La politica di Sonnino

La politica di Sonnino La politica di Sonnino II taciturno ■ « Una biblioteca senza finestre sulla strada » - Tre idee fondamentali ■ I due Ministeri I « giovedì » della Consulta » La neutralità, la guerra e la pace - Dissensi con Bissolati ■ I fiori dei fascisti L'ultima volta che vidi l'on. Sennino fu, ai principio dell'autunno 1922. Non appariva nè stanco nè fisicamente indebolito: rimaneva in piedi, come preferiva quasi sempre, e parlava con abbondanza, quasi ne sentisse piacere, il che era assolutamente fuori della consuetudine, e quasi dalla natura sua. Infatti, anche da giovine, non era prodigo di conversazioni. Quando aveva appena iniziato la vita parlamentare, pranzava al Caffè Colonna, in compagnia del suo intimo Ceconl, un toscano anche lui, taciturno, lungo, secco e malinconico come un cipresso. Fra loro non si scambiavano dieci parole pur m uno spazio non breve di tempo. Non breve spazio di tempo, perchè quasi sempre sopravvenivano alcuni amici ; ed essi discorrevano. Anzi non di rado vi intervenne Matilde Serao, giovine, gioconda, fornita riccamente dell'arguta espansività meridionale. Faceva squillare motti e risate. Il Sonnino si compiaceva di ascoltarla, non senza, forse, qualche invidia, perchè è a credere pensasse: — Potessi anch'io parlare cosi! Ma non poteva. Non riusci mal, salvo rarissime eccezioni, a esprimere con facilità il proprio pensiero. Anche quando scriveva 11 suo periodo rimaneva arido: soggetto, verbo, attributo, e null'altro. seo , . a e l e e , a i i e > n i o a a s- o a l al di aai io li o ee riro el ra iaaaù te ta re Pochi discorsi Le rare eccezioni c'erano, vi furono veramente: quando fece la prima esposizione finanziaria, ministro col Crispi nel 1893, ebbe una chiusa ef fettivamente eloquente, che davvero commosse l'assemblea. Durante la guerra, in uno di quei Comitati segreti della Camera i cui resoconti non furono pubblicati, gli avversari della partecipazione nostra, resi coraggiosi dalla sicurezza appunto di rimanere ignorati, mossero censure, dubbi, rimproveri. Egli a un tratto si alzò e rispose, rispose con veemenza, con vocaboli crudi, perfino con gesti di minaccia. Quando ebbe finito, Ferdinando Martini mosse dal suo banco e andò a stringergli la mano dicendo: — Vedi che quando vuoi riesci a parlare benissimo. Ma nell'una -e nell'altre, di queste eccezioni Io aveva mosso il sentimento, sentimento sempre altissimo in lui, della Patria. Quando lo scaldava quella che era la grande passione della sua anima, allora diveniva anche oratore efficace. Altrimenti ubbidiva al proposito di rivelare e illustrare la sua tesi, l'idea alla quale credeva, e ^rivelazione ed illustrazione, secondo lui, dovevano consistere in ragionamenti precisi, sostanziosi, confortati da cifre inoppugnabili. Voleva persuadere e non altro; il resto giudicava superfluo. Gli occorreva pertanto una tunga preparazione, benché fosse facilitata in lui dalla conoscenza prò fonda della legislazione nostra e' di quella del popoli stranieri : forse nessuno nel Parlamento nostro av./a letto, studiato, imparato quanto lui. Può essere che la condensata cultura fosse un impedimento in lui ad assumere quegli atteggiamenti improvvi si e pronunciare quel giudizi avventati che, per lo più, giungono, invece, a trascinare gli uditori. Troppo vivo e rigido aveva il senso della responsabilità propria. Certo è che, in quaranta anni di deputazione, pronunciò un numero relativamente scarso di discorsi. Il giudizio di Giolitti Eppure, appena aveva preso posto sopra un bancu di Montecitorio, si dis se: — Ecco un uomo da non coufon dersi qon gli altri e che arriverà. Egli, infatti, non seguiva capi e non cercava seguaci: aveva, per conferirgli forza, tre idee fondamentali. Si discuteva allora della riforma e lettorale — quella prima presentata dal Depretis — ed egli opponeva « Troppo poco: ci vuole 11 sufiragio universale». — Era quasi solo nella richiesta, ma a lui non Importava. Poi, quando si cercava di rinnovare Ut Sinistra, asseriva: » I partiti storici sono esauriti; si deve passare ad altro ». — Ed effettivamente si passò al trasformismo. Ancora: — Noi slamo isolati nei mondo — ripeteva — stringiamo al leanza con gli Imperi centrali. — E anche l'alleanza non tardò ad esser stretta. Poco dopo a queste tre idre Iniziali aggiunse ur-9 quarta: — Si