia propriamente detto, dal Sicchim al Cascimir, quarantadue vette superiori a scttemilalrecento metri; e ben trentatrè ne elencava nel solo Caracorùm — oppure, se si volessero escludere i picchi più settentrionali, ventinove-, ch'è sempre, in materia, un rispettabile numero. E del Caracorùm, era stata scelta la zona del ghiacciaio Baltoro, in cui, prima di questa spedizione del Duca degli Abruzzi, si conoscevano ben otto vette superiori ai setlemllaseiccntocinquanta metri; e cioè il Bride Peak, di 7654 metri; i due Masherbrum, superiori ai settemilaoltoccnto; \ quattro Gasherbrum, dai 7930 agli 8068; e il sublime K. 2, infine, di 8611 metri; il secondo monte, per altezza, della Terra, dopo l'himalajana cima dell'Everest, che non lo supera che di duecenlocinquantun metri. La marcia di Luigi di Savoia Tale il campo già della spedizione del Duca degli Abruzzi; ed è anche lo stesso di questa nuova spedizione ita liana, condotta dal di lui Augusto — cosi degno — Nipote. Gli ardui cimenti e i travagliati progressi d'allora, del Duca degli Abruzzi, devono essere presenti alta memoria d'ogni Italiano, perchè occorra rielencarli particolareggiatamente. La spedizione, partendo il 16 Maggio da Ascole, quest'oasi fiorente della valle del Brald.oh, — e scrive il De Filippi: « ... Avevamo lasciato indietro a Srlnagar il mondo civile, a Skardu il telegrafo, suo ultimo sottile tentacolo; ad Askoley ci separavamo veramente dal consorzio degli uomini, per addentrarci nei deserti di ghiaccio del Karakoram... »; — la spedizione continuava a risalire la valle del Braldoh, attraversava, lungo la fronte, il ghiacciaio Biafo — e questo gemello fratello, poiché di poco maggiore, del Baltoro, costituirà {orse la mèta di questa mia spedizione; — e per la valle del Biaho, raggiungeva la fronte del ghiacciaio Baltoro, « ... nero mostro » — nero, pei detriti petrosi, che tutto 10 ricoprono, — « a dorso appiattito, accovacciato in fondo alla sua valle... i; e lo scalava, e lo rimontava; e 11 19 metteva il campo nella località che, sulle carte, e nella stessa relazione del De Filippi, è indicata col nome di Bdokass; ma che in realtà si chiama — com'io l'ho udito dagli indigeni, qua, della valle del Braldoh, che sono i più prossimi alla località, e come credo adotterà nuovamente, nella relazione ufficiale, l'attuale nostra spedizione, — si chiama Vrdocas: che, secondo il dottor Gian Giacobbe Guillarmod della spedizione condotta dall'alpinista inglese O. Eckenstein, nel '902, sarebbe all'altitudine di 4238 metri; e secondo i calcoli eseguiti dal professore Domenico Omodei, in base al dati raccolti dalla spedizione del Duca degli Abruzzi, sarebbe invece notevolmente più basso, a 4025 metri; e secondo le misurazioni altimelriche dell'attuale spedizione, la quale similmente ha stabilito a Vrdocas il suo campo di base per le esplorazioni del Baltoro, sarebbe più basso ancora, non- raggiungendo per poche unità la quota di quattromila. Assalto ai colossi Da Vrdocas, marciando il 23 e il 24 Maggio, e proseguendo pel Baltoro, il Duca degli Abruzzi saliva sull't anfiteatro » Concordia, cosi denominalo da sir Martino 11'. Conwag, nella memorabile spedizione del 1892, quando percorse intero, per la prima volta, e rilevò topograficamente, insieme con l'Hispàr e col Biafo, il ghiacciaio Baltoro; e dove anche l'attuale spedizione ha messo campo. E nell'immenso deserto di ghiaccio e nevi, qua appunto, al Concordia, gli esploratori odierni ritrovavano, dopo venl'anni, le tracce del campo del Duca degli Abruzzi: qualche cassetta sfondata, qualche vuotata rugginosa scatola di carne in con serva e di sardine. E tutto ciò, cosi, che v'è di più umile, di più spregialo, di più buttato via, si trasformava In cimelio. Dal Concordia appare, dominante, nella sua imponenza e nella sua terribilità, la piramide sublime del K 2, i... il vero ed indiscusso monarca di tutta la regione, gigante solitario, nascosto alla vista degli uomini da innumerevoli giogaie, gelosamente custodito da una selva di sudditi, protetto dall'invasione umana da chilometri e chilometri, di ghiacciai... Contro di esso, come ben noto, il Duca degli Abruzzi muoveva già all'assalto, per tre successivi tentativi, in uno dei quali riusciva a superare la quota di seimila settecento metri, da tre diversi versanti e creste, per più d'un mese d'asprissima lotta, fino al 28 di Giugno. Il monte rimaneva invitto; ma egli io aveva oramai lutt'iniorno esplorato; e € ...veramente... poteva abbandonare la partita con sicura coscienza, di non aver trascurato nulla di quello che era umanamente fallibile, per assicurarsi della impossibilità dell'impresa che lo aveva tanto allettato... ». il tempo indi seguito, e i risultati stessi delle ricoanizioni e delle osservazioni dell'attuale spedizione, un ventennio dopo, non fanno che dargli