Un teatro che si rinnova

Un teatro che si rinnova Un teatro che si rinnova E. pubblico del Rossini, che si reca ti teat.ro in Queste sere di fortunata ripresa di stagione, non può a meno, per molti segni, di accorgersi di importanti lavori che si stanno apportando al complesso della vecchia sala. Tutta la parte sinistra del teatro appare in piena trasformazione, per non dire addirittura in piena rivoluzione. Tutto quanto era adiacente, da questo lato, al teatro — a cominciare dal ristorante oer finire, attraverso il cortiletto, fino all'altezza del palcoscenico — è stato alla mercè dei muratori che hanno abbattuto, rinforzato, allargato, rifatto, per lasciare poi •il campo aii decoratori, che ancora lo tengono lavorando di tutta lena. Si tratta di un'ampia « fetta » di edificio che, completamente trasformata, viene per cosi dire incorporata nel teatro, aumentandone, oltre che la mole e l'ampiezza, anche la praticità e la comodità, a tutto vantaggio degli spettatori. Sono lavori destinati a mutare quasi radicalmente la flsonomia del vecchio teatro, se non nella sala, che rimane pressoché immutata, nella sua parte esterna, in quanto l'ingresso verrà spostato dal lato anteriore a questo lato sinistro attualmente in sconvolgimento. Ogni mutamento del nostri pubbliCd edifìci, e particolarmente dei teatri, è accolto dalla cittadinanza con gioia, poiché essa sa che ne deriva un sicuro miglioramento; ma nello stesso tempo i torinesi, che sono amanti del loro passato ' cittadino, non vedono senza un certo rincrescimento scomparire il vecchio per lasciar posto al nuovo; e con la memoria vanno volentieri indietro, nei decenni e nei secoli, quasi per gustare ancora una volta il loro tesoro di gloria e di tradizione. Gloria e tradizione si intrecciano appunto nella storia del teatro Rossini, e noi vogliamo facilitare ai buoni e memori torinesi il loro compito affettuoso e nostalgico di rivivere le vecchie memorie, tracciando sommariamente un po' di cronistoria del vetusto e celeberrimo teatro di via Po. Venne esso costruito da cello Gatto, che gli diede in un primo tempo il proprio nome. I lavori cominciarono nel 1792 e terminarono nel 179*. Sul finire dii quesio stesso anno il teatro venne inaugurato con spettacoli di tragedie e commedie della Compagnia Menichelli (ecco, lettore, un bel nome d'arte che si ritrova). Dopo qualche tempo, forse a causa di cambiamento di proprietà, il teatro si chiamo « Ughetti » ; e dopo qualche anno ancora, dal nome del nuovo padrone, diventò il «Teatro Sutera ». Con questa denominazione, che durò alcuni decenni, il teatro acquistò grande fama. Forse. Tommaso Sutera vi apportò nuovi lavori. Il fatto si è che intorno al 1820 troviamo 11 teatro in pieno rigoglio e circondato di grande estimazione. Dice infatti una pubblicazione dell'epoca: « Il teatro Sutera, costruito sui disegni e sulla direzione dell'architetto Giuseppe Ogllani, torinese, è sotto ogni riguardo un vero capo d'opera dell'arte; è tutto in cotto, di straordinaria solidità, e potrebbe a buon diritto servire di modello per i più grandi teatri. Fu commendato con l'impressioni di pubbliche lodi. Esso rende da ogni punto 11 maggiore e più chiaro suono delle voci e dell'armonia, e da qualunque sito vedesi perfettamente tutto lo spettacolo. Ha la figura di ferrocavallo, tre ordini di palchetti in numero di 52, oltre un palchettone superiore che forma un quarto ordine disposto in anfiteatro per gli spettatori ». In altre parole, la sala era costruita a palchi, e superiormente aveva una galleria, forse un poco più spaziosa e comoda del solito e classico loggione. Dove si vede che già firn d'allora, pur attraverso l'aristocrazia dei tempi, il teatro di via Po vantava requisiti democratici. Sotto il palco — continua la citata pubblicazione, contenuta nell'i Almanacco dei teatri torinesi » del 1823 — erano costruiti t due pozzi di acqua viva», con relativa scorta di pompe, « per precauzione contro gli incendi ». Il sipario ed il soffitto erano opera del pittore Palladino, e 1 celebri fratelli GaUiari avevano dipinte le decorazioni, che lo storiografo non precisa. Il palcoscenico del « Sutera » accol se pregiati spettacoli di tragedie, com inedie ed opere. Si