Il mandato sull'Iraq

Il mandato sull'Iraq Il mandato sull'Iraq 11 15 febbraio 1916, fu stipulato un accordo con cui la Francia, l'Inghilterra e la Russia si ripartivano gran parte del territorio asiatico della Turchia. Sopravvenne lo sfacelo russo e l'accordo rimase privo di efficacia; ma — giova ricordarlo — esso era stato concluso all'insaputa dell'Italia, che, pure, •era entrata già in guerra da parecchi mesi. Poco dopo, in quello slesso anno, l'Inghilterra e la Francia conclusero da sole nn nuovo accordo, che fu detto Sykes-Picot dal nome dei suo! ■negoziatori. Con esso i, due potenti alleati si divisero la Siria e la Mesopotamia, riservando ad una amministrazione internazionale la cosi detta « zona bruna », che comprendeva i Luoghi Santi, ossia la Palestina. Più tardi si credette opportuno di accontentare l'Italia con l'accordo di San Giovanni di Moriana, di cui è inutile ricordare le vicende. Intanto era in corso la campagna (inglese contro i turchi: Allenby, nel dicembre del '17, entrava in Gerusalemme e nel settembre 1018 infliggeva agli ottomani una sconfitta decisiva presso Naplusa e li costringeva ad accettare l'armistizio di Mudros. Subito sorsero gravi difficoltà fra ■la Francia e l'Inghilterra per la •zona di Mossul, che, secondo gli accordi, rientrava nella zona di influenza francese, ma che gli inglesi si erano affrettati ad occupare. Si addivenne ad un nuovo accordo e, online, la Conferènza di S. Remo del 25 aprile 1920 attribuiva alla Francia il mandalo sulla Siria, e all'Inghilterra quelli sulla Mesopotamia è sulla Palestina; con successivi accordi furono regolati i confini. I mandali, com'è noto, traevano origine dal Trattato di Versailles e da quello di Sèvres e riguardavano De ex-colonie tedesche o le regioni di popolazione araba dell'impero ottomano che dovevano essere amministrate « nell'interesse desìi abitanti ». Furono distinti in tre categorie A, B e C. : la prima doveva comprendere i mandati su regioni che m avessero raggiunto un grado di sviluppo tale che la loro esistenza (come nazioni indipendenti potesse provvisoriamente essere riconosciu.ta a condizione che i consigli e J'aiuto di un mandatario guidassero la loro amministrazione fino al momento in cui. fossero capaci di condursi da sè ». I mandati di tipo A furono appunto quelli sulla Palestina, sulla Siria e sulla Mesopotamia. , Cosi le speranze che gli arabi avevano concepito, durante la guerra, le rivendicazioni per le quali erano insorti, le loro aspirazioni, i loro sogni nazionali finivano nella grigia realtà di una mal dissimulata dipendenza da uno straniero abile e potente. L'Impero britannico, su quel vasto mondo in fermento che era ed è tuttora l'Oriente, stendeva la sua ampia ala rapace e imponeva la sua legge. Ahi! Non per questo il colonnello Lawrence aveva, appena qualche anno innanzi, levato al vento lo stendardo della indipendenza araba, non per questo dal Mar Rosso all'Eufrate e al Tigri aveva fiammeggiato «la rivolta nel deserto»! Nè soltanto al vecchio Re Husein e ai suoi guerrieri higiazeni erano state fatte ambigue promesse di dominio e di impero, ma proprio alla popolazione iraqena era stata più volte assicurata libertà e indipendenza. Nel marzo 1917, dopo la presa di Baghdad, il generale Maude aveva dichiarato in un proclama che l'Inghilterra era venuta come liberatrice « per attuare le aspirazioni dei grandi uomini dell'Iraq e per far rifiorire il paese sotto istituzioni conformi alle sue sacre leggi e agli ideali della razza ». Queste assicurazioni erano state ripetute con maggiori particolari nel proclama del generale Marshall agli abitanti dell'Iraq (2 novembre 1918) e nella dichiarazione anglo-franceee deU'8 novembre 1918 che prometteva « Governi e amministrazioni nazionali fondate sull'iniziativa e sulla libera scelta degli indigeni... in Siria e in Mesopotamia ». Ma come il mirabile programma di un impero arabo era svanito, simile a labile miraggio, cosi, ora, anche la promessa, ben più modesta, della indipendenza della Siria e della Mesopotamia si commutava in una larvata servitù. Senonchè la popolazione dell'Iraq non aveva dimenticato le promesse; e cominciò a protestare contro il mandato fin dal primo giorno in cu; l'Inghilterra prese a esercitarlo. Rappresentanti di Mossul e di Baghdad dichiararono a più ripre se che l'idea del mandato era contraria alle rivendicazioni della nazione iraqena, e Faisal, sebbene fos se una creatura dell'Inghilterra, protestò presso la Lega delle Nazioni, ricordando che agli arabi, durante ta guerra, era stata promessa l'indipendenza e che mai si era loro parlato di mandati: perchè — si noti bene — proprio la parola '« mandato » e l'idea di tutela che In essa era implicita riusciva par 'ticolarmente insopportabile al geloso spirito di indipendenza della nazione. Invano l'Alto Commissario inglese, Sir Percy Cox, cercò, nel '22, di eludere le opposizioni, cercando di indurre Faisal a concludere un trattato in cui non si faceva alcuna allusione al mandato. Sembra