La lotta contro la schiavi

La lotta contro la schiavi La lotta contro la schiavi Una pagina dolorosa - A che punto si trova il mondo civile? - Dalla «tratta» al «peonaggio» Servitù della gleba - Sfruttamento del lavoro femminile e infantile in Cina - Servitù femminile e poligamia nei paesi musulmani -- Due anni di studi - Opposizioni che non fanno onore GINEVRA, agosto. Le decisioni dell'ultima sessione della Conferenza internazionale del Lavoro, a Ginevra, meritano di essere considerate con una particolare, e, vorremmo dire, con una cordiale attenzione. Un problema della più alta importanza umana, più che sociale e politica, vj è stato dibattuto; un problema che si riannoda a uuello vasto e pietoso della lotta contro la schiavitù. Quando si parla di schiavitù, il profano va col pensiero alla classica tratta dei negri. Egli sa che contro questa l'Europa combatte da un secolo una lotta, che torna certamente a suo ono re, e che è riuscita a ridurla in proporzioni relativamente minime, in zone circoscritte e ben determinate (Tibet, Nepal, Cufra, Sudan, Abissinia, ecc.), ai margini delle quali l'opera assidua ed energica delle nazioni civili guadagna terreno. E aillora, se questa piaga, se questa vergogna della schiavitù sta per scomparire, di che cosa allarmarsi? C'è da allarmarsi precisamente di un facile confidente ottimismo. L'Europa ha ottenuto un grande e meritorio successo nel ricacciare in poche tane la forma più vistosa e tradizionale di schiavitù, quella che da bambini abbiamo imparato a conoscere nelle pagine della Capanna delio zio Tom o di Bug largai. Ma se si considera con attenzione il fenomeno nel suo complesso, non si potrà a meno di riconoscerne le radici prettamente economiche. Come tutti i fenomeni economici, il sistema dello sfruttamento deW'uomo si trasforma in mille modi, si adatta alile modificate condizioni di vita sociale, si nasconde sotto apparenze legittimo ed innocue; ma nel fondo resta lo stesso. Un meccanismo feroce Messo in fuga il vecchio fantasma della odiosa « tratta », la schiavitù sussiste purtroppo in parecchi paesi di Asia, Africa, ed anche in America, sotto le forme più strane e capziose. E' caratteristica e pietosa una specie di schiavitù contrattuale, che prende, per suprema ironia, questa forma giuridica. Trattasi di quella forma di servitù conosciuta sotto la denominazione messicana di peonaggio (peone era chiamato lo schiavo messicano). 11 caratteristico di questa forma di servaggio è il suo odioso intrecciarsi con l'usura più schiacciante e inumana. Ecco in brevi termini come funziona tale feroce meccanismo nei paesi dove è più diffuso e accettato come cosa legittima (in India, in Birmania, in Indocina, in alcuni paesi dell'America del Sud). Un grande latifondista dà in affitto una terra al peone, che è poverissimo. Allora il proprietario gli dà anche una somma in prestito, per metterlo in grado di installarsi, comperare bestiame, sementi, iniziare i lavori. Ma per 11 saldo di questo debito contratto dall'agricoltore s'impone non un determinato interesse — che, anche se elevato, sarebbe ancora cosa meno gravosa — ma una quantità di prodotti In natura superiore al rapporto tra 11 rendimento del fondo e la capacità economica dei fittavolo. Si tratta, in realtà, di un debito stabilito premeditatamente in maniera che diventi inestinguibile. M proprietario, allora, finge di accontentarsi di una trasformazione del pagamento. Poiché l'agricoltore non può soddisfare il debito con prodotti, secondo gli obblighi contratuali, pagherà con