Caccia al lupo

Caccia al lupo Caccia al lupo Da più di una settimana si par- Java attorno ai focolari e nel caldo delle stallo della venuta dei lupi. Di notte, i bianchi mastini, col collare irto di punte d'acciaio, abbaiavano inferociti dietro le porte; di giorno, fiutando l'aria, emettevano lunghi ùluli, acculati al margine dei campi e nelle strade. Poi correvano sulla neve, raspando e affondandovi il muso, e guardavano i padroni che tacevano con la pipa in bocca. Nevicava da parecchi giorni, quasi senza sosta: le case sotto la neve parevano ancora più basse : unico segno di vita, il fumo che s'alzava azzurrino dai tetti. Per qualche ora dopo mezzogiorno fiatava un'aria di scirocco, ma la sera, il cielo si chiudeva bigio e tetro, e con la neve che ricominciava a cadere montava la tramontana a gelare il fango per le strade e la neve sugli alberi. La mattina tutto era più bianco; qualcuno, nel timore che le travi cedessero, s'era arrischiato con una pala in mano a salire sui tetti e spalava, nero ometto sul biancore uniforme. Nelle stalle le pecore trituravano la foglia. Il tepore dello stabbio e delle lane conciliava il sonno. I pecorai dormivano sulla paglia ravvolti nel cappotto, o parlavano basso guardando dalla finestrella ingraticciata e polverosa di ragnatele disfatte la luce del giorno che a poco a poco moriva. Ma da tanto che se ne parlava ima notte i lupi andarono veramente a raspare alle porte delle stalle. Da dentro, i cani parevano indemoniati. Ad avere un fucile, e metterlo con la bocca alla gattaiola, c'era da far caccia sicura. Le pecore che sentono il lupo come le galline il falco, s'erano tutte ammassate là in fondo, col muso in su, curiose; e non belavano per paura. I pecorai stavano dietro •le porte col bastone in mano, pronti a tutto, e si guardavano per rassicurarsi, mentre i mastini — ah se li avessero fatti uscire 1 — soffiavano rabbiosi col muso alla gattaiola e alle fessure, i denti fuori, havosi di rabbia. Non riuscivano a darsi pace. Osmi tanto, in qualche pausa, s'udiva l'altro soffio, quello dei lupi, che premevano con le zampe contro la porta e stuzzicavano i cani alla lotta. In qualche stalla, qupsto trambusto durò più d'un'ora; finche venne l'alba e i più mattinieri affacciandosi videro le peste sulla neve che pareva ne fosse passata una carovana Allora qualcuno andò a tirar fuori un vecchio schioppo, lo ripulì ben Y .. A iQ j„„ ibene con lobo lucido le canne don- ltro e fuori, e lo tenne pronto. Molti portarono il loro al fabbro perche lo mettesse in ordine; macerano vec- chie doppiette, cacafochi a una soia canna, con un cane grosso come un dito, col calcio pesante, rabescato ai lati di figure e geroglifici. Si contò che nel paese c'erano non meno di trenta fucili, da una e due canno. Non tutti i padroni avevano un mastino in gamba, da far fronte al- !l'assalto dei lupi, nò le porte delle'stalle erano tutte così sicure da reg- gore sempre a un che c'era stato, e che certamente ai |sarebbe ripetuto. L inverno, di solito lungo, quell'anno con tutta la neve|caduta e l'altra che si preparava a-cadere, sarebbe stato lungo ancora jdi più: a calcoli fatti, non era il caso di pensare a uscire pei campi, con le greggi, prima della fine di febbraio. E s'era appena a pochi giorni dopo la Candelora. La fronda, che le pecore mangiavano già da due mesi, cominciava a scarseggiare; e bisognava stare attenti a non darne troppa. Per questo, e perchè una cacciata ai lupi era cosa da attrarre più d'un padrone, un giorno fu deciso di uscire per la campagna, battere in ogni verso valloni e forre, avvicinarsi al bosco delle Defense che copriva tutta la montagna, e andare così a trovare i nemici in casa loro. Aveva fioccato tutta la notte; ma la mattina, con la tramontana, le nuvole erano state ricacciate ben presto dietro ai monti, e il cielo smagliava. Il sole diede alla campagna subito un aspetto lucente: l'unica cosa ohe aveva un altro colore, giallo e azzurro, era il fiume che si vedeva serpeggiare tra le file alte e spoglie dei pioppi, dai quali, come dagli altri alberi sparsi attorno al paese, cadevano ogni tanto blocchi di neve, ammollita dal poco calore. Era un sole freddo, e tirava una sizza che pungeva le orecchie. Uscirono dal paese in più di venti, tutti con lo schioppo a tracolla. I mastini si rotolavano beati e facevano allegre ruffe sulla neve : qualcuno ogni tanto abbaiava col muso verso la montagna, come per dire: sono lassù Guidava la compagnia uno spilungone nero, magro e con la barba ispida, certo