Panorami letterari

Panorami letterariPanorami letterari Non vogliamo tanto gridare, come jfa, magari giustamente, il nostro ottimo amico Umberto Fracchia dalle pagine dell'Italia Letteraria, alla maggiore o alla minore utilità pratica, e sopra tutto alla maggiore o alla minore moralità dei panorami letterari; la cui moda, come tant'al tre di peggior conio, ci è venuta in questi ultimi tempi dalle illuminan ti vetrine di Francia, dopo gli esempi, diciamo classici, citati dal Fiumi, e quelli anche del Lalou, del Mi chaud, del Bertaux, del Pozner, e del Cassou: tutti zelantissimi e in formatissimi panorarnisti o autour dumo n<l e ». Perche soffiare su un fuoco, che, a nostro parere, non abbaglia nessuno? Diciamo piuttosto che, se male compilati e peggio concepiti, cotesti panorami, o zibaldoni critico-storici, lasciano sempre il tempo che trovano, bello o brutto, fecondo o sterile; come già avviene per un'altra malattia contagiosa e attaccaticcia: la febbre spagnola delle varie antologie poetiche. Perchè allora tanto allarmarsi ? E perchè poi prender lo spunto per cotesta filippica da un libro del Pellizzi, che, buono com'è in tanta parte, in cotesto baccanale c'entra poco o punto? Ora creda a noi,'il nostro Fracchia: l'illustre e onorato Trovatello Pennasciutta rimarrà sino alla consumazione dei secoli Trovatello Pennasciutta, cioè chierico del Parnaso, anche se sfilerà con armi fi bagagli — cioè con opere, presenti p future, vita e miracoli — nell'Adunata della poesia di Arnolfo Santelli '(600 pagine form. 8, copertina a colori, 200 fotografie: impresa già in più di cento giornali esaltata) ; e il colendissimo Genialino Facilini non diverrà certamente celebre sol per il fatto che il suo nome è stato pescato a nostra fortuna da Girolamo Sotuttio nella Fionda di Lagosanto, ie citato nella Enciclopedia della proto novecentesca, stampata a spese dell'autore in una tipografia di Scortichino. Perciò, caro Fracchia, lascia piovere; e non metterti di malumore per cotesti esibizionismi delle patrie lettere, tanto anemici quanto anonimi. Tu certo sai, come noi, scegliere il grano dal loglio, il libro buono da quello mediocre, il panorama compilato a scopi reclamistici da quello concepito come serio consunti vo. E il buono che conta ; e l'ottimo che pesa sulla vera realtà delle nostre •lettere. Quando tu concedi un « fon do » dell'Italia e l'avvallo della tua firma ai letteratini in erba, ai dician novenni in fregola, ai pensatori in dande, ai Don Quisote del nuovo magro Parnaso italiano, finisci, credi a noi, per tener loro bordone. Per certi panorami e per certe antologie basta di silenzio. Dobbiamo allora tenere il broncio a due panorami di fresca data: La poesia italiana di questo secolo (1) di Pietro Mignosi, e Le lettere italiane del nostro secolo (2) di Camillo Pellizzi? Niente affatto. Discutibili quanto si voglia, giusti e ingiusti, ricchi di autentiche scoperte come di cantonate, cotesti due panorami sono anzitutto frutto d'ingegno, e di lavoro duro. So Dio vuole, Mignosi non è Pennasciutta, come Pellizzi non è Genialini. L'uno e l'altro, il siciliano e il piemontese, sono scrittori e criItici che ben sanno dove sta di casa l'alta e nobile fatica del pensare; e se al caso sbagliano, sanno anche pagare di persona, non avendo paura di mettere allo sbaraglio, accanto jall'opera critica, l'opera propria creativa (forse da ciò, come vedremo, dal loro gusto di artisti, dalle loro intime predilezioni, nasce quel loro modo un po' risentito e ristretto d'intendere l'arte e gli scrittori lontani dal loro temperamento). Inoltre, poiché dimostrano di possedere idee proprie, e impastano la letteratura contemporanea sotto una luce particolare, traendo sintesi e giudizi che non sannt '" nè d'imparaticcio nè tanto meno di approssimazione, è bene concedere all'opere loro quella importanza, che