Taccuino di marcia di Mario Gromo

Taccuino di marciaT Ore 4. — Siamo attendati nell'ultimo vallone, sotto i seracchi del ghiacciaio. 11 cristallo del cielo è già venato da qualche striatura violacea che diventa rosea, sull'ultimo ammiccare d'una stella sperduta. Da una tenda esce uu trombettiere, iu maglione e senza scarpe; e il rombo dei torrenti e delle cascate, il grave respiro del monte, è rollo d'un tratto dalla breve fanfara che via baisella tra i dirupi. 1 muli, per tutta la notte legati a una lune tesa Ira lue rocce incominciano a zampare; ma non appena le tende palpitano, a ne sbucano i primi alpini, code e zampe tornano ad essere immote, i musi a terra, da veri anziani che non han per nulla sentita la sveglia. In breve, dov'era il campo, dove fino a poco fa era un afflosciarsi di teli e uno sfarfallar di mantelline e uno sbandierar di camicie e un rotolar di pagnotte e di gavette, c'è ora qualche quadratino di pietre, con un po' di paglia calpesta. La compagnia è già adunata, sotto lo strapiombo d'un roccione: il capitano ripiega la carta, regola l'altimetro, ierra al fianco la piccozza, e s'avvia lento e sicuro, i prtmi passi uguali Agli ultimi che farà stasera. Ore 6. — La morena è un'immensa lavina di blocchi immani precitata a perdersi in un imbuto che rinserra al fondo un laghetto d'acqua nera. Soltanto il pesticciare degli scarponi, accompagnato dal ciottolìo degli zoccoli, fino a un piccolo pianoro, donde si leva lo squillo del primo alt. Tutti si buttano a terra (sanno ormai che voglia dire risparmiare ogni respiro, dinanzi a dodici ore di marcia), e tutti, al solito, già incominciano a sbocconcellare qualcosa, sdraiati sullo zaino, resupini, che sfilarsi le cinghie è troppa fatica. Ma d'un tratto urla e risate li fan balzare in piedi. I camosci, i camosci! t Signor tenente, mi lasci sparare! ». « Rancio speciale!». «Brutta camorra, che andate in montagna in motocicletta! ». Chi non li vede ò il più entusiasta, chi quasi vorrebbe rincorrerli, così, da un versante all'altro, chi li conta ad alta voce, chi li guarda con labbra «socchiuse ed occhi sbarrati : incalzati da questo lontano clamore, rapidi, balzanti di dirupo in dirupo, in pochi istanti saettano per tutto il fianco del monte, impennando appena il muso sottile, scarna agilità fuggente su orli d'abissi. Ore 7. — H primo nevaio, dopo giorni e giorni d roccia. Ci buttiamo su quel molle candore, presto segnato da un sentiero nerastro. Rug gero, il mio attendente, prosegue compunto 'succhiando un po' di neve; e lo sento dire al compagno che il Polo Nord sarà una curiosità da vedere. #** Ore 8. — Le placche gelate son sempre più estese, i muli non posso no proseguire. Bisognerà scaricarli, legarli, trainarli a braccia. Rotolano sulla neve cassette, barilotti, saechi, mitragliatrici. Per questo lento trasbordo, per superare questi cento metri, occorreranno almeno tre ore. Le solite giaculatorie e le solite risate, l'immancabile viatico ad ogni fatica d'alpino. Sul colle, sul nostro capo, fuma turbinando un nevischio leggero. *** Ore 12. — Dall'altro versante si offre la valle venata dall'argento corrusco dei torrenti, pezzata dal gial lo della segale, dal verde bruno dei pini. Dopo parecchi giorni, rivedia no laggiù il nastrino bianco d'una strada. 8i cammina sciolti lungo il costone, per una balconata di pietra sospesa sull'azzurro e sul verde Ma poi la valle scompare e la cengia discende fra spuntoni di roccia, fino a perdersi in una sorta di catino ferrigno, sostenuto da due creste, dove di nuovo troviamo la lavina, che al caldo del meriggio tradisce ogni passo, in uno sghiaiarc di ciottolame che srende in rigagnoli, tra i rocciosi saldi in quell'insidia. Prima di attaccare il ghiacciaio lasciamo le 8almerie, che proseguiranno a mezza costa e ci raggiungeranno domani sera ; forse, la notte la passeremo all'adiaccio. Ore 13. — Il sole a piombo, l'aria immota, i riverberi del ghiaccio, la prima stanchezza, che presto dileguerà, ma che ora si fa pesante ; si procede lentamente, facendo dei larghi zig-zag per evitare i crepacci, in un caldo che non s'attenua per l'amarognolo della neve disciolta dall'arido palato. Sotto di noi, in un rombo continuo, precipitano i seracchi. Una nube leggera passa sul ghiacciaio ad accompagnare la sua ombra, che vaga lenta a incupire questo candore abbagliante. lnlvnglutlNadOtrdmrdecvntldvidlfquamsouauOr.e 16. — Ci raggiunge un po' di tormenta, in una nebbia sporca, che pmpunge, che ulula, che staffila, che r .» 