rese famosa in città la stagione di opere buffe che ogni an no, di quaresima, veniva allestita con grande decoro nel piccolo teatro Che le recite fossero frequentate, ed attiche movimentate, lo dimostra una curiosa ordinanza del 1799 con la quale era fatto obbligo agli spettatori della platea di scoprirsi il capo. L'ordinan za seguiva una clamorosa serata che si era avuta a causa di coloro che tenevano il cappello in testa, suscitando proteste e grida. E questo episodio, a ■un secolo e più di distanza, ricorda, da vicino le burrascose serale e le polemiche che si ebbero qualche anno prima della guerra, provocate dagli enormi cappelloni che le signore usavano allora. Nella notte dal 21 al 22 aprile 1828 il fuoco si appiccò al teatro e, nonostante 1 due pozzi di acqua viva, lo distrusse quasi completamente. La sala .venne ricostruita senza i palchetti, cioè a gallerie, press'a poco come è attualmente. Nel '66 altri proprietari subentrarono ai Sutera, e al teatro venne dato il nome di Rossini che tuttora conserva. Data intorno al '60 quella che può chiamarsi !a grande trasformazione artistica del teatro, e che coincide con la sua epoca più gloriosa : e cioè quel suo diventare teatro dialettale per eccellenza, quasi esclusivo. La compagnia di Giovanni Toselli, che recitava al D'Angennes (ora Gianduia) e all'Alfieri, calcò una seta anche le scene del Rossini, e la prova fu cosi felice e fortunata che da allora egli preferi questo teatro. Incominciava così perii Rossini il periodo glorioso del teatro dialettale piemontese, di cui diveniva, si può dire la stabile e classica sede; periodo che durava circa mezzo secolo e che trovava legati, in un'unica gloriosa storia, il teatro di via Po e l'arte drammatica nostrana Basterà ricordare, con quello di Giovanni Toselli, qualche nitro nome: Tancredi Milone. Francesco Ferrerò, G. B. Penna, Alberto Cherasco, Giovanni Gemelli: e, fra le attrici. Ma rianna Moro-Lin, Adelaide Tessero «la Indimenticabile», Giacinti! Pezzana che si preparava ai suoi voli d'aquila Particolare curioso. Nessuno di questi grandi era figlio d'arte, a cominciare dal capo, dal maestro, il Toselli, noto come avvocato di poche cause che ave va sposato con fortuna l'unica causa dell'arte teatrale. Provenivano tutti dagli impiegati, dagli studenti, dai commercianti; e le donne pure venivano dalla piccola borghesia. Il Ross'ni era il crogiolo ove, alla fiamma dell'entusiasmo, si temprava il puro metallo dell'arte. Tra le molte memorabili serate una, sebbene nota, converrà ricordare: la E incovealencrmpedalumchsequtae il paretaandvesttadeI!dNddRpchsSdlinsficscrifnppcuvrnrsspsalaqoicstcItdccdigvnraSimtmmrnlprima rappresentazione delle « Miserie d'jnonssù Travet», di Bersezìo, avve-d'nrionssu nuta il 4 aprile 1863. Curiosa serata, alla quale i « burocratici » intervenne, ro con l'intenzione di fischiare quella che essi ritenevano una loro offensiva caricatura. Essi, infatti, riuscirono a «compromettere l'esito della commedia, che al quarto atto ondeggiò minacciosamente sotto le loro proteste; tuttavia le « Miserie d'mùnssù Travet » ebbero ragione di queste... miserie, e la commedia potè arrivare alla fine. E quelli che alla « prima » erano stati in parte applausi di reazione a bellicose intenzioni dei « burocratici » divennero nelle repliche, e sempre da allora, applausi di schietto, fervido entusiasmo. Così nasceva al Rossini la più bella creatura del teatro vernacolo pie montese, e, con essa, molte altre, che però sarebbero degne di essere ricordate, se fosse questo del giornale il luogo adatto e se lo spazio lo permettesse. Possiamo tuttavia ricordare che il Rossini, con la sua importanza sempre crescente veniva a oscurare quella di alcuni teatri vicini — il Nota, costruito sul corso piazza d'Armi e distrutto da un incendio nel 18K8 il Sales, e il Nazionale, pure scomparsi — e a porsi in temibile concorrenza col D'Angennes e il Carignano. II vecchio teatro è rimasto immutato si può dire fino a questi ultimi anni, quando è passato in proprietà del comm. Fiandra, uomo di larghe vedute e di criteri moderni, che lo restaurava, modificava e ampliava, portandolo, come suol dirsi, all'altezza dei tempi. U. L. lScSrlploupprMsscpcsDlsrr