La grande Mostra che si inaugura domani di Marziano Bernardi

La grande Mostra che si inaugura domani Tutto il Settecento italiano a Venezia La grande Mostra che si inaugura domani -(Dal nostr a n i i n a e ri i a n o a i VENEZIA, 18 notte. Ai Giardini questa volta vi consiglio di giungervi in gondola. Perchè se aveva ragione l'altro giorno l'architetto Gio. Ponti dicendomi : « L'Italiano vero è pur sempre quel classico che trova conforme alla sua natura umanistica salire nella carlinga dell'aeroplano col suo bravo Virgilio in tasca», non è men vero che certi giochi della fantasia e dell'arte vogliono, a riuscir perfetti, un meditato e fors'anche ironico ossequio all'estro sporadico della finzione. Gettiamole dunque senza ri morso in Laguna queste venti miserabili lire in omaggio all'Illusione: ch'è femmina nel nome, ha quasi sempre fattezze di donna, e ci ha invitati spesso a ben altre offerte per lasciarci poi soli quando tutta la credevamo nostra. Così, dopo la vogata placida sull'onda verdastra, balzando a terra dalla barchetta galeotta, la messa In scena sarà completa, il pastello avrà l'ultimo tocco. Non conviene talvolta farci r'églsseurs dell'andma nostra? O Pietro Longhi, o Rosalba, aiutateci. Embarquemeni pour Cythère Citerà, verde isola d'amore, è qui, in faccia all'acciaio tremulo dell'acqua stnza posa solcata, sfavillante della più luminosa luce del mondo; nè mai cosi vera e viva fu dato certo di sognarla al dolente pittore di Francia dal tinto sorriso grazioso: ch'egli delle azioni spirituali dal suo secolo era come sempre i contemporanei, proteso nlsta cieco e attore distinto, mentre a noi posteri queste appaiono adesso schiarite di malizia culturale e corrette da un gusto che può farsi giudice E' qui, all'oasi dei Giardini, ricreata per l'incanto d'una improvvisazione geniale che supera col successo magnifico la stessa fiducia che avevamo nei suoi ideatori di ieri, nei suoi esecutori di oggi. Citerà. Perche mai come in questo momento in cui all'aperto or ora ho lasciato 1 padiglioni ancora ferventi d'opere o di voci, e gli occhi son pieni d'una visione che annullava ogni possibile contatto fra il mio presente e quella risuscitata vita) sosto a ricontemplare eternamente giovino di bellezza da S. Giorgio a S. Marco l'immortale scenario veneziano già languido nel meriggio che declina, e ben sento che qui soltanto, in un luogo che s'ostina a esistere fuori del tempo e fuori della realtà, è lecito tentare il segreto di forme ;:he talora foTse apparvero amabile finzione a quegli stes si che le esprimevano — mai come in questo momento, dico, il distico di Baudelaire va'ti sembrato più proprio a definire l'estetica d'un secolo e più armonicamente adatto a commentare, scandite da metro poetico, le tappe spirituali da codesti cent'anni segnate Là, lout n'est qu'ordre et beante, tuxe, calme et volupté. Cosi è, o amica dell'» Invito al viaggio » (« Mon enfant, ma soeur. — Songe à la douccur — Valter la-bas vivre ensemble! »). Pensa un ist ai secoli d'Italia che furono; vedili nella sintesi d'un lampo; battezzali con un nome solo. E se chiamerai il Trecento religione, armonia il Quat trocento, sovranità il Cinquecento, modernità il Seicento e l'Ottocento libertà, quale parola ti rimarrà se non amore per questa arcadia d'acquarellate grazie onde sospirava d'inconfessati struggimenti anche il fiero abate che per difendersene le dileggiava? Ben lo sappiamo, storici ed esteli, saggiatori e critici, che ora sorridete dello stanco cliché: Goldoni e Voltaire Gozzi moralista ed il tonante noiosissimo Alfieri, l'Enciclopedia che scava la fossa alla società fradicia. Casanova, in cui rivivo Cellini e il còrso Cosare, chiudente il ciclo avventuriero, i teutoni che scendendo a riscoprire Roma ed Atene ci recano in dono il primo gelo accademico. David che codifica l'arte con la morale di Bruto. Goya che dall'umile Fuendetodos s'erge a tremendo giudice della viltà e della guerra, e in fondo, tra fumi di sangue e d'incendi, il prima rosso e poi tricolore vessillo della Rivoluzione agitato dai figli della Patria... certo: anche questo è Settecento Ma se persino in Canova sopravvive l'arcade? Ma se il fremito stesso di cui vibrano gli angeli efebici reggenti le urne è ricordo di voluttà? Ma se il Tiepolo della « Salita al Calvario » è tintorettiano soltanto per forza di esempio, mentre mille volte, coi suoi pretesti di decorazioni sontuose e d'adunate di stupendi uomini e di stupende donne, è per ispirilo più vicino a Paolo? Ma