giornate di lavoro. Si comprende tutta l'insidia di questa falsa concessione. Si cambia completamente il rapporto fra i contraeni: non più proprietario e Attuarlo, ma padrone e servo della gleba. Alla morte dello sciagurato, fi debito passa implacabile sulla vedova e i figli! In molte regioni dell'India centrale si sono riscontrate servitù di questo genere che duravano da ben tre generazoni. Uomini, donne, fanciulli di interi villeggi, schiavi di una sola famiglia. Nel solo distretto di Palaman si sono contati 60 mila di tali servi della gleba. In vari gruppi della popolazione 1 due terzi hanno perduto la libertà. Nei rapporti dei missionari si trovano citati casi oltremodo impressionani. Un tale, nella sua gioventù, per poter onorare il padre defunto, ebbe in prestito una data somma, con l'obbligo di arare la terra del creditore per renta anni. Sinora non ha rimborsao nè capitali nè interessi in contanti. Un altro, sei anni or sono, prese a prestito 40 rupie (L. 360). Nel breve giro di pochi anni, non avendo potuto avorare, l'ammontare del debito sali a 400 rupie (L. 3600). La donne elntsi Un'altra forma di schiavitù è data dallo sfruttamento bestiale delle donne e dei fanciulli. Questo fenomeno ristissimo assume aspetti soprattutto mpressionanti in Cina — che, pure, è uno degli Star, che fanno parte della Società delle Nazioni. Riportiamo alcuni dati da un rapporto molto particolareggiato su le condizioni del lavoro in Cina apparso nella lìevue Internationale du Travail (dicembre 1924). Ecco quello che trovò una Commissione, che ispezionò il distretto di Sciancai: Nelle filande ai cotone si trovano fanciulli di appena sei anni o sette, e e madri son i deputate a invigilarli. Nelle filande di seta si trovano quasi solamente donne e fanciulle in numero doppio delle adulte. La giornata è di 12 ore: 6 al mattino e 6 la sera... La più parte ha un aspetto pietoso. Nelle fabbriche di fiammiferi vi sono fanciulli da 5 a 10 anni, il cui salario è di 9 centesimi di rame al giorno. I membri della Commissione hanno visitato qualche fabbrica, e non vi hanno trovato alcuna difesa per proteggere l'operaio dai facili accideni. Sul servizio dei domestici la stes sa relazione descrive abusi assai più gravi. « E' d'uso comune comprare e mpiegare come domestiche delle fanciulle, che cominciano a lavorate, non appena ne hanno la forza fisica. Que sta pratica diffusa in tutto il paese porge occasione a gravi inconvenienti Un gran numero di fanciulle schiave ono adoperate in case equivoche e pinte alla prostituzione. Questo com mercio di fanciulle espressamente vie ato dalla legge, non è punto impedì o dalle autorità ». A Tien-Tsin le condizioni non sono diverse. Nelle grandi fabbriche il lavoro s. compie da squadre di 12 ore. In certe abbriche di fiammiferi si lavora dal e 4 del mattino alle 8 di sera, non esclusi i fanciulli. E' caso raro la sospensione del lavoro la domenica e e condizioni di salubrità sono tali che la tubercolosi raggiunge perfino a percentuale del 70 per cento 1 In un'altra relazione del signor Henry (nella medesima Rivista, gen naio 1927i questi osserva che ciò che fa più impressione in Cina si è il fatto che dei fanciulli da sei a sette anni siano costretti a lavorare di notte. « Non vi e spettacolo più rattrl«tante di quello delle donne e dei fan ciulli. che escono dalle officine dopo 2 o 13 ore di lavoro notturno. Ci si diceva da un signore che nelle sue mattutine passeggiate a cavallo schivava) certe strade, perchè i fanciulli .m1 