ragione. ■Ma poiché era scopo della sua spedi¬ zione, come ricordavo, di contribuire a risolvere il problema della maggiore altezza raggiungibile dall'uomo in montagna; il Duca degli Abruzzi, con quella tenacia inflessibile e irresistibile che lo distingue, si rivolse sùbito contro un altro colosso inaccesso, anzi intentato, sempre nella zona del Baltoro : il Bride Peak, alto, come già dicevo, .7654 metri. E questo assalta dafni Luglio, avendo raggiunto il giorno innanzi la sella Ciogolisa, a 6335 metri, sulla cresta orientale del monte, al 18, giorno del supremo tentativo. Erano con lui, fidi e intrepidi compagni, Giuseppe Petigax, ed Enrico ed Emilio Brocherel. Ma il tempo, orribil mente avverso, come e più dei giorni precedenti, s'accani contro di loro — malvagio destino! — e li respinse ineluttabilmente, quando oramai, saliti a 7498 metri, non distavano che poco più di centocinquanta metri dall'ambita cima. M'avvedo ora d'aver oltrepassato d'assai i limiti normali dell'articolo di giornale. Questi colossi montani che mi circondano, quassù, m'hanno tolto il senso delta media misura. Concludo in poche parole, ver l'indimenticabile spedizione dello Zio, mentre m'accingo a narrare quella del Nipote. Il mattino del 19 luglio, il Duca degli Abruzzi lasciava la sella Ciogolisa; il 20 era nuovamente all'anfiteatro Concordia; il 22 al campo di base di Vrdocas; e il 27 di ritorno qua, ad Ascole. Di qua, invece che la via percorsa venendo, — che io, com'ho detto, mi riservo descrivere in seguito — sceglieva quella che anch'io spero poter compiere al ritorno -. valicava io Scoro-la — la cui altezza non è tuttavia precisata, variando tra i 5400 metri, misurati dal Guillarmod, e i 5095, misurati appunto dal Duca degli Abruzzi; — e scendeva a Scigar, e proseguiva a Scardu, la capitale del Baitistàn; rimontava al Burgi-la — 4830 metri, — attraversava l'altipiano Deosèi — una cinquantina di chilometri alla quota media di 4000 metri, — riusciva ai passo Sarsingàr, — 4280 metri, — attraversava il Ciota Deosèi — o Piccolo Deosèi, — valicava lo Stakpi-la — intorno ai 4100 metri, — scendeva nella valle Burzil, e rag giungeva quella del Chiscen*ganga ; e per una valle tributaria di questa, sulla sinistra, risaliva all'ultimo passo, il Basdiangàn, o Tragbal — 3520 metri ; — e ridiscendeva finalmente nell'altipiano casclmiro, reduce a Srlnagar Vii agosto. I risultati ottenuti Era mancalo a questa spedizione del Duca degli Abruzzi — come lo stortografo ufficiale, il De Filippi, equamente e schiettamente riconosce, scrivendo che su di essi, al ritorno gravava doloroso, pesante il rammarico che fosse sfuggito a Sua Altezza Beale il premio di tanto lavoro e di tanta costanza, quando a forza di ardire e di volontà era quasi riuscito a strapparlo alla montagna, malgrado la sua accanita difesa... »; — era mancato il successo più evidente e clamoroso, il trionfo finale, d'una suprema intatta cima conquistata-. — come, diciamolo sùbito apertamente, tale tipo di successo, più popolare, e forse persino, per certi riguardi, più facile, manca anche alla spedizione attuale, che essa pure non iscrive al suo attivo nessuna nuova strepitosa conquista di più rinomate guglie o cacumi. Ma, a questo proposito, illustrerò nelle mie prossime corrispondenze i reali e importantissimi risultati tuttavia ottenuti, e faticosamente e valorosamente; — mentre del l'altra spedizione italiana, di ventanni fa, restava che il suo Augusto Capo aveva superato di duecentotredici metri la massima altitudine cui l'uomo fosse asceso in montagna: quota non superata di poi che, in questi ultimi anni, da coloro che tentarono la scalata dell'Everest. E oltre alla grandiosa prova alpinistica, restava tutto il lavoro scientifico della spedizione: scoperte e studi geografici, osservazioni meteorologiche, misure altimelriche, rilievi topografici. Notevole il fatto che, mentre nessun monte che superasse gli ottomila metri non era più stato scoperto dopo il 1858, il Duca degli Abruzzi, nel corso della sua spedizione, scopri che, appunto nel bacino glaciale del Baltoro, alle somme vette già misurate, erano da aggiungersi le tre del Broad Peak, cui i precedenti esploratori non avevano posto attenzione; e di cui la maggiore superava appunto gli 8000 metri, culminando precisamente agli 8270; e l'altre vi s'accostavano molto dappresso, l'una con 7982 e l'altra con 7930 metri. Avevo promesso, dapprincipio, di dire oggi dell' itinerario ch'io ho seguito, per raggiungere, quassù ad Ascole, la spedizione, oggi operante, del Duca di Spoleto-, itinerario, avvertivo, che coincide perfettamente con quello della spedizione stessa, nonché con quello già d'altre spedizioni, tra cui appunto quella prima italiana al Caracorùm, del Duca degli Abruzzi. Ma, ■ ... poi che piene son tutte le carte rinvio a domani. MARIO BASSI.