è giusto e onesto riconoscere come attuale. Di più, nel caso specifico, vano sarebbe discorrere di moda, di gusto corrente, di compilazioni arbitrarie e frettolose, di metodo spaesato, usan do, tanto il Mignosi quanto il Pellizzi, proprio un metodo di critica tutto idealistico e nostrano. Certo, se badiamo al grosso numero dei poeti, di cui parla il Mignosnella Poesia italiana di questo secolonon solo ci spaventiamo, ma ci mettiamo in allarmo. Circa seicentoTroppi! Gli è che il concetto di poesia per il Mignosi. anche se costruito «opra una precisa dialettica, è alquanto lato. Lo strano è che, pur qualificandosi 8nticrociano, in tutti i suoi libri di filosofia, da I limiti della religiosità a L'idealismo, dalla Introduzione alla dialettica sino alla Critica dell'identità e a Conoscenza e trascendenza, egli porta invece aglestremi limiti la negazione crociana dei generi. Tutto è, o può esserepoesia- anche una pagina della Logica di Croce, come vuole Luca Pugnato, in cortese polemica con noiEcco, senza essere dei parrucconinoi a questo punto non sappiamo giungere. Siamo convinti pur noche la poesia non è forma, che In poesia è interna e non esterna, chla musica non è regola fissa di numeri ritmici, che un sonetto pur perfetto prosodicamente può essere prosa, e che un pezzo di prosa può contenere in mi ce della poesia; ma non sappiamo, poveri noi, pur essendd'accordo con il Pignato circa la musica come necessità che fa viva lparola, concepire una poesia senzuna propria forma. La quale cosa èe vale, quella sintesi a priori estetica, ossia unità di sentimento e despressione, di cui parla il Pignatliuirorme del Croce. Ma come il Pignato vuole a tutt i costi liquidare, non la poesia come forma, il che è giusto, bensì la forma della poesia, cioè quel carattere che 10 spirito dà alla materia (parola), e per cui si distingue dalla poesia la prosa; altrettanto in pratica fa il Mignosi, sia nella scelta dei suoi poeti nuovi, sia nei suoi giudizi. Ma che cosa è, ci si chiederà, la Poesia per 11 Mignosi ? Ecco : essa è, o dovrebbe essere, t negazione del melodico e dell'intuitivo»; «conquista di un centro religioso della vita e dell'arte», o della vita che si fa arte, proprio all'opposto del processo rinascimentale-dannunziano dell'arte che si fa vita»; intimità senza incrinature dell'elemento musicale con l'elemento razionale dell'arte (e in questo caso siamo d'accordo); «legame di carità umana e cosmica» (e qui, specialmente per cotesta carità, poco capiamo) ; « la poesia è un trovar poesia » (e qui finiamo, sarà tutta colpa nostra, di capire). Pericoli della troppa intelligenza, e tiri birboni della filosofia! In fondo, e in parole povere, noi crediamo, se bene abbiamo inteso, che il Mignosi ricerchi la poesia proprio come antimelodia e antipoesia: la poesia senza schema, la poesia risolta in se de etica, la poesia come un capire e non come un cantare. Naturalmente, guidato da questi pensieri, finisce per far della poesia una fede Ma caliamo ora dall'ulto sfere della teorica per vedere i singoli giudizi e il metodo con cui il Mignosi ha costruito il suo panorama della poesia italiana di questo secolo. A nostro parevo, del quale, s'intende, riconosciamo la fallibilità, il torto maggiore e più scoperto del Mignosi è quel lo di voler cercare la poesia in ogni parte della nostra produzione lette raria, in tutti gli scrittori di questo ultimo trentennio nel «tentativo di vedere storicamente il sorgere, l'asse' starsi ed il programma di una poesia italiana». Perciò accanto ai poeti, troviamo filosofi come Tissi, critici come Serra e come Cajumi, prosatori come Brocchi o come Tecchi, e per sino oratori come Giovanni Semeria. Oppure nomi (Cecilia Deni, Calan drino, Marin, Rino, Leto, Revelli, e chi ne ha più ne metta) che in una storia della poesia proprio non contano. Secondo noi, una