smqgpfpndlfivmcgchtnrmbpptDmlnprgfidanppdmpdcbcrcesdnsnAniemlctLezrcQsqmtcmghldcmcfelmdvcangicalvuzmdnsnmgctptàcnbpltndeptrscpecotssmccvpCfatccUgslqctcmcmpl3cpmprNfnvmplcgisqb1vsrto e . a a a e e e o . e a e o r e i .mezzo addormentati non avevano la 1 forza di scostarsi per lasciarlo passare ». Poligamia e concubinato Un altro stato di servaggio, non molto differente dalla schiavitù, è quello delle donne costrette alla poligamia o al concubinato in alcuni paesi musulmani. Su questo pietoso fenomeno sociale ci sono numerose e particolareggiate relazioni di missionari, la sostanza delle quali è riprodotta negli Atti del IV Congresso della Società Antischiavista italiana. Le figliuole, in età anche tenera, vengono vendute, adottate, date in pegno. « Lo conseguenze sociali — scrive mons. Beaupin — d'un tale stato di cose sono assai disastrose. La poligamia, infatti, in certe contrade africane, in cui alcuni grandi proprietari hanno in loro dominio parecchie centinaia di donne per ciascuno, condanna al celibato forzato un gran numero di uomini, in una parte del Camerum. di cui un missionario ci ha bene informati, il 60 per cento della popolazione maschile, a causa della poligamia, è messa nella impossibilità di fondare una famiglia normale. Di più la poligamia è una causa permanente ed influentissima di denatalità. Le mogli dei grandi poligami o non hanno figliuoli o ne hanno assai pochi. Nel Camerum, in un dato territorio, si son potuti contare 92 figliuoli per 120 famiglie; altrove 35figliuoli per 39S donne. Ecco alcuni dei frutti di morte, che in Africa e altrove producono le libertà matrimoniali concesse dall'Islam e dai culti pagani feticisti ed animisti ». Il lavoro forzato degli Indigeni Resta ancora da esaminare il lato più grave e forse più fosco di questo doloroso problema. Abbiamo visto forme di schiavitù o semi-schiavitù in popolazioni o affatto incivili o molto distanti dalla nostra civiltà, dai nostri costumi, dalla nostra legislazione. Ma bisogna avere il coraggio di confessare che ila piaga delle semi-schiavitù si riscontra tuttora in paesi soggetti a colonizzazione od a mandato di Stati europei, i quali o non sono riusciti a sradicarla, o, peggio ancora, si sono dimostrati poco solleciti, o per lo meno molto fiacchi, nel reprimerla. Questa forma di schiavitù nelle colonie e nei mandati europei (quasi sempre in Africa) si distingue sotto la.denominazione di lavoro forzato imposto agli indigeni Come si verifica questo fatto e in che cosa consiste la responsabilità morale dei bianchi? Alcune delle colonie, di cui parliamo, per gli speciali prodotti che offrono, sono diventati centri di sfruttamento industriale. Le condizioni climatiche e ragioni economiche non permettono l'importazione di mano d'opera bianca. Ci si rivolge quinri* ^na mano d'opera di colore, del paese o delle vicinanze. Questo, che da profani potrebbe considerarsi come la cosa più normale di questo mondo, in pratica presenta numerose difficoltà. Non è il caso di entrare in particolari; basterà spiegare che tutte le varie difficoltà si assommano nella seguente ragione di ordine generane: che quelle popolazioni non hanno raggiunto quel grado di sviluppo, per cui possano sentirsi attratte da forme di lavoro industriale e concepire il modo di ricavare da esso maggiore profitto che dal lavoro agricolo o dagli scambi — attività più confacenti alle loro tradizioni famigliari ed alle loro attitudini, sia pure alla loro congenita pigrizia di uomini primitivi. Bisognerebbe trovare il modo di interessarli volontariamente al nuovo genere di