1 1 1.. laccieca. Bisogna tenere la mantellina con i due pugni sulle ginocchia, per non aver le spalle scoperchiate. Il nevischio penetra e s'incrosta'dovunque, a farci rimpiangere la calda estate di due ore fa. Ma infine ritroviamo il sole, l'ultimo sole, che stende lunghe ombre nei valloni. Una crestina scintilla ancora sopra di noi, poi lentamente si spegne, tornando nera roccia dentata. Sale la sera dal fondo della valle, s'accendono i primi fuochi, per il caffè sotto le gavette in bilico fra due pietre. Qui ci fermeremo all'adiaccio -(Passano tre alpinisti, spelacchiati in volto, sfiniti. Non occorre loro nulla, sce^ono al rifugio. Gente che ha bisogno di un rifugio, per dormire). #*« Ore 19. — Anche quest'oggi ci voleva la solita scommessa col capitano. L'abbiamo trovato a sbroccolare, nell'ultima luce del crepuscolo, verso i roccioni di fronte. Il capitano ha una gelosa borraccia di cognac il capitano sostiene che quell'ombra è una pietra. Il tenente ha un'ultima scatola di sigarette orientali, il tenente sostiene che, quell'ombra è un'aquila appollaiata. Nelle lenti prismatiche il contorno azzurrino è quello d'una seggiola dalla quale eporga un becco adunco. O grog per tutti, o sigarette orientali per tutti. Due colpi di rivoltella rombano per il vallone, scrosciano d'anfratto in anfratto: la sedia è rimasta sedia. II capitano ha un sorriso trionfante, batte una manata da padrone sulla sua borraccia: ma eco un fremito nel nero della roccia ed ecco l'ampie ali distese sulla valle, in un largo volo solenne. S'i n abissa, torna a riemergere come tornando a galla sull'oscurità, rotea lenta librata, forza sicura e primor diale, dominatrice del cielo e della valle. TI ricordo di tregende iilpine il brivido del rostro e degli artigli, desiderii dì caccia d'avventure e di libertà, la terribile legge del più forte, accompagnano \n visione di quel volo fin quando scompare dietro un picco: e poi ci ritroviamo attorno ad un falò crepitante di resina, fumando delle sigarette orientali, che sanno un po' di sapone, bevendo un ottimo grog un po' troppo salato. #*» Ore 22. — Ruggero, scomparso da un paio d'ore, se ne torna adagio adagio, risalendo dall'altra valle con un fascio di rododendri tra le brac- eia. Li sprimaccia fra due roccioni sottovento, vi distende la mantellina, vi mette il mio sacco come cuscino, dopo averne tolto maglione e passamontagna. Che ho fatto, a questo ragazzo, perchè deliba avere per me le cure d'un cameriere o d'una mamma? — Se non le occorre altro... — Buona notte. — Accendo ancora una sigaretta, gli butto il pacchetto, e poi mi sdraio, guardando il soffitto di stelle, aspirando gelosamente questo sentore di muschi e di licheni, che tappezza stanotte la mia camera. Ore 23. — Un'ombra segue il breve fascio di luce d'una lampadina elettrica. E' il capitano che va a vedere i suoi soldati, uno per uno, come dormano in questo che è il primo adiaccio, per loro. Dalla bruma che ora vela le stelle, giunge una spruzzaglia di pioggerella tepida. Sale il nero rombo dei torrenti, la bruma si squarcia leggera, torna a palpitare lo stellato d'agosto. Oltre le. creste di fronte, lontano laggiù, immagino la pianura segnata di luci, lungo i fiumi, attorno alle città, che nella notte calda diffondono per il cielo un alone rossigno. Sento il ticchettìo amico dell'orologio, penso alla poltrona d'un teatro, a quella de mio scrittoio, alla farfallina nera del lo smoking: mi sdraio sul fianco, i rododendri crocchiano dólcemente e poi respiro a pieni polmoni questo profumo di licheni e di serenità, accarezzando una piega acabra della roccia ancor tepida, e mi pare di riavere per me un bene troppo a lungo smarrito, intessuto di giovinezza e d'infanzia. Domattina, sarà la rugiada che ci sveglierà. Mario Gromo.