vera storia si fa per esclusioni e non per satu razione, deve valere in profondità e non in estensione, deve servirsi più di sintesi che di analisi. Se si corre dietro a tutti gli epigoni, a tutti i satelliti, a tutti i versificatori fioriti tulle coste del Parnaso, si finisce per fare, come ha fatto il Mignosi, un dizionario poetico, magari piacevole ma spesso inutile. Siamo severi? Certo. Ma faremmo torto al Mignosi, ch'è uomo d'inge gno e di studio, se nascondessimo ciòa e e i e a i , . o r i a a i a , . , o i n e n o a a è, di o ti che noi stimiamo verità. Ora, guar dando, dopo la teoria, ai giudizi, caccorgiamo che il Mignosi parte sem pre da idee generali giuste per arrivare a conclusioni, sia negazioni sia valorizzazioni, per noi errate, suo parere, dopo Carducci la poesia fu reazione romantica, ed ebbe valore non per quello che disse ma per come lo disse; «il Pascoli fu un romantico carducciano irrigidito in un astratto schema classicistico, il D'Annunzio fu un carducciano classicista esasperatosi in una" febbre romantica»; poi «ucciso il poeta-profeta, resa vana nella poesia la pratica dun'austerità formale, di un decoro, di un'altezza, di una convenienza, distrutti per opera del Croce i vincolgiurisdizionali della poesia (oh odiata retorica!) il poeta ritornato fanciullo si credette in diritto di fare a suo estro e capriccio. Avanguardismopoesia del caos (Govoni), futurismo (Marinetti), neo classicismo, frammentismo... Ciascun poeta si fa ab ovo la storiai. Giusto, com'è giusto considerare la maggior parte dell'ultima poesia come una dissoluzionromantica delle forme pascolianeMa, in pratica, cotesto categorie sono pericolose. Per il Mignosi, è un post-pascoliano Montale, come è un pascoliano Angioletti. A parte il modo brusco e maligno e spicciativocon cui il Mignosi liquida questi come altri giovani scrittori: ComissoRaimondi, Titta Rosa, Gromo, Onofri, Franchi, ecc., qui non c'intendiamo più. Non è affatto vero chl'Angioletti porti la prosa a generd'arte pura, a un tipo di prosa-poe sia — ciò che fanno invece molti depoeti nuovi del Mignosi ! — ma sem plicemente mette in pratica una prò sa rigorosa di stile e, come bene hscritto De Robertis, «una capacitdi dedurre dalle sensazioni motivi riflessioni e a malinconie» A questo punto, ci accorgiamo chMignosi bada ad applicare dei con cetti generali, arrivando spesso a uncritica pregiudiziale. In teoria ai ferma di superare la forma, ma ipratica, usando sintesi e analisi assieme, dà assai più importanza allforma che allo spirito dei singoli poeti. Se così non fosse, l'umanità e lpoesia autentica di Montale non gsarebbero sfuggite. Di più, c'è poeta in proprio che nel giudizio sopravanza il critico, onde quel sensdi critica autobiografica, che si vuolprerogativa dei serriani, e nostra, che, guarda un po', noi riscontriaminvece negii scrittori della Tradizione. Solo così riconosciamo giusto chil Mignosi, teoreta e poeta, facciconsistere la nuova poesia in quegottimi suoi amici, vicini a lui di cuore e di spirito. Dobbiamo concludere? La conclusione ci sembra facile, quando si rconosca che questo libro è pieno zeppo d'ingegno come d'egocentrismoSoltanto la strada che batte il Mgnosi è diversa, troppo diversa, dallnostra. Nè crediamo sia vero che tute le strade conducano a Roma. Altro tipo, altro temperamento Pellizzi. Filosoficamente, forse menpreparato del Mignosi, ma alla resdei conti più efficace, più chiaro, pivicino alla obbiettività serena e d1 sinteressata. Le sue Lettere italiane del nostro secolo (un tomo di 400 pagine fitte fitte, più 100 di bibliografia) vogliono giustificare tutta la nostra letteratura — poesia, prosa, filosofia, teatro, critica, storia e politica — dalla fine dell'ottocento a oggi. Grave assunto, che ha trascinato il Pellizzi a far sperpero di nomi e di aggettivi. Possiamo ripetere per lui