lavoro. Ma, si capisce, ciò richiede tempo e pazienza e... gli affari sono gli altari. Allora, cosa fanno gli agenti poco scrupolosi delle grandi Compagnie industriali? Fanno, in forme ancora più spiccie, quello che facevano i famigerati reclutatori al tempo degli eserciti assoldati.. Con le lusinghe o con la forza fanno delle vere e proprie requisizioni di carne umana e poi consegnano questi disgraziati attruppamenti nelle mani ancor meno scrupolose di brutali capi squadra, che li sfruttano senza pietà. I casi più gravi si sono verificati nel bacino del Congo e dell'Ubatigli!, soprattutto nella zona di colonizzazione francese, che è praticamente nelle mani della Compagnia forestiera Sangha-Ubanghi, per io sfruttamento del caucciù. Anche qui abbiamo documenti molto impressionanti. C'è un rapporto di una Commissione della Società delle Nazioni, nel quale si ammette che. mentre nessuna legislazione riconosce l'obbligatorietà di dati lavori a beneficio di date imprese o persone private, ciò non pertanto « sovente, l'autorità interviene nell'anruolamento della mano d'opera indigena destinata ad imprese private, per «mezzo d'una certa pressione morale». A spiegare più chiaramente la frase eufemistica di « pressione morale » sopravvenne poco dopo il celebre scrittore francese André Gide, il quale, al ritorno da un suo viaggio in Africa, scrisse un libro, Voyage au Congo, che, un paio d'anni fa, suscitò impressione e discussioni vivacissime, in esso erano citati casi di sevizie, incendi, stragi, per costringere al lavoro obbligatorio ed era riportalo il seguente giudizio di un indigeno : « La causa di lutto ciò è la Compagnia Forestiera Sangha-Oubanghi, che col suo monopolio di caucciù e con la complicità dell'amministrazione locale, riduce tutti gli indigeni ad una dura schiavitù. Tutti i villaggi sono violentati per portare caucciù e manioc per la C.F.S.O., il primo al prezzo di un franco al chilo, e l'altro ad un franco ad ogni cesto di 10 eh ilogrammi; mentre nella colonia di Oubanghi-Chari 11 caucciù è pagato da 10 a 12 franchi iti chilo e il manioc a 2 fr. 50 al cesto. Un indigeno per raccogliere 10 chilogrammi è obbligato a passare un mese alla foresta che dista talora dal villaggio cinque o sei giorni; non ha quindi troppo entusiasmo per una raccolta, che gli assicura una magra retribuzione mensile; egli preferisce occuparsi della raccolta di noci di palma, assai meno faticosa, e pagata, a causa della concorrenza (non essendo monopolio della C.F.S.O.), a maggior prezzo. Pur tornando ogni sera al villaggio può, un indigeno, raccogliere 30 chilogrammi al mese di merce ». Quesiti al Governi Su questo campo, dunque, siamo ancora molto indietro noi stessi, che apparteniamo alle più evolute civiltà del mondo. E' doloroso constatarlo ; ma e pure doveroso riconoscere le benemerenze acquistate dalla società delln Nazioni e dalia sua emanazione, l'Ut flcio internazionale del Lavoro, di Ginevra, nell'opera umanitaria di solle vamento dell, condizioni materiali e morali degli indigeni delle colonie. La prima iniziativa va riconosciuta a lord Cecil, un tipo di missionario lai co, come ne danno, talora, i paesi au glosassoni. Fu lui, che, fondandosi su i dolorosi rapporti, eli» abbiamo scorsi negli appunti precedenti, posò la questione in pieno davanti all'assemblea della Società delle Nazioni, nel 1926. Era allori in discussione la convenzione sulla soppressione della schiavitù Lord Cecil, giungendo co raggiosament? al centro dell'argomen to e vincendo certe spiegabili ritrosie o ipocrisie