che fin da allora Faisal richiedesse che al trattato da stipulare fosse premesso un preambolo in cui fosse esplicitamente dichiarata la abrogazione del mandato. Finalmente un trattato, dopo molti stenti, fu firmato; esso fu giudicato con severità da gran parte della stampa inglese, perchè poneva a carico della Gran Bretagna obblighi assai gravosi verso l'Iraq senza o quasi senza alcun corrispettivo e perchè legava l'Impero alle sorti dell'Iraq per ben venti anni; ma fu accolto con grande freddezza anche dalla popolazione dell'Iraq, o per lo meno dalla classe dirigente. Il trattato fu più volte modificato, finché, nel 1927, si addivenne a una nuova contrattazione; ma il nuovo accordo, benché fosse, come diceva il preambolo, concluso in termini di eguaglianza (on terms of equality) e benché contenesse l'esplicito riconoscimento dell'Iraq come Stato sovrano indipendente, soddisfece anche meno del precedente l'opinione pubblica iraqena. Il Ministero che lo aveva concluso cadde e non si addivenne mai più alla ratifica. Ormai le formule ingegnose e sottili della diplomazia nonché soddisfare la sete di libertà di quel popolo, non potevano neppure quetarne i sospetti. E poiché l'ammissione dell'Iraq nella Lega delle Nazioni sarebbe stata la fine del mandato, tutto il paese chiedeva a gran voce l'ammissione. Vero è che il giovane Regno aveva attraversato ore assai tempestose e tuttora procedeva fra continu pericoli: prima la questione di Mossul e l'aspro conflitto con la Turchia, che ne era stato la conseguenza, poi l'ostilità di potenti e intraprendenti vicini avevano costretto i dirigenti iraqeni ad apprezzare a- deguatamente il vantaggio di avere alle spalle un possente protettore. Solo II prestigio inglese valse per più anni a tenere a bada il sovrano dei Wahhabiti, Ibn Saud, il nemico giurato della stirpe hascemita, che attendeva, in agguato, l'ora propizia per fare impeto su Re Faisal, cosi come poco prima si era gettato sul padre di Faisal, Husein, schiantandolo dal regno del Higiaz. L'Inghilterra. adunque, aveva dato all'Iraq un prezioso aiuto politico e un non meno prezioso aiuto economico; aveva istituito una buona amministrazione, diretta da pochi consiglieri inglesi, che controllavano ogni cosa, pur essendo, per cosi dire, invisibili; ma non ostante lutto, dall'opera compiuta, non raccoglieva che frutti di cenere e tosco e l'impopolarità del mandato aumentava a dismisura ad ogni ora, ad ogni istante. Sir Gilbert Clayton, l'ultimo Alto Commissario, aveva energicamente consigliato al Governo inglese di soddisfare le richieste dell'Iraq. II suo consiglio era stato accolto dal Governo, come apparve chiaro da un discorso che egli pronunciò poco prima di morire; ma solo dopo la sua morte è stato annunziato ufficialmente che il Governo di S. M. Britannica avrebbe appoggiato l'ammissione dell'Iraq nella Lega delle Nazioni nel 1932, rinunziando all9 condizioni contenute nel trattato del '27. Le condizioni che vengono, in questo modo, abrogate, sono quelle dell'art. 8, per cui l'Inghilterra si impegnava ad appoggiare la candidatura dell'Iraq alla Lega « purché il presente stato di progresso sia mantenuto e tutto nei frattempo vada bene»: « provided the pre sent rate of progress is mantained and ali goes well in the interval »; una clausola, com'è evidente, chesi presta a tutte le interpretazioni e che può significare tutto o niente, a libito del più forte dei contraenti. Precisamente questa clausola aveva confermato i sospetti che la Inghilterra volesse prolungare Indefinitamente il mandato. La promessa di oggi, invece, pone un termine fisso; al di là di esso l'Iraq è ritenuto capace « to stand on her own feet » di stare in piedi da solo. Da solot E potrà il materno cuore della Potenza mandataria abbandonare sola, fra le insidie della vita, una cosi giovane creatura, — un cosi inesperto paese, che — giova ricordarlo — ha la rara ventura di trovarsi esattamente sulla, via aerea dell'India ed è vicino alle principali fonti di rifornimento di combustibile liquido per la flotta britannica? Non sono ancora noti tutti i motivi dell'atteggiamento inglese in questo ultimo periodo. Una delle ragioni principali è stata senza dubbio il tatto che l'Iraq costava troppo: finora 18 milioni di sterline. Grosso modo si può dire che l'Inghilterra era di fronte a un arduo bivio: o salvare i grandi interessi che ha nell'Iraq e continuare a spendere o non' spendere più per l'Iraq e compromettere i suoi interessi. Fra le due vie, essa ha scelto una terza, intermedia. Un nuovo accordo dovrà essere negoziato per regolare i rapporti fra i due paesi; ed è facile prevedere che l'Inghilterra riuscirà a salvare al meno i più vitali fra gli interessi che ha nell'Iraq e a spendere molto di meno di quel che spendeva. Quod eral in votis — del contribuente britannico — s'intende. Ma questa spiegazione forse non con tiene che una parte della verità.

Persone citate: Allenby, Faisal, Gilbert Clayton, Husein, Ibn Saud, Maude, Percy Cox, Sykes-picot