Tarragona d'oro

Tarragona d'oro Poliedro spagnolo Tarragona d'oro TARRAGONA, giugno. Due cose mi stupiscono appena arrivato; il color d'oro della pietra di Tarragona che avvampa di ritiessi caldi la facciata della cattedrale al sommo della collina. Entrato in chie6i una voce imperiosa tra due accordi d'organo: — C'araru ha cosso ti fa pampaiugoì Vamos a ver si el motor elèttrico marcha... E la roce intimidita di un ragazzo che risponde dalla cantoria a quella voce d'uomo: — Quien sabef — V'arila, mira l'inierutor... Ho la improvvisa rivelazione delle parentele che uniscono il dialetto veneziano e la lingua spagnola; poi mi accorgo che lassù, al di sopra dei santi e dei crocifissi presso le cime argentee dell'organo, si parla schiettamente veneto. Il sacrestano vorrebbe mostrarmi il retablo di Santa Tecla, la tomba di Jaime il Conquistatore, il chiostro: senza ascoltarlo gli chiedo chi aia l'energumeno che lancia così imperiose parole. — Es un italiano. — Un italiano) — Si teilor: el que fdòrica lot orffonot. — Vai a chiamarlo — gli grido — fen ttguida. Presto. Digli che sono anch'io italiano e ohe desidero co posoerlo. Scende dalla scaletta dell'organo e ti avanza saltellando verso me, un uomo nervoso e tarchiato, dai capelli brizzolati e dal viso adusto e magro. Si scusa, col gesto, d'esser in manica di camicia, alza gli occhiali sulla jfronte per vedermi da presso, libera dalle lenti uno sguardo chiaro e indiligente. — Permette? Silvio Puccini (pronuncia alla veneta Pucini) de Padova, organista. — Organista I — Fabbricante d'organi, per ser yirla. — Qui! Come mai? Da quanti toni! Si curva verso me perchè non ode : la tempesta dell'organo suonato a distesa impedisce il nostro dialogo Puccini fa un gesto al prete che siede alla tastiera: la fuga si smorza in un accordo e gli echi si perdono. Gli rinnovo la mia domanda — Qui in Spagna — mi dice — da dieci anni ; non a Tarragona. Ho una piccola fabbrica a Colbato, in Catalogna. Perchè son finito qui? Stia a sentire. Nonni bisnonni tutti costruttori d'organi: hanno dato la voce a tante chiese ! Soltanto a Venezia dieci e, chiese importanti! Gli Scalzi, San Simeon Grande, La Sa Iute ! Io appresi il mestiere da mio padre e «debuttai i con un organo elettrico all'Esposizione di Como. In one anno! Quien sabef — dice imitando il suo garzone. — Molti anni fa Poi a Milano, direttore di una fabbri ca d'organi : Mascioni, o qualcosa di simile. Lei è di Milano? Si ricordi di me quando va ad ascoltar la messa Icantata in Duomo o a San Babila. i tqptbmncatcnvmrLrdHfbtapsrdctHo dovuto curarli con le mie mani quei vecchioni d'istrumenti. Se ne ho costruiti molti? Dieci, undici, l'anno e ho cominciato vent'anni; e l'anta l'ho aperta da un po'. Pensi lei che figliolanza. Quanti putii/ Camminiamo su e giù per la navata centrale- ogni tanto una fontana di note zampilla scroscia contro i vetri. Mi fa un cenno del capo. — Lassemo che i se diverta! E riprende. — Poi la, guerra. La guerra ohe interrompe tutto. Altro che organi, cannoni. L'anno dell'armistizio mi trovavo ad aggiustare un armonium in una chiesetta di frati vicino a Genova. Aspetti, le dico il luogo: a Lido d'Albaro. L'abate mitrato del Montserrat, una notte sosta a dormire in convento. Mi vede lavorare, quel sant'uomo, e mi dice «Perchè non verresti al Montserrat a costruire un organo nella chiesa della Vergine ? ». « Padre, se fossi solo verrei; ma ho famiglia». «S'intende vieni lassù con tutta la famiglia. Lo dice anche il Vangelo: Quos Deus coniunxit homo non separet*. Vado al Montserrat : vi sto un anno e mezzo : c'è stato lei? L'ha visto) Ha udito cantare i bambini dell'Escolanìaf II piccolo organo che li accompagna ai piedi della Vergine è il mio... Parla un po' vene^>, un po' spagnolo, un po' catalano : senza gesti, strizzando gli occhi se l'organista stona; sempre sorridendo, felice di descrivermi il suo lavoro. — E in Spagna? — gli chiedo. — Trovo i capitali, fondo una fabbrica, una fabbrichetta : mica la Fiat o la Pirelli: in pochi anni divento muy afamado, molto famoso, come dicono qui. Sorride, mi presenta il garzone che l'ha raggiunto e gli ha portato la giacca : un ragazzo bellissimo, bruno, con una faccia' pallida e sensuale di santo guerriero. Lo licenzia con una strizzatola d'occhi. Vai