intemazionali, cavò ^e con¬ a n è o e e o e i i a a a o 5. i o n o i a e a à o a r seguenze dei documenti, che erano davanti agli ocelli dell'Assemblea, alleniiarido che il cosidelto u lavoro forzato » non ora altro che una forma appena palliata di schiavitù e che se quello non era vietato In forme esplicite e lesali non si sarebbe mai potuto dire di avere raggiunto l'alto fine umanitario, al quale si tendeva. Le dichiarazioni di lord Cecil, sia per la forza dei fatti, ai quali si appoggiavano, sia per la grande autorità di chi le diceva, fecero grande impressione e determinarono l'Assemblea a deferire tutta la delicata materia all'Ufficio internazionale del Lavoro. Le conclusioni alle quali questo è pervenuto dopo due anni di inchieste, studi e controlli, sono la dimostrazione analitica di quello, a cui lord Cecil era pervenuto in base ai primi accertamenti. Era venuto il tempo di passare alle hKSK?1!? prati.che- m che modo impedire il perpetuarsi della barbara tA,"Za rtel !?voro fo>™to, o. almeno, trovare una forma seria di sorveglian- Invnrnref?r* 1 P/'"11 Pili;si l'™cìo dei narin ni m,Ma,Ìen",° ad UT1 HUPstioSSJxiJ" "H?'^ dovranno impegnarsi a rispondere tutti i governi che hanno che°T^mnM- »el Questionario" ??.itfaL*at0 .^Provato, appunto, nel^ 7ionata rtpTx0716 fie"'Ufncio internamiJZU-*Z?ro- s°no suggeriti i tati"Llvvmi- <" sorveglianza escogl- n Ci? step5°- si batterebbe. in sostanza, di creare una Comrr,i<win ne internazionale di control?™™ 1 u". nelle cln«i „n^mai /?nza obiezioni NeI BSSSlii°?S2Je,-deJ civili. Le cosidelfe « pressioni morali » gta\e agli interessi delle società V oh ■ 'J ~ circostanza non r nrecisamente da una certa |tam.™ francese, notoriamente legati a grandi interessi industriali A stata sferrata, recentemente, un'o fènsiva n Gnnevraege0la.ne0mr0 " bonario d" fimri-m e' ìn senere, contro l criteri dell bfficio del Lavoro — poi In sostanza, della stessa Società d'elle \2memaliChe dette le «'^ivefondt n,Fh",cre2e"te .a"acco del Journal des nVr.™ è, Particolarmente grave per le affermazioni contenute e per un senso ?rnTo°Hd1,vera. e Propria rivolta con- tennt. etro,0rli,,<1i Glnevra' Vi è contenuta, tra l'altro, questa edificante ffftavn^"?' c',e- nel questionario «li lavoro forzato è definito in termi- InAW' che,sl trova ad essere interdetta la pressione mollo natura- %!;>Jn£T?lmenle moUo legittima eserROVernatorl e dai funzionari Per togliere le.-'-popolazioni indigene dalla loro congenita inerzia e spinger e verso metodi di cultura più pro- nn w„ ? , adatti uaIla esportazione. Guanto al lavoro obbligatorio per causa di forza maggiore, esso è assoggettato a tante restrizioni, che diventa appena praticabile». I nostri lettori, che hanno appreso che le pressioni morali tanto « naturali » e « legittime », permesse o addirittura esercitate — lo conferma ora senza scrupoli lo scrittore dei Débats — da funzionari subalterni e da governatori, consistono nel fare scorrerie nelle tribù, separare 1 membri delle famiglie, incendiarne le abitazioni e le suppellettili, non hanno bisogno di altri lunghi discorsi per comprendere tutta l'odiosa verità. Per l'onore della nostra civiltà noi ci auguriamo fervidamente che, in Francia, come altrove, questi uomini non costituiscano che ristretti egoistici aggruppamenti, che saranno vinti, malgrado il loro subdolo potere, da una idea superiore di umanità cristiana. zpddagbd17sndPndrdsèsndI tlgtdgccNtidlnnvstdrqdmzcdqeznssduntdrrddlgbllltdgpAaIpsdgcsidcscdcppvmdaaicaisp

Persone citate: André Gide, Lord Cecil, Pili