se lo stile del secolo, infine, dal madrigale all'invito per ballo, dal melodramma all'ex-Mbris, dal biglietto di visita al ventaglio, dalla portantina alla slitta da ghiacciò, dall'arazzo al quadro di genere dal ritratto al paesaggio, dalla cera mica al vetro, dal broccato di Francia alla cineseria veneta, dal mobile al ninnolo, è dato intero — fatta ec¬ llcctlammcfi r , , ¬ cezione per l'architettura — da quel languore di voluttà senza ardori, da quella passione senza dedizioni, da quel supremo artificio di ciprie e belletti senza scopi di diretta seduzione, che indurrebbero a credere in una co'llettiva saggezza ironica nel considerare l'effimero della vita, in una incredulità completa nel valore dei sentimenti ? Amore o sensualità? Ecco, piuttosto, la parola giusta, e più vicina anche allo spirito del distico baudelairiano. Una sensualità avvolgente e stremante, un non so che di suasivo, di femminilmente stanco e procace insieme, cui invano tenti sottrarti. Perchè contemplando il ritorto piedino d'un di codesti deliziosi stipi intagliati ti senti preso come da un brivido di sazietà amorosa? Perchè alzando gli occhi ad un arazzo di Demignot le figure ti sfumano indifferenti, mentre è da^ tessuto stesso sul quale posarono le mani vive, è dall'accostamento vago dei colori dolcemente pensati che scende il fascino chi ora t'inchioda? Perchè questi quasi goffi bambocci longheschi — cavadenti e cerusici, damine danzanti e cavalieri sospirosi — e le diacce trasparenze del Pannini, e le inespressive formosità dell'Amigonl, e le miniate prospettive del Belletto, t'arrestano con lo stesso potere ipnotico che si sprigiona da quel giovine moro di legno reggente sulle braccia un cuscino tanto che per liberarti e restituirti a te stesso hai da rifugiarti nel dramma d'un Giamliat tista Piazzetta o d'un Francesco Guaidi, possenti anticipi ottocenteschi in pieno- Settecento ? E' la. malia del se colo che tu subisci inconsciamente: nè devi dimenticare che il Settecento fu il secolo della donna sovrana, cioè delle seduzioni squisite, delle promesse Ingannevoli, delle indifferenti stanchezze. Ma erauo forse gli uomini ari cora capaci di soffrire? L'improvvisazione mirabile Se il preambolo è lungo ve ne cliie do scusa. Ma io fumavo guardando lontano i bianchi ricami di Palazzo Ducale, e attendevo il tramonto d'obbligo sulla Salute. Tutto, compresi vaporimi carichi dei bagnanti del Lido, comprese le gondole rade sull'acqua e le nuvole rosa nel cielo, tutto era ancora una volta convenuta irrealtà come a teatro. Il velario era aperto: aspettavo l'ingresso degli attori. E in tanto capivo — lo ripeto — che questa era l'unica cornice possibile per chiù dervi dentro il Settecento italiano. Già; ma come abbiano fatto in poco più di tre mesi Nino Barba-mini, Giulio Lorenzetti e Romolo Bazzoni ad allestire il quadro, resta quasi un prò digio. L'alto patronato della Mostra concesso dal Re, la presidenza d'onore composta dal Principe di Piemonte, dal Principe d'Assia e da Benito Mussolini, i dieci membri del Comitato d'onore, da Turati a Gentile, da Belluzzo a Giuriati, da Volpi a Di Giacomo, i nomi stessi dei principali collaboratori da Gino Damerini a Giuseppe Fiocco, da Gino Fogolari a Federico Herman in, da Roberto Longhi a Matteo Marangoni, da Ettore Modigliani a Guglielmo Pacchioni, da Wart Arslam a Sergio Ortolani, da Hermann Voss a Iginio Supino, portavano sui tre volenterosi dell'inficio direttivo il peso d'una responsabilità gravissima. Non soltanto l'Italia avrebbe giudicato, ma anche l'Europa e l'America, che da Parigi a Budapest, da Dresda a Londra, da Monaco a Vienna, da Berlino a New York, pubbliche gallerie e private collezioni erano siate sollecitate a contribuire al successo d'una Mostra ciie s'apriva — diceva il suo bando — « nell'intento di riaffermare solennemente la grandezza e la originalità dell'arte italiana del secolo XVIII e di riunire in una sintesi di grande ampiezza gli oggetti più caratteristici della vita e del costume del Settecento italiano ». Il mondo intero dunque avrebbe guardato a Venezia. Ma chi s'assunse l'impegno può ora essere soddisfatto, che una rievocazione d'un secolo come quella d'oggi non so se mal sia stata compiuta in Italia, e certo sarà difficile vederne una simile in avvenire. Perchè nelle quaranta sale del padiglione italiano delle Biennali (e l'aspetto oggi n'è irriconoscibile per la deliziosa intonazione dell'ambiente con l'indole dei tesori adunati) non ò soltanto l'arte come espressione