vai a giocar alla pelota — poi si volge a me — E' un bravo ragazzo; ma il dialetto veneziano non 10 capisce, no lo entiende. Ne abbiamo aggiustati organi vecchi anche qui. E organi nuovi? Ostrega! Ho lavorato nella cripta della Sagrada Familia a Barcellona poi qui a Tarragona e a Lloret-del-mar e a Vedrell per ordine di Fabio Casals, 11 maestro di musica, che vuol regalare un organo nuovo, elettrico, al suo paese nativo. Non sono gli organi che mancano. Ma ci fosse un organista comò Bossi! L'ha conosciuto? Quello era un tiol Ma che tipo, un angelo! Bastava che mettesse le mani sulla tastiera si andava in Paradiso o all'Inferno con lui... «Lei è nuovo di Tarragona? Non ha ancora visitato la cattedrale? Que Ultima! Che peccato! Venga venga con me t. E' nell'insieme, un'architettura di cignali si abbeverano, uno scemo grottesco si torce in una danza bi slacca, un negro s'affatica a montar ransizione: come un sesto acuto al quale sian mancate le ali per volare più alto. Tre civiltà e tre architeture si innestano in una sola fabbrica, ognuna ha lasciato un sedimento. Sulle mura di un'aTce romaa nette di blocchi incastrati a seco si appoggiano le fondamenta e le absidi romaniche con gli archi a tuto sesto, imitazioni dei monumenti onsolari e imperiali in disfacimento ella città. Su queste le audacie nuoe del gotico che fioriscono da ultimo in policromie e in decorazioni baocche, plateresche e ciurrigueresche. Le stesse interpolazioni gli stessi annodamenti ovunque. Un sarcofago omano scalpellato dorato ricoperto di stemmi diviene un sepolcro di Hidalgo. Gli architravi con scolpiti i regi .d'ovuli e di bucranii sono la base degli archi scolpiti a grifi. Solanto il color fulvo e dorato fonde e armonizza l'una accanto all'altra le pietre uscite da diverse botteghe e calpellate da diverse mani. E l'inerno della cattedrale col suo fulgoe d'oro confluisce, simile a un'ondata di luce, contro il retablo che hiude la navata centrale. La leggerezza gotica della architettura che lo ripartisce con aeree guglie fa risai tare le figure umane: al centro la Vergine col bambino Gesù di un rusto pisano, ai lati San Paolo e Santa Tecla, delicata biondina che regge nelle mani un libro e la palma del martirio. La policromia è ottenuta principalmente con le dorature, con smalti azzurri, attraverso i quali traspare la lucentezza levigata del'alabastro. Così le scene in cui si svolge la vita ' della Santa fino al martirio oscillano in una luce di « passato » secondo -"Che i colori si attenuano osi rafforzano. Il tempo è su quest'opera come un mare più e meno profondo attraverso il quale traspaiono anemoni, madreperle, coralli senza fine immobili. Nel chiostro il colore della pietra è tanto più racceso di fronte al verde freddo dei cipressi e delle palme che oscillano attorno al bacino della fontana. Leggere foglie, sottili luci, pendono dal cielo col tubare delle colombe e il rintoccare delle campane. Le rozze sculture trecentesche dei capitelli e degli archi, svariano nella penombra mobilissima ; una appare l'altra si eclissa come immagini di un messale sfogliato dal vento. — Vardelo vardelo! — mi dice nel suo linguaggio casalingo il Maestro degli organi — la processione dei topi ! Sono due scenette di favola scolpite su un capitello; i topi che si avviano in corteo recando a spalla il gatto che si finge morto, poi il gatto che si risveglia e divora i suoi becchini. Le bizzarrie si moltiplicano : una testa mostruosa ride per tre bocche, un gigante si caccia le dita tra i denti e mostra la lingua, due dragoni addentano una rana, due updaimlalactrtoddchrnpcotfnnlasirdqitWstebsgfdscdmsul dorso di due cammelli. Scene dal vero o fantasie portate qui e scolpite da artigiani medioevali esuli d'Italia o di Francia, collezionisti di immagini e di favole raccolte sui margini delle strade e dei porti. E per ascoltare più lontane voci, per interrogare mille anni indietro da questi scultori trecentesshi, altri misteri della vita e della morte andiamo alla necropoli cristiana dissepolta in questi giorni attorno agli scavi per la nuova fabbrica dei tabacchi. L'immenso edificio che ospiterà un migliaio di modernissime « Carmen 1 attorno alle macchine venute dalla Germania e dall'Amen ca non è stato inaugurato; ma aper to è il