E' morto Stresemann di Giuseppe Piazza

E' morto Stresemann E' morto Stresemann Il dramma politico della Germania = La crisi interna e le ripercussioni internazionali L'uomo di Stato Berlino, 3, notte. Se è vero, come la fantasia popolare favoleggia e come narravano gli antichi poeti, che le anime dei trapassati non si raccapezzano nel primo istante dopo il salto fatale e continuano inavvertitamente nell'ai di là le occupazioni nelle quali ultimamente la morte li ha colti, Io spirito di Gustavo Stresemann, traghettato appena stamane sull'altra riva, continua a provvedere alle sorti della sua Germania. Pochi uomini hanno, come lui, realmente impiegato tutta la loro vita, fino all'ultimo istante e all'estremo riposo, al bene del proprio Paese; e di pochi si può ripetere, con maggior verità, la frase che sono morti sulla breccia. Di più : di lui 6i può dire che egli mori di questo, mori di lavoro, che il suo cuore scoppiò dalla piena delle occupazioni e delle preoccupazioni che gli avvenimenti imponevano senza tregua e senza respiro alla sua fibra, da un anno almeno così gravemente scossa. Il fatto è che della Indisposizione che l'anno scorso portò il Ministro degli Esteri fino quasi all'orlo della tomba egli non si era mal realmente guarito; veri e propri riposi il movimentato periodo di storia, del quale il suo (Testino 'lo aveva fatto attore principale, non gli aveva mai veramente concesso. Se si pensa alla somma di lavoro veramente straordinario cui Stresemann ha dovuto sobbarcarsi da un anno almeno a questa parte, se si pensa alle lotte che ha sostenuto, alla lunga pazienza che ha durato, alle amarezze che la politica di fazioni gli' ha Inflitto in tante pene e in tante fatiche — la morte lo coglie nel momento in cui un partito avverso pretende di bolJare di alto tradimento 11 suo patriottismo —; se si pensa che sempre negli ultimi tempi non soltanto la politica estera gravava sulle sue spalle, ma non minore fatica — come quella dell'ultima sua sera — gli imponeva la politica interna, poiché a un certo punto, come è naturale in un periodo storico In cui tutta la politica della Germania si attua in funzione della politica estera, tutte le forze interne puntavano e si rivolgevano sul Ministro degli Esteri; se si riflette che tanta vitalità, tanta attività, tanto fervore di pensiero, di previdenza, di accorgimenti, di resistenza, di opere e di parole, su cui tutta l'intera nazione si riposava, erano poi affidati al debole e sottile filo vitale di un solo rene, e per giunta ammalato, si deve concludere che veramente esiste, al di sopra della frale materia, uno spirito il quale può continuare, in tutta la sua indipendenza e sanità, a funzionare fino a che almeno un sottilissimo filo lo tenga attaccato alla creta e che soltanto quando questo filo finalmente si spezza, si diparte per la sua trafila celeste. Ma se la morte lo ha colto quando indubbiamente ancora infiniti e preziosi servizi egli poteva rendere al suo paese che ne ha tanto bisogno, è anche vero, per altro, che la sua opera s' interrompe quando essa poteva in qualche modo dirsi o parergli, se non compiuta, per lo meno già arrivata a uno svolto e a una visibile constatabile fase di compimento; quando, cioè, in forza dei risultati della Conferenza dell'Aja, egli aveva già potuto annunciare al suo paese raggiunto il risultato di liberazione del territorio patrio e di virtuale e quasi intera restituzione della sovranità nazionale; che erano gli scopi primi e immediati di questa fase della sua politica estera detta di « intesa », con cui egli 6i era negli ultimi anni ider.tifiealo. Egli stesso, prima di morire, ebbe e potè esprimere questa soddisfazione: e, infatti, è appena di pochi giorni f:i unii sua intervista a un giornale olandese, sul.ito dopo la Conferenza dell'Aja, nella quale egli constatava, con un senso di orgoglio e a ino' di solida replica ai suoi avversari, questa fuse completa dslln sua politica; e parlava con parole clip soltanto pochi giorni dopo dovevano avere sapore di presentimento : ■< Mi ritiro ». O fu soltanto