quanto dicemmo per il Mignosi : troppi nomi, troppa gente che non ha contato e non conta, troppi illustri a scartamento ridotto. Ma la colpa, più che del Pellizzi, è del genere. Benedetti panorami ! E' necessario che siano al corrente, gonfi e tronfi come dei salcicciotti. Fortuna, e bella fortuna, che il Pellizzi aggiunge al genere molto di proprio: una soda e viva natura di scrittore, un gusto pronto e avvertito, una informazione, esatta e controllata, un modo franco e illuminato di sentire la moralità degli scrittori, e specialmente una sapienza del dir molto in poco. Ci son battute nel suo libro che danno o un poeta o un prosatore o un commediografo in due o tre righe. Una felicità, un po' idealistica ma piacevole, nel dipingere un periodo letterario, gli umori di una rivista e di un cenacolo, i contatti tra politica e arte, tra filosofìa e religione. Sentite che, pur se uomo di parte, ha bazzicato ugualmente con piacere in ogni cantone letterario, tra idee diverse, ch'egli porta in giro con un sorrisettò certe volte scanzonato, che piace. C'è in lui l'uomo sano, il lettore sano, che possiede quel tanto di malizia che serve per non dar corpo alle ombre, e quel molto di buonsenso nostrano, proprio piemontese, ch'è necessario per non farsi prendere in trappola dalle novità. Ora, se badiamo al succo del libro, vediamo che il critico non contraddice l'uomo. Alla superficie, Pellizzi sembra di manica larga, di cuor tenero — vivo, e lascio vivere! — che le parole e gli aggettivi buoni gli fioriscono sotto le dita, come i gigli sotto i piedi di S. Antonio. PrezentiliMattoli «inventore e narratore molto succoso e accurato n; De Stefani «scrittore che ha doti belle e varie»; Arnaldi «si rivela dotato di possibilità»; Flavia Steno «efficace o talora potente»; Ravasio «è talvolta un lirico descrittivo efficacissimo, ed altre un fortunato lirico sentimentale»; e via di galoppo sul trampolo del doppio aggettivo. Ma poi, se davvero diamo fondo a cotesti giudizi approssimativi, sentiamo che sotto la cordialità, ben diversa da quella con cui il Pellizzi studia e anima l'arte degli scrittori che più gli stanno a cuore: Tozzi e Slataper, Cecchi e Baldini, Boine e Ceccardo Roccatagliata, Soffici e Palazzeschi, è nascosta una frettolosità alquanto dura e spicciativa. L'urbanità del critico vuol significare, così secca e strapazzona, che anche la lode uccide. Difetti, contraddizioni, giudizi un po' avventati non mancano da cote sta storia, un po' cronistica e un po' trattata a linee sinuose, con un metodo di trattazione alquanto empirico. Ma il compito del Pellizzi era tutt'altro che facile; nè si può dire che gli sia mancato il respiro lungo il cammino, attraverso i viottoli e le vie maestre delle lettere nostre. Potremmo diro che l'idealismo estetico del Pellizzi, così frantumato, finisce per non avere spina dorsale; che il peso delle analisi risulta assai maggiore che quello delle sintesi; che talvolta il senso di certe parole è fuorviato, adoperate a più usi. Ma l'insistere sopra pècche non fondamentali sarebbe per lo meno di cattivo gusto. Quel che importa, è che il quadro delle nostre lettere sia uscito dalle mani del Pellizzi a fuoco, con un fondo di verità, con una prospettiva sicura: qualità che non possiamo mettere in dubbio, e che certe pennellate fuor di posto non velano.Ecco un critico, caro Pignato, di quassù, che si dice serriano, ma che non si dimentica che «la critica è un giudizio possibile soltanto in senso storico», cogliendo lo spirito d'uno scrittore, e risolvendolo in un ordine di pensiero. Giuseppe Ravegnani. (1) Prano Mignosi: la poesia Uali.nnn Al questo secolo - Edizioni del Ciclope, Palermo, 192!) - L. 24. (2) Camillo Pellizzi: te lettere italiane del nostro secolo. — Libreria d'Italia, Milano, 1929 - L. 30.

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