astratta di bellezza che sfolgora: è la vita stessa d'un secolo che s'offre in tutte le forme per cui codesta vita si nobilitò — nel fatto quotidiano e nell'apparenza consueta — a manifestazione artistica. Se l'intera esposizione gravita infatti tradizionalmente su la sezione della pittura e della scultura, dai Tiepolo al Batoni, dal Crespi al De Mura, dai Ricci al Solimena, dal Guardi al Ghirlandi, da Pietro Bracci ai fratelli Collino (e dico tradizionalmente perchè credo il Settecento ancor meglio gptdcdgntcddtt o inviato) e o l a o i l o . a n , a n a e ò a e , l i o definito dalla, linea d'un tavolino da rgioco piemontese o napoletano, d'una potente console romana, d'una portantina veneziana, ch3 non dalla pittura d'un Magnasco o d'un Giaquinto), il carattere generale del secolo è dato dalla rievocazione dei vari gusti regionali che nelle loro sfumature, ma nella loro unità, testimoniano dell'ultima vitalità stilistica italiana, prima che questa vitalità andasse a imbastardirsi per tutti gli angoli d'Europa — oggi anche d'America e d'Africa. I contributi Trionfo della Serenissima, trionfo della monarchia sabauda, trionfo di Roma papale: ecco i tre cardini — sale, salotti, un sorrider di grazie, un troneggiar di opulenze, un prodigare di^ sfarzo — della grande Mostra; e intorno intorno, pianeti splendidi di questi soli, Firenze e Genova, Napoli e Milano, Bologna e Perugia, Lucca e Ferrara, voglio dire esemplari stupendi di quanto in fatto di mobili, d'arredi, di stoffe, di ricami, di vesti, di vetri, di porcellane, di maioliche, di libri, di strumenti musicali, di ventagli, miniature, tappezzerie, specchi, d'oggetti infine di lussò e d'uso domestico, dalla carrozza alla portantina, dalla barca alla slitta, produssero nel secolo XVIII le varie terre d'Italia. E tutto ambientato con senso squisito, quasi voluttuoso, d'armonia, d'ordine, di chiarezza, accanto alle grandi raccolte di Doccia e di Capodimonte, accanto al complesso dei disegni e delle incisioni originali (e pensate che il Settecento fu il grande secolo dell'acquaforte), accanto alla sala dell'abbigliamento animata d'un garbato spirito caricaturale, accanto alla stupenda galleria dei pezzi unici, dei mobili perfetti che già nel tempo loro furono modelli di ideazione e di esecuzione. Insomma: una meraviglia. E a comporre questa Meraviglia i contributi sono stati larghissimi. Gallerie pubbliche e private, da Palazzo Pitti a Galleria Corsini, dal Museo San Martino di Napoli alle Pinacoteche di Bologna. Torino. Genova, Pisa, Napoli, Belluno, Vicenza, Bassano, da Brera alle raccolte Guatino, Contini, Principe d'Assia, Borletti, Treccani, Alberimi, Goldschmit. Colonna, Beltrami, Talleyrand. Frua de Angeli, hanno ga-, loggiato nelle offerte. L'estero è presente coi Belletto e i G. B. Tiepolo di Dresda e della collezione Kress di New York, con il Crespi di Budapest, con i Guardi e i Longhi di Berlino e di Monaco, coi Magnasco e i Piazzetta di Parigi e di Vienna, coi disegni d'Antonio Canal, dei due Ricci e di Tiepolo padre dell'Albertina di Vienna; e Venezia poi, come il centro più tipico, più celebrato e fastoso della vita artistica italiano settecentesca, ha fornito l complesso più grandioso, nucleo di inestimabili pregio, di stupenda bellezza. Cosi oltre duccentoscssanta pitture dei due Canaletto, dai due Tiepolo, del due Ricci, dei due Longhi, dei napoletani Solimena, Giaquinto, De Mura, De Caro, dei bolognesi Bigari e Crespi, dei toscani Batoni, Moretti mosaicista Zuccarelli, del piemontese Vittorio Amedeo Cignaroli, del genovese Magnasco, del piacentino Pannina, del romano Bacciarelli, del bergamasco Fra Galgario, dei veneziani e veneti Rosalba Carriera, Francesco Guardi, Jacopo Anilgonl, Luca Carlevaris, Fontebasso, Nicola Grassi, Giambattista Lampi, Michele Marieschi, Giuseppe Zais, Piaz zetta, Pittoni, per non citare che i più noti; e più di trecento disegni di mano del Piranesi e del Bartolozzi, del Vanv iteli i e dello Ziiccarelli, di Pietro Longhi e di Domenico Piota, del Magnasco e del Guardi, del Panni ni e del Diziani, del Balestra e del Canaletto, di Bernardo Bellotto e dei Tiepolo pa dre e figlio; rappresentano ai Giardini, con la scultura, le arti figurative del Settecento italiano Ma l'esempio più alto è senza dubbio venuto dal Principe di Piemonte, che con vera passione di intelligente ama toro, coadiuvato dai direttori e sopraintendenti ai musei e palazzi torinesi Lorenzo Rovere e Augusto Telluccini, CsDrlPpilmfiddssgrtmmento; il Palazzo