Gita a Massa

Gita a Massa Gita a Massa |i Massa: una g. i piazza intorno alla quale s'avvolgon le vie come il .filo intorno all'annaspo. In alto, fra un grande Btrapiombar di montagne aspre e nere dove le cave hanno aperto qua e là ferite che mostrano lo straziato candore dei marmi, un castellacelo guarda di malocchio il mare come se ancora non si fosse deciso a rabbonirsi con l'antico nemico. Su la piazza un palazzone barocco, tutto rosso, fasciato da un doppio ordine di finestre su le quali le ornamentazioni marmoree si posano come sui dolci pasquali le trine di zucchero, apre il suo ducale portoue ai rappresentanti dell'Italia una, mentre di fronte, ritto su quattro leoni accovacciati, un obelisco più pettegolo che solenne, ma pieno di buona volontà, celebra la cacciata dei Duchi di Modena. Massa, vecchia e polverosa, si crogiola al sole come una nonna che, abbandonata la calza in grembo, stia dolcemente a guardare dall'uscio di casa il lavoro invece di voglia dei nepoti giovani e forti. Ecco infatti tufct'intorno alla marina crescere pre- ftentemente la città nuova, e le vilmoltiplicarsi, e gli stradoni -le strade i viali farsi largo tra i pini. La giovine Massa cresce ogni giorno iè l'antica, sorridendo col sorriso furilo e sdentato de! vecchi, la guarda nascere. Intanto ricorda i giorni della sua palma vita quando le vie non levano intronate dal rombo di tanti motori e solamente le sonagliere delle diligenze svegliavano echi pei selciati, erbosi. Ormai non passavano più per Massa che i rudi marmai tutta l'infinita schiera dei grandi scultori capeggiati da Michelangelo era già passata da un pezzo: ultimo v'era comparso di quando in quando 3 Canova. Erano i giorni che il cadavere errabóndo di Shelley navigava per questo mare; La vita sonnolenta era la medesima ogni giorno: rombo di mine sui monti, schiamazzo dì monelli sul sagrato del Duomo. !Le mattine di festa le campane si svegliavano tutte insieme nei campanili e ^1 vento le portava sul mare ai velieri che passavano al largo. AlJor di notte tutte le case si chiudevano: il Duca faceva sonare il co prifuoco: la città, ecco, non esisteva più Figurarsi che faccia avran fatto i buoni abitanti di Ma6sa vedendo comparire con tutta la sua Corte francese la folle Maria-Carolina di Napoli. L'unico rifugio che la Du chessa di Berri trovasse in Italia do po la sua partenza da Holyrood, dove Carlo X continuava a giocare al whist con gli Angoulème, fu questa Massa che a un tratto si mutò in un centro di cospirazione. Cospirazione se vogliamo un poco da operetta, ma che doveva fare in ogni modo un grande effetto ai tranquilli massesi. (Com'è poto, la Duchessa di Berri preparò a Massa la sua spedizione in Vandea). Maria Carolina scese da prima a quello che certamente doveva essere allora il maggiore albergo della città (forse questo piccolo Albenjo degli Aranci proprio di faccia al Palazzo ducale) e che essa soprannominò la Caserne; quindi si allogò nel Palazzo che Francesco IV si decise finalmente a concederle. Amante dei divertimenti com'era, non se ne sarà stata alla sola cospirazione, ma l'avrà interrotta spesso e volentieri con balli e rappresentazioni; e se a Parigi la Duchessa, prima e dopo la morte tragica del marito, amava andarsene a passeggiare per la città e a far spese nei negozi, tanto più lo avrà fatto qui dinanzi a questa brava gente stupita di veder la Reggente di Francia contrattare coi bottegai. D'altra parte essa si trovava per la prima volta a far davvero il comodo suo e ne avrà approfittato largamente. C'era nella piccola duchessa un temperamento da «cabotine*. Il suo gusto dei travestimenti, la facilità ch'ella aveva di cogliere la parte comica delle cose, i suoi rapidi passaggi dal pianto al riso e viceversa dovevano far di lei una creatura indimenticabile. La sua mimica tutta napoletana era attenuata dalla grazia .francese e le sue monellerie da un buongusto istintivo. A Parigi aveva voluto un teatro tutto per sè, il «Gymnase» che da allora mutò nome e s'intitolò a o S. A. R. la Duchesse de Berry» e tutto per sò un commediografo, il maggiore de' suoi tempi, Eugenio Scribe, che scrisse per lei e le