giardino dove le pie mani e intelligenti di un sacerdote hanno ordinato all'aria aperta le reliquie rimaste quasi venti secoli al buio. Questa necropoli sta tra il primo e il quarto secolo. Una profusione di fiori è stata piantata, alzata in pergole, disposta in ghirlande da un campo all'altro. Rose glicine gigli si sfogliano sulle lapidi corrose su gli orci di creta che contengono le ceneri dei primi cristiani, sulle sepolture pagane a mosaico, sui sarcofaghi scolpiti che si screziano di petali caduti, sulle anfore che racchiudono gli scheletri. Una piramide di settecento teschi porta la sola parola funebre in mezzo a quelle rassegnate che si decifrano sulle iscrizioni « O tu bambina dolce e ubbidiente ! Riposati, giunta come meritasti al tempio dei santi ». « Qui sta sepolta Neotarista, sacerdotessa di Giove Ammone», « Metopius Hic quiescit», « Ampelio riposa in pace », « Procaria visse in pace 25 anni ». Tutta la città tradisce la sua origine: l'ossatura romana che la fece per secoli terribile e potente traspare ad ogni colpo di piccone o di aratro. L'esistenza leggera e provvisoria della città provinciale d'oggi, capitale di buone frutta di tabacchi e di liquori, non pub far dimenticare l'antica, ferrigna residenza di con' soli di pretori ch'ebbero nome Scipione, Ottaviano Augusto, Galba. Tutta la dura epopea di squadrate pietre che appaiono quasi ad ogni via, nelle fondamenta d'ogni palazzo si consolida poi nelle mura che chiudono la città verso nord. Esco dnntpvvtlanfRmpdtdrccdvppdngnndtrClplfilpsrqlmmi nr i. .lper la porta del Rosario col Maestro'Ldivenuto taciturno.'Kdegli organi L'arco è così basso che un centurione per passarvi a cavallo dovrebbe chinare il capo. E subito, al di là, le grandi masse scalano la collina penetrando con diritte prospettive geometriche nello spazio e nel tempo. Svettano alle loro. plumbee basi le malve le gramigne' le cicute fiorite : i grilli ingannati dal velato sole formano un tessuto di leggeri e traspa renti suoni dal quale balzano verti- cali e a piombo i blocchi dell'antico silenzio. La porta del Rosario ha proporzioni umane: ma le muraglie hanno le spalle dei giganti pelasgi che primi le fondarono: incombono sulla strada umile e polverosa che si allontana verso i campi, proiettano un trapezio d'ombra sui greggi di pecore che fiottano come leggere onde alla loro base. Dove la patina dorata della pietra ai scrosta appaiono i blocchi d'una materia grigia che muore nel fulvo: a sensazione della robustezza e del la forza deriva dalla compatta e opaca fusione delle masse una con l'altra. A malapena tra le fessure sgretolate riescono a filtrare foglie e fiori di capperi e di cinerarie con gemiti d'acque. Seguiamo le mura per qualche chilometro; ma la loro monotonia si ripete, tanto da farle parer interminabili. Spigoli allineati su spigoli pressioni contro pressioni come nel congegno di una macchina. Volontà imperiose alzate su volontà imperiose, dominii sopra domini!: fatiche gementi di schiavi e di argani aggiunte ad altre tensioni di schiene e di cavi. Fin che basti: fin che la minaccia si allontani. Quasi non si distinguono le diverse costruzioni. Lsmnppgsbpgctsi La forza non ha stile e non conosce stonature. La forza è forza. L'architetto militare è come l'armaiolo che lega l'antica lama all'elsa nuova purché ferisca, che rinsalda la piastra d'oggi alla corazza di ieri purché protegga. Su qualche poligono della muraglia la bizzarria o la pena di uno scalpellino ha tracciato un indecifrabile segno. Grido d'umanità che rompe l'impassibile notte della pietra e giunge fino a noi ! Un vecchio che conduce a passeggio un bambino si arresta, vuol darci alcune spiegazioni illustrarci l'infamia del maresciallo francese Souchet che prima di ritirarsi dalla città ne minò le mura. Con un braccio disteso ci indica il segno di quelle devastazioni, crolla il capo raccoglie la sua malinconia nel proverbio della sua saggezza: Roma, Roma, los locos (i pazzi) doma y a los euerdos (i vigliacchi) no verdona! t Dietro le sue parole la campagna s'abbuia; il Maestro degli organi scopre un'armonia di fuga dove la luce si ritira dagli aranceti e dagli uliveti: il bambino tende le mani al cielo come volesse acchiappare le rondini che picchiano a motore spento. Raffaele Calzini.