una illusione di compimento che il destino pietosamente ha voluto dargli, risparmiando al maggior lottatore e al più valido difensore il dolore di assistere a disillusioni e a crisi spirituali maggiori pel suo paese ? L'avvenire risponderà a questa domanda. Certo è che ohi ha assistito, negli ultimi anni, agli •.vventìitent-i tedeschi e ha potuto misurare la parte che quasi quotidianamente con tanta efficacia il ministro Stresemann vi rappresentava, non può a meno di guardare con animo vivamente sospeso alla sua scomparsa; e non riesce a separare da un certo senso di tragedia e di predestinazione la sua scomparsa, proprio in un momento in cui la lotta più si stringe sul terreno da lui dominato e in cui in Germania i conflitti delle parti sembrano scatenarsi, nel progrediente infiacchirsi degli organi centrali dello Stato, con una furia che in certi momenti confina con la follia. E ci si rende conto del senso immenso di lutto nazionale che questa morte desta in tutta la Germania, senso che è così vasto e così profondo che soltanto poche ore dopo la sua morto slarga già i confini della sua figura in una atmosfera di grandezza che i suoi contemporanei di poche ore prima non supponevano in lui. Amici non soltanto, ma anche avversari sentono la gravità della scomparsa della sua saggezza nel difficile momento della patria. Siamo convinti che il mancamento improvviso di questa saggezza non è soltanto di portata tedesca, ma sarà anche di portata europea, e non potrà a meno di risentirsi nei consessi internazionali. Lo diciamo, lo vogliamo dire senza difficoltà ma anche senza avarizia davanti alla sua tomba, noi italiani nuovi che egli non amò, che egli non capi: non che gli mancassero, nella sua cultura politica e spirituale, le premesse necessarie per capire la nuova Italia, che anzi due ne ebbe di favorevolissime, una nella concezione bismarkiana dello Stato e l'altra nel non meno blsmarkiano realismo della sua politica Ma gli furono di impedimento e gli annebbiarono gli organi dell'intendimento — o non gliene diedero il tempo — in primo luogo la sua mentalità liberale ed evangelico-riformata, e in secondo luogo la troppo profonda immersione delle sue radici politiche e culturali nel fondo dell' èra parlamentare. Malgrado questa immersione fino alla gola nell'era parlamentare, si deve mantenere l'asserto che la sua fondamentale concezione politica, quale essa si rifletteva unitariamente sia nella sua politica estera che nella sua politica interna, derivava direttamente dal ceppo bismarkiano colla acquisizione, ben si capisce, dei « tempi novi » ; per cui, se si volesse in una sola formula sintetizzare tutta la sua opera di uomo di Stato, si potrebbe, in certo modo dire che essa consiste tutta nello sforzo di innestare e di cont.emperare la concezione di Stato bismarkiana con lo sviluppo fino alla ennesima potenza del parlamentarismo. Impresa, come si vede, di per se stessa estremamente diffìcile, è quasi disperata poi in un paese come questo, in cui per sue speciali peculiarità storiche il parlamentarismo è diventato un regime vero e proprio, uscente fuori di tutela in piena libertà, proprio quan do era già decrepito e gravato di tutti i vizi della senilità non meno di altri Parlamenti del mondo che lo precedettero di molto nella liberazione da ogni tutela. In questa fatica assurda a cui egli si dedicò con assoluta convinzione, egli ha impiegato tutta la sua atti vita di uomo di Stato in politica in terna, attività che non fu minore nè ebbe minore influenza sul Paese che la sua stessa politica estera; e nell'ultimo atto di questa fatica lo ha colpito appunto la morte: poche ore prima di morire, infatti, egli aveva riunito intorno alla svia moribonda persona la frazione parlamentare del suo partito e aveva pronunciato in sua presenza l'ultimo suo discorso politico nell'intendimento di conciliare il punto di vista del suo partito con quello della socia'.democra zia nella questione della riforma del le assicurazioni, di conciliare cioè niente altro che la concezione statale, rigorosamente