dedicò una delle sue commedie più tipiche, la Volière, la quale servì ad inaugurare il rinno vato «Gymnase». Immaginarsi se non volle un piccolo teatro anche in questo palazzone rosso pel breve tempo che vi rimase ! E sì che tutta la vita di questa piccola Corte improvvisata era una commedia da cima a fondo che aveva a protagonista una oiccola scugnizza con un cuore gonfio di grandi sogni. Nel suo libro «Der nières années de S. A. R. la D. de B » (Paris, Denku, 1891), Imbert de Saint-Amand l'ha descritta così: «La Duchessa di Berry parla un comico francese italiano ed è piena di una grazia strana e un po' folle* Con Maria Carolina c'erano a Mas-I sa: Resinibo, Bartier, Delaveau, Pelloutder, il conte Mesnard e il duca Blacas. Mesnard era un uomo «secco freddo e meticoloso che cercava di calmare l'immaginazione capricciosa della Reggente, della quale egli era Simo Scudiero. Disgraziatamente esnard aveva subito l'ascendente Straordinario delle sue grazie e non aveva su di lei influenza alcuna. In fondo egli faceva quel che essa voleva: *joS(* che la divertiva straordinariamente • C'era è vere Blacas che Chateaubriand aveva soprannominato € l'imprenditore di ■ ape funebri della Monarchia*; ma renimeli lui poteva nulla. Avrei voluto veder Massa in quei giorni piena d'un andirivieni continuo di messi, di corrieri, di trafficoni | d'ogni sorta. Un giorno, tra gli altri, i arriva un uomo bruno, magro, di inedia statura, dal fare untuoso, il .cui aspetto ripugnante colpisce tutti (il visconte di Santarem ha anzi so spetti che lo lasciano pensieroso) ; ma nonostante Maria Carolina lo accoglie con entusiasmo. E' Simone Deutz, ebreo di Colonia convertitosi sotto gli auspici dell'Arcivescovo di Parigi e che il Papa ha preso a proteggere. Questo Deutz — mercè l'influenza del S. Padre — è già stato allo dipendenze della Casa di Francia come bibliotecario del Duca di Bordeaux; dopo l'avvento della Monarchia di luglio ha tentato sfortunate speculazioni in America ed ora torna alla Duchessa per offrirle nuovamente i suoi servigi. Come s'è detto, Maria Carolina lo accoglie a braccia aperte, gli dà subito a vendere un diamante del valore di 6.000 lire che egli cede per due, quindi lo incarica di contrattare un prestito di 50 milioni in Spagna e in Portogallo. Deutz parte. La piccola Corte ha intanto portato a buon fine le trattative d'acquisto d'una nave e per cinauantamila lire c stato comprato il Curio Alhrrto che il 25 aprile 1832, leva/,l'ancora e salpa alla volta di Marsiglia. La Duchessa ha passato tutta la notte nella capanna di un doganiere ma non pare sia stata questa la peggiore delle notti che in seguito ella dovrà passare. Deutz intanto è già lontano: egli porta con sè la metà di una carta da giuoco che la Duchessa gli ha dato percin ogni momento possa servire cosegno di riconoscimento. Sarà quesmezza carta che servirà poi a Deu,Tper entrare a Nantes nella casa delesignorine du Guiny e così abbando- Cnare la Duchessa nelle mani del com- n-,:„„;„ t_i„ r>„«i „; n„,,t, u- nmissano Joly. Quel giorno Deutz ha|crsamgià venduto Maria Carolina per mez zo milione a Thiers: la sorte della piccola folle duchessa dal cuore di scugnizza pieno di grandi sogni è segnata. L'uomo che ella ha ritrovato a Massa l'ha perduta; ma non tanto lui forse quanto la sua buona fede, la sua nativa ingenuità... Così si compie l'avventura iniziata all'ombra di queste Alpi ; e certo nel lugubre sogno del castello di Brunsee, la piccola città ridente sul mare sarà apparsa spesso a «Carolina vecchia». Povera donna, essa non ha più nulla di regale. Chateaubriand visitandola non la sa trovare ormai che « extrèmement dròle» nella sua veste di tela grigiastra, stretta alla vita, e quella specie di cappellaccio che non sai se da vedova, da ragazzo, o da collegiale in penitenza. E' quasi cieca e non riesce a distinguere nemmeno le fotografìe delle persone che avevano fatto parte della sua Casa, raccolte in un album consumato. Le sue dita cercano invano di riconoscere i volti che le furono cari. Ma forse in quell'ombre corruscano come lame al sole le onde del Tirreno. Guido Cantini. ctèmrzpneclmranntdsMtzsrcinfqWmns