Franco, provetto cacciatore anche nei mesi di caccia proibita. C'era però chi non pareva tanto persuaso di quella sortita, e s'era fatto convincere più por vedere che per sparare. Quando la comitiva si trovò fuori del paese, in uno spiazzo breve su un piccolo poggio, Franco, come un generale tra i soldati, h mandò tutti, chi qua e chi là, soli o a coppia: alcuni dovevano battere la parte che divallava verso il fiume, dove c'erano certe grotte nelle quali non era improbabile che qualche lupo si fosse nascosto, altri dovevano prendere dall'altra parte e, percorsi i campi e le vigne a pie delle colline, piegare a destra e ritrovarsi verso una cert'ora con i primi, per iniziare tutti insieme in ordine sparso, su un fronte di un paio di chilometri e più !a salita verso la montagna. E siccome ognuno aveva con sè una fiaschetta e una specie d; tascapane con cibarie appesa sull'anca, quando fu mezzo- giorno si ritrovarono tutt'insieme, (jal margine del bosco: una radura'jdovo la neve vecchia e nuova s'era jI accumulata e copriva per metà una capanna di boscaiolo. A un tratto, da quella capanna, forse spaventata dalle voci, saltò fuori come una palla grigia una volpe: s'avventò a gran salti verso un valloncello, ina prima che i cacciatori portassero il fucile alla spalla, i mastini le furono sopra da tre o quattro parti e le bloccarono la fuga. In un attimo, la volpe capì che era perduta; saltò netta su un faggio, i cani le furono attorno abbaiando, e si vedeva la sua coda, tra i rami spogli che ancora trattenevano un po' di neve, lunga e mobile, quasi più lunga del corpo smilzo e irrequieto. Poi, rintronò un colpo. Franco l'aveva colpita in testa. Piombò giù e a stento fu sottratta ai mastini. Era magra, pesava poco. In bocca, sotto il muso aguzzo, aveva ancora qualche piuma di volatile. Stesasi sulla neve, la comitiva si rifocillò, e col vino si dipinse in quelle facce aduste e per abitudine silenziose un colore d'allegria. L'avventura, nonostante la serietà con cui s'era avviata, stava per volgere al comico, quando a meno d'un tiro di schioppo, si udì un lungo abbaiare di cani, insolitamente rabbioso Era una zuffa; e non fu difficile distinguere che stavolta si trattava dawero di lupi. Tutti s'alzarono stringendo il fucile, mentre tra lupi e mastini la lotta si svolgeva accanita, con salti, morsi e ringhi sulla neve pesta. Per timore di colpire i cani, nessuno però osava spianare il fucile e lasciar andare il colpo, e tutti guardavano Franco che, avvicinatosi di alcuni passi, mirò sicuro, e sparò. Cani e lupi insieme si sbandarono; ma sulla neve ne restò uno, acculato e ululante. E mentre la zuffa riprendeva più accanita a pochi metri, e i grossi mastini stavano per sopraffare i loro nemici, la bestia che nella neve si lamentava, si rotolò a un tratto due o tre volte, finche un altro colpo di Franco la rese inerte. Era una grossa lupa, di pelame rossiccio e tutto arruffato dal capo alla coda, le mamme pendenti, la bocca sanguinante in un ghigno feroce. In breve, i suoi lupacchiotti azzannati dai mastini ebbero la peggio : uno solo ne scampò e riuscì a rinselvarsi. Gli altri due sulla neve insanguinata rispondevano sfiniti ai morsi dei cani, con un flebile ringhio, finche un cacciatore non li abbattè col calcio del fucile. • Quando giunsero in paese, dove i colpi s'erano' uditi nettamente, tutta la gente era uscita a vedere. Due cacciatori precedevano, e portavano la lupa uccisa legata con le zampe a un lungo bastone; la pancia all'aria, dove si vedevano nude e mencie le mamme, il capo penzolante, \ la còda che scopava la strada. Gli ' altri seguivano coi lupacchiotti sulle spalle, e Franco con la volpe. Anche i mastini trottavano allegri, ridiventati domestici. A un tratto, un uomo che camminava dietro la comitiva, chiamò più coi cenni che con le parole Franco, e indicava giù verso un campo cinto da una fratta divallante verso il fiume. Lungo la fratta, si vedeva una bestia non più grande d'un cagnolo. che zoppicava e pareva spaurita. Tutti si fermarono a guardare. Allora quella sostò, quasi capisse che la vedevano; e si mise a ululare con una lagno pietoso e roco, come se chiedesse pietà. — E' un lupacchiotto, un lupacchiotto! — gridarono molti. — Spara, tira ! —. E già più d'uno aveva messo il fucile in posizione di sparo; ma Franco, con un gesto brusco, li arrestò, e ordinò alla comitiva di proseguire. Intanto il lupacchiotto seguitava, fermo sulla neve, col suo lagno flebile, ignaro del pericolo, come se chiamasse la madre. G. Titta Rosa.