bismarckiana, de suo partito con il massimo della negazione statale, col vero e proprio vuoto della coscienza statale, quale è rappresentato dalla degenerazione dell'istituto assicurativo operata dal la socialdemocrazia sulla primitiva concezione assicurativa di Bismark. Lo assistette tino alla fine la convinzione di uno Stato che ha fede nella coscienza dei cittadini e che vi scende e ne sorge a un tempo. Concepì sempre la politica interna conio un fascio di partiti per lo Stato. Ma questa concezione lo deluse sempre, e lo rese estraneo e inviso alle fazioni e ai loro conflitti. Una simile concezione di fascio di partiti medi e di destra, Stresemann potò derivare direttamente dalla sua preparazione culturale e dalla sua prima esperienza politica che il destino gli fece fare nel campo puramente economico. Questo Ministro degli Esteri, questo politico puro, questo culturale letterato, che sapeva a memoria Goethe e Racine e fra i latini Sallustio, che aveva tradotto in gioventù Moore, Longfollow, Tennyson, aveva fatto una tesi di laurea, che rimase celebre, sulla fabbricazione della birra. Era all'università di Berlino, allievo in materie economiche di Buecher, M quale educava i suoi allievi a temi specifici. Stresemann, educato alla espressione tragica del pensiero e nemico delle astrazioni, scelse: «Lo sviluppo dell'industria berlinese della birra». ,,fema modesto in apparenza, che il giovane Stresemann svalse con uno sguardo superiore di osservatore dei fatti sociali, che rivelava fin da allora il pensatore, il manipolatore di elementi umani. Il suo lavoro po¬ teva assai meglio intitolarsi : « La decadenza dei ceti medi tedeschi ». Dalla osservazione delia graduale sparizione della piccola industria personale della birra, sostituita a poco a poco dalie grandi imprese dei « palazzi di Mirra », egli risaliva alia scomparsa graduale della piccola industria e dei ceti medi da essa rappresentati verso le grandi formazioni delil'industria moderna; e non risparmiava alla borghesia il rimprovero di non avere capito i tempi e di non essersi in tempo salvaguardata dalla rovina, rinnovellandosi gradualmente e consociandosi, solo modo per togliersi dalla protezione dello Stato. In politica estera, non meno che in quella interna, Stresemann partiva da una concezione di unione di fascio che gli era non meno necessaria ai suol fini di liberazione e di ricostituzione del territorio e della sovranità della Patria; di qui la sua continua lotta polemica contro i tedesco-nazionali, i quali, con il loro anteporre la politica interna di restaurazione a quella estera, gli infrangevano nelle mani lo strumento di unità interna di oui egli aveva bisogno per vincere all'estero. Di qui — e non già da parentele spirituali politiche qualsisiano — il suo recente avvicinamento politico verso la sinistra e verso la social-democra¬ zia. La politica estera per Stresemann aveva, insomma, sempre il sopravvento; o meglio la politica interna, in questa prima fase storica della Germania del dopo-guerra, non aveva senso se non in funzione di quella estera. Può dare la misura del suo valore e del suo polso di uomo di Stato la sola elencazione, ria quel momento in poi, delle tappe della politica estera tedesca: Locamo, ingresso della Germania nella Società delle Nazioni, abolizione della Commissione di controllo, ingresso della Germania nella Commissione dei mandati coloniali, libertà aviatoria, ripresa del prestigio nel concerto delle Potenze, Piano Young e infine sgombro assicurato. I tedesco-nazionali hanno dimenticato che a Weimar, mentre essi erano assenti, colui che resistette a pie fermo fino alla fine e votò contro la firma del Trattato di Versailles, fu proprio Stresemann col suo piccolo nucleo di populisti — allora da lui fondato sui rottami del suo sogno di fascio dei partiti medi — fu proprio, cioè, colui che più tardi, in pochi anni di « politica di adempimento », doveva portare al Trattato stesso la sua più formidabile ferita. Giuseppe Piazza.

Persone citate: Bismark, Goethe, Gustavo Stresemann, Moore, Racine