Ha da pre ddfdzfusrecrtapnscrCrGtndsdmntsdmdt'clv—dfigpdszcatplm entare un bilancio galantuomo, fon- dato sulla verità: tale non è quello di Magnani. E di 11 a brevi anni fu chiamato a ar parte del Governo, sottosegretario dell'on. Perazzi, ministro delle Finanze. Ma questi volle dire la verità, e u subito congedato. Invece, nel 1893, fu nominato ministro, appunto alle finanze, per esporre la realta e preparare i rimedi che essa esigeva. Non ebbe incertezze, giunse alle conclusioni più audaci, compresa quella riduzione della rendita, che, presenata da Stefano Canzio in una lettera al f Don Chisciotte • aveva tre anni prima, procurato il sequestro del giornale. Fu coraggioso, intransigente, spietato ma restituì saldozza al bilancio, ed il successo da lui ottenuto fu riconosciuto dal suo successore, l'on. Colombo. Dopo egli mostrò di volersi appartare, ma alla formazione del secondo Gabinetto Pelloux gli fu offerto un portafoglio, a scelta sua. Non ne accettò nessuno. Si contentò di essere il capo della maggioranza ministeriale. Non si esclude che fra lui e il Presidente del Consiglio cooperassero efficacemente a quella incertezza di Governo e di Parlamento che diedero vittoria all'ostruzionismo. In principio si mutarono affrettatamente i Presidenti dell'assemblea; poi i provvedimenti proposti, terminando a quello del regolamento e, in fine, al meditato e non compiuto ingjre»o nell'au'a della forza pubblica. A un amico che affannosamente lo Interrogava e lo ammoniva che in tal modo si andava incontro al caos egli rispondeva' — Sicuro, dal disordine nascerà l'ordine. Era la sua insita, del resto unica deficienza; conosceva tante cose ma non gli uomini, specialmente quelli componenti una assemblea parlamentare. Esattamente l'on. Giolitti lo aveva definito: — Una biblrioteca senza finestre sulla strada. Due volte cento giorni Nella primavera del 1906, verso mezzanotte, l'on. Salandra sali da me — c'erano molti scalini da fare. Veniva alla ricerca non di me, ma di un unico dell'on. Cnceo-Ortu. che sapeva trovarsi meco. L'on. CoccoOrtu rap presentava un punto importante per la composizione del nuovo Gabinetto cui all'on. Sonnino era stato conferito l'incarico. Pi credeva di acquistare col suo assenso il gruppo di Sinistra — composto di zanardelliani superstiti — che aveva contributo a formare la maggioranza — 33 voti — da cui il precedente Ministero Fortis era stato battuto. Ma il Cocco e gli altri colleghi suol tennero duro: repulsero ogni offerta di portafogli. L'on. Salandra, più esperto della Camera, se ne preoccupava; l'on. Sonni no invece, rimase sereno, e mise in sieme tpiel Gabinetto ohe Michele Totraca chiamò ponte a una sola arcata costruzione pericolosissima almeno allora. Infatti si componeva quasi esclusivamente di deputati di Destra e di Estrema Sinistra. Era parso felice ardimento recare al potere la Estrema e prima ancora che la crisi avvenisse accordi erano stati presi con l'on. Sac chi, capo dei radicali. All'ultimo mo mento, quando più le difficoltà aumentavano, si arrivò all'on. Pantano. L'on. Luzzatti lo portò all'on. Sonnino dicendo: « Ecco il leoncello domato ». In principio, almeno, il Presidente del Consiglio rimase indifferente a consigli, ammonimenti, minacce: aveva la sua idea: anzi la sua fede. Continuava, cioè, a pensare che la mag gioranza parlamentare avrebbe dovuto approvare le sue proposte di riforma e ne aveva parecchie, lungamente pen sate, sicuramente gradite dalle popolazioni. Insisteva nel ritenere: t Invito la Camera a Compiere opere buone, e la Camera voterà ». Probabilmente, dopo alcune settima ne si accorse dell'errore o, almeno, l'esperienza scosse il radicato convincimento suo. Infatti un amico di lui venne da me a chiedermi di persuadere l'on. Gallo ad accettare la candidatura a Presidente dell'assemblea legislativa. Io posi per condizione che venisse meco un amico del Presidente, da lui autorizzato a fare l'offerta. E l'amico fu Giovanni Villa, anche allora stimato ed amato. Ma il Gallo, alle prime parole, rispose secco: « No •E non si mosse. Poco dopo il primo Gabinetto Sennino era rovesciato. Durata: cento giorni. E lo stesso seguì pel secondo. Soltanto i modi e !e condizioni furono diverse. Non più Estrema, non più or posizione anti-giolittiana; anzi, tutto d'accordo col Presidente del Consiglio dimessosi. Si ricorre anche a mezzi allegri di conquista dei deputati, comead esempio, « i giovedì della Consul ta » destinati a ricevere quegli onore- ti e a o o , i e , E e . o lo o o le, l- voli ohe, in fondo, non si presentarono. Il capo del Governo rimase, anche lui, costantemente assente. Egli, ancora una volta, pensava a preparare riforme buone, tali che i successori furono costretti ad attuare. Ma c'era lo scoglio, inevitabile: quello delle Convenzioni marittime, erre avevano provocata la crisi del Gabinetto precedente. Pareva che dovessero segnare un trionfo del nuovo, perchè erano preparate dall'ammiraglio Bettolo, considerato l'uomo più competente in materia. Invece, appena furono presentate, la maggioranza, rimasta fedele all'on. Giolitti, fece sapere: — Queste non le voglio. E non c'era più nessuna via di scampo: il Ministero doveva dimettersi. Aveva durato cento giorni. Non la prima, non la seconda volta, distribuì sussidi alla stampa. Il gruppo si scioglie Dopo questo secondo esperimento, egli pensò che alla Presidenza del Consiglio non doveva più ritornare: sentiva di non essere atto a tenere compatta una resistente compagine parlamentare. Il ragionamento non era confortante; ma non diede a vedere esteriormente di sentirne amarezza alcuna. Continuò a frequentare assiduamente le sedute della Camera; qualche volta, rarissima, intervenne anche nelle discussioni, sempre riverentemente ascoltato: tutti riconoscevano ia sua dottrina, la sua lealtà, la assenza in lui di qualsiasi rancore personale. Infatti, quando fu iniziata la impresa libica, egli applaudi entusiasticamente. Allorché fu proposta ia riforma elettorale, a molti che volevano indurlo ad assumere atteggiamento contrario, inflessibilmente rispose — In fondo è il suffragio universale che io ho sostenuto da solo, tanti anni sono: non posso respingerlo oggi. All'avvicinarsi delle elezioni generali, nel 1914, I componenti del suo gruppo — anch'essi pochi ma buoni — chiesero di riunirsi in casa di lui. Erano decisi a separaisi per scegliere un cammino dtversu benché non opposto. II dibattlt- non fu nè breve ne calmo, perchè fra gli intervenuti c'era uno che aspramente rimproverava i presenti di defezione Ingrata. Egli, l'on Sonnino, rimase silenzioso, quasi Indifferente: facessero quel che volevano fare. Conseguente, quando poco dopo l'on. Giolitti si dìmls" e designò lui per comporre 11 nuovo Gabinetto, disse sol tanto: - No, k anticipatamente ho rinunciato. E cosi 11 mandato toccò all'on. Salandra che. ne! compierlo, dovette superare contrasti non pochi. Egli vo leva la cooperazione dell'on. Martini e da prima l'on Martini la rifiutò. OfM ai generale Porri il portafoglio della Guerra, e questi tn'se tali condizioni che furono ritenute inaccettabili; l'on Fusinato espresse il desiderio di rimanere in disparte. Le difficoltà della composizione furono superate e superate pure quelle che immediatamente sorsero per le agitazioni del ferrovieri e dei rivoluzionari di Romagna e delle Marche. Il Ministero entrava nella tranquillità delle, vacanze estive, quando avvenne l'impreveduto, il terribile: la guerra. sustè tàriailsedtaeinafevdcnliq1 fidnpmpdclvcsanasiacnsiAcsrlclvscnptuccMinistro degli Esteri L'on. Salandra fin dal primo giorno, era per l'intervento nostro. Ma per ciò occorreva mutare il Ministero da lui formato, con ben più modeste previsioni. Nell'ottobre era morto l'on. Di San Giuliano, ministro degli Esteri; prima Il generale Grandi e poi l'on. Rubini, che reggeva il Tesoro, si dimisero. Si poteva quindi procedere ad una larga ricomposizione. In questa la parte più importante e difficile era riservata all'on. Sonnino Si disse allora che questi era contrario alla neutralità, contrario ad ogni avvicinamento all'Intesa. Non era vero, come hanno documentato le lettere di lui stampate due anni sono. Egli voleva sapere come si erano svolti 1 fatti, e quando seppe approvò. E assunse, dopo qualche resistenza il portafoglio assegnatogli. Un mese dopo inviava all'Austria la prima richiesta di vcompensi », richiesta che egli conosciflra perfettamente ove avrebbe condotti). L'Esercito non poteva entrare in cam pagna, con una sufficiente preparazio ne, se non a primavera. Nella primavera, nel 'la, egli pubblicò quel ■ Libro verde » che documentava l'opera da lui compiuta per l'intervento nostro. Consensi e dissensi Nell'estate del 1916 il Ministero Salandra fu abbattuto alla Camera. Al'lora segui questo episodio nuovo: mol- deputati e senatori salirono alla Con¬ ulta per rivolgere all'on. Sonnino que ta preghiera: — Per carità, rimani: il tuo dovere patriottico. Ed egli rimase, non tanto per volonà propria quanto perchè pareva mateialmente impossibile sostituirlo. Egli aveva intera la fiducia del Paese, era l più autorevole e appassionato asertore della necessità della guerra. Ma il nuovo Gabinetto, presieduto dall'on. Boselli, accoglieva rappresenanti d'ogni parte della Camera, e fra ssi l'on. Bissolati. Questi era stato nterventista ardente della, prima ora; aveva combattuto al fronte, rimanendo erito, ma aveva e intendeva conservare le idee sue. In fondo non abbandonò mai il socialismo; desiderava he l'unità nazionale si compisse, ma non al di là; il fantasma dell'imperiaismo lo atterriva ed irritava. Era una concezione ben diversa da quella dell'on. Sonnino, e perciò fra due seguirono dissensi. Più aspro, in dal principio, fu quello provocato dalla proclamazione del protettorato nostro sull'Albania. Per due giorni si prolungò 11 contrasto In Consiglio dei ministri. Alla fine si arrivò a un componimento: l'on. Sonnino riconobbe d! avere errato nella procedura non chiedendo avanti il voto del colleghi; l'on. Bissolati si rassegnò, per quella volta soltanto, al fatto compiuto. E la crisi fu evitata, ma la origine del dissenso rimase, rimase fino all'ultimo, anzi all'ultimo più di prima. E Intanto l'on. Sonnino perdurava nella vita che si era imposta da che aveva assunta la direzione della nostra politila estera. Alla Consulta rimaneva quasi tutto l giorno: vedeva, redigeva, cifrava anche da sè, tutto da sè: riceveva po chisslmo, quando era indispensabile, non comunicava con nessuno Non credeva alla propaganda; non si occupava della stampa; mantenne il silenzio fin che potè, anche con gli Alleati. Wilson ebbe visione di quello che si chiamò il « Patto di Londra soltanto quando, alla fine della guerra, giunse in Europa, a Londra. Glielo mostrò e commentò Lloyd George che «I preparava ad es=ere a Versai! les 11 più fiero ed efficace degli avversari nostri. Durante quella Conferenza, il Mini stro degli Esteri fu quasi sempre coi colleglli. La sera per lo più interveniva al pranzo comune; ma questo ap pena finito si allontanava. Poiché molto spesso pioveva, si faceva portare un ombrello e usciva dall'albergo per camminare a piedi. Quando dopo il manifesto inqualificabile contegno di Wilson, Orlando volle venire In Italia, egli insisteva: — Restiamo. E non parti, per manifestare il suo pensiero, che il giorno dopo del Presidente del Consiglio. Dimostrazione di popolo Succedeva il Gabinetto Nitti: egli riprese a frequentare assiduamente le sedute alla Camera. E intervenne anche In una discussione, quando si trattò di approvare la proporzionale. In realtà la grande maggioranza era contraria; ma tuttstavano zi; :, per paura dei socialisti e dei popolari che imponevano al tremebondo Presidente del Consiglio la riforma. Egli solo ne disse gli errorine previde 1 mali, ma non fu ascoltato E fu quello l'ultimo suo atto parlamentare. Perchè i deputati appartenenti apartito liberale — che si ripresenta vano tutti — non sentirono 11 corag gio di mettere nella lista 11 suo nome: — Egli è il ministro della Guerrafarebbe battere anche noi — dicevanoE caddero davvero, vergognosamenteEgli si ritrasse al Romito e non voleva uscirne. Giolitti gli offri Insistentemente la nomina a senatore ma soUanto le insistenze e le preghiere di un amico, cui era affezionatissimo, lo indussero ad accettare. A palazzo Madama, ove apparve, si trovò all'annuncio delle dimissioni datdall'on. Giolitti. Egli lo fermò, pedirgli veramente commosso: — Resta, ti preeo : resta, perchè sva incontro al disastro. Non fu ascoltato. Da Roma l'on. Sonnino andò a Frenze, per pochi giorni, e ritornarquindi al Romito, nella solitudine desiderata. Alla stazione, da molti fascisti chvi erano adunati, fu riconosciuto eentusiastii amente applaudito; gli portarono anche fiori nella carrozza overa già salito. Fu forse ia sola dimostrazione dpcpolo — mori poche settimane dop— che egli ricevesse nella vita, tuttdedicata all'amore austeramente altdella Patria. Luigi Lodi.

Luoghi citati: Albania, Austria, Europa, Italia, Londra, Marche, Roma, Romagna