Accuse, ritrattazioni e difese

Accuse, ritrattazioni e difese I DELITTI DELLA BANDA POLLASTRO Accuse, ritrattazioni e difese Milano, 5 notte. La macchinosa vicenda giudiziaria intorno alla quale sta per aprirsi il dibattito in questa Corte d'Assise, presenta, come il lettore avrà intuito attraverso l'esposizione che siamo venuti facendo in proposito, una situazione processuale delle più singolari ed eccezionali. A parte il terribile, drammatico enigma che incombe su essa — l'eccidio di Mede è dovuto effettivamente agli associati alla banda Poliast.ro o i colpevoli per questo misfatto vanno ricercati nell'altro gruppo di imputali, quello cui appartiene un giovane di tutt'altra condizione dei suoi coaccusati, il rag. Domenico Annaratone, giovane incensurato, niente affatto povero ed in una situazione personale di prim'ordine? — il processo è caratterizzato e dominalo da un fenomeno che non ò per altro infrequente in questi processi di fosca criminalità: il palleggiamento delle responsabilità fra gli imputati e il groviglio delle accuse reciprocamente fatte c poi ritrattale, nonché delle autoaccuse deliberatamente fatte ed insistentemente mantenute. Il memoriale di Vitali lino del lati più interessami del processo, è offerto da questo fenomeno. E la verità intorno a tanti impressionanti episodi di delinquenza e di ferocia dovrà essere stabilita attraverso il vaglio di queste accuse, comtroaccuse e ritrattazioni. 11 fenomeno si manifestò e si andò sviluppando, pigliando forme ed aspetti eccezionali, subito all'inizio dell'indagine. La prima istruttoria per il delitto di Mede — quella che ebbe per epilogo il rinvio a giudizio di Vitali, Marini, Cesini. Ferrari e Annaratone — presenta il suo groviglio di accuse e ritrattazioni, come lo presenteranno più tardi la nuova Istruttoria determinata per l'eccidio di Mede dalle autoaccuse di Pollastro e la indagine, più vasta ancora e complessa, espletata dall'autorità intorno alle gesta della banda criminosa. Abbiamo visto come si sia andata impostando l'istruttoria nei confronti dei cinque imputati: in camera di sicurezza, Vitali si lasciò andare a qualche espressione che parve rivelatrice. Interrogato, egli fini per fare una completa confessione, indicando 1 correi e segnatamente come compartecipe all'Impresa il « cassiere della banca di Mede », quegli che avrebbe dato tutte le istruzioni necessarie per la consumazione del colpo ladresco in danno della banca, e perfino le chiavi per entrare nella sede dell'istituto. Le dichiarazioni del Vitali valsero l'arresto del rag. Domenico Annarato ne, cassiere presso la sede di Mede della Basca Cooperativa di Novara, giovane al quale non si potevano scusare alcuna leggerezza, consistenti in lievi ammanchi di casso, ed un modo di vita, speeo, specie a Milano, in forma galante e spendereccia, ìnccv patibile, forse, colle sue personali con dizioni economiche. Ma gli imputati, tratti in arresto in base alle indicazioni ed alla confessione del Vitali, protestarono la loro innocenza: segnatamente l'Annaratone che prospettò pure, a propria difesa, degli alibi. Ala alle accuse dovevano seguire ben presto le ritrattazioni. Trasferito dalle carceri di Milano a quelle di Casale, Vitali ritrattò ogni sua dichiarazione, contestando di avere cornuti que partecipato all'eccidio. Ed il Vitali indicò le ragioni per cui si era indotto a fare le dichiarazioni accusatorie per sè e per gli altri. Tali ragioni egli ribadisce ed espone diffusamente — ora, alla vigilia del processo — in un memoriale che i suol Rntronl, aw. Barosio di Torino rusasca di Casale, non lasceranno senza eco al dibattimento. Affatto nuovo, vecchissimo anzi od abusato tra i delinquenti, e 11 motivo che Vitali ricalca nello spiegare 11 procedimento attraverso cu! pervenne alle note dichiarazioni. Egli tenta di far credere che il racconto gli fu suggerito punto per punto, frase per frase, dai funzionari della questura. Per indurlo a tanto, i funzionari non lo atterrirono con minacele. Anzi! Egli redette, unicamente nella speranza di ottenere un vitto migliore e dietro la promessa di essere trasferito dalla Questura alle carceri in automobile 1 Le larvate ammissioni di Peotta L'inattendibilità di questa tesi e la puerilità del motivo, costituiscono anche ogfii, alla vigilia del processo e nddPcpMMccs•dmoctMftntnccnavbisqMgsa i » a o n i e i i ae i e e oe dopo gli avvenimenti che si ebbero po t-riormente alla chiusura dell'istruttoria (rivelazioni e confessione da parte di Sante Pollastro) le ragioni per le quali la Sezione di accusa, raccogliendo e coordinando le risultanze della laboriosa istruttoria, rinviò i cinque imputati a giudizio. Ma densa di complicate situazioni è anche la posizione processuale scaturita, per quanto riflette II delitto di Mede, dalle autoaccuse di Pollastro. SI è già detto come l'accusa da lui lanciata all'anarchico Michele De Rosa fosse fantasiosa e dettata dal proposito di vendicarsi del « delatore ». La accusa di partecipazione al delitto si rivolse invece, durante la nuova Indagine, contro il luogotenente del Pollastro, Enrico Luigi Peotta. Costui negò di avere partecipato al delitto. Se nonché, con un legale che verrà Inteso al processo come teste, egli tenne un atteggiamento tale da ritenere che egli non volesse smenilre la sua complicità nell'eccidio. Nel colloquio avuto col legale, il Peotta prese a bollare di spia 11 De Rosa per le note confidenze da lui fatte alla P. S. Il legale tentò di giustificare l'operato del" De Rosa in quanto, essendo il cassiere Annaratone ed altri In istato di arresto, era un dovere di chicchessia cercare di salvarli se erano innocenti. Al che 11 Peotta avrebbe osservato che veramente la P. S. aveva arrestato delle persone che non avevano alcuna colpa, ma giustificò l'operato suo perchè, avendo riportato gravissime condanne, non scontate, non poteva presentarsi all'autorità senza essere arrestato. Il legale insistette per essere autorizzato dal Peotta a dichiarare quanto era a sua conoscenza all'autorità ed l! bandito rispose che tale autorizzazione avrebbe concesso quando avesse, con I suol amici, passato il confine. Un imputato ohe si pento... Passando ad un'altra criminosa gesta della banda, tipico è il giuoco daccuse e di ritrattazioni che ha per protagonista Cesare Novali, il giovane di 24 anni, dalla gamba di legno, arrestato due giorni dopo l'uccisione dell'orefice Zcnetti a Milano. In un primo tempo il Novatl aveva fatto vaghe dichiarazioni, dicendo di nulla sapere del delitto di via Manzoni. Ma in un successivo interrogatorio fece una completa confessione e narrò: « La seTa del 25 ottobre 11 Cortmi avverti che avrebbe avuto bisogno di me, e successivamente, il giorno otto novembre, mi dette appuntamento per la sera del mercoledì successivo in piazza Castello. Quella sera infatti trovai il Corti e con lui un tale detto il "biondino, (il Massari), un certo Garibaldi (Peotta) e un certo Mario (cosi si faceva chiamarea seconda dei casi, il Pollastro) da me conosciuto di vista soltanto. Essi mdissero di trovarmi alle ore due della notte dal 13 al 14 novembre all'angolo di via Spiga con via Manzoni. Al luogo e all'ora indicati trovaMario che mi informò essere 1 compagni Corti, «biondino» e Garibaldi già nell'interno dello etabile segnato a numero 44 di via Manzoni, aggiungendo di non muovermi dall'angolo e di dure un fischio in caso di "pericolo. Poi anche lui entrò nell'interno della casa. Dopo qualche ora vidi aprire il portone e 'Uscirne di corsa il Corti e Mario, che si allontanarono per viaManzoni. Avendo compreso "che i'icolpo non era riuscito, mi recai acasa e mi misi a letto. Non era trascorri mezz'ora quando vennero al • biondino » e I! Garibaldi, i quali mi dissero che l'impresa era andata a male ■c Garibaldi mostrò la sua preoccupazione per aver perduto nella corsa la giacca col portafogli contenene documenti intestati al mio Dome. Mi raccomandarono di non parlare del fatto, e se ne uscirono. Credo che parissero da Milano, perchè il « biondino » portava una grossa valigia ». Senonchc il Novali si rimangiava più ardi queste circostanziali dichiarazioni riferite al giudice istruttore. Egli cominciò ■col negare ogni sua partecipazione al delitto; poi dichiarò che nessuna accusa a carico di chicchessia aveva fatta ai funzionari che lo avevano interrogato. Gli era stato letto bensì il verbale, ma non aveva capito l tenore del contenuto. Artificio difensivo anche questo, di uso assai frequente nel mondo della delinquenza. Ma i misteri creati da questi grovigli d'accuse, controaccuse e ritrattazioni, contro cui stanno le difese ed in taluni casi — quello del cassiere Annaratone soprattutto — le difese disperate degli imputati, troveranno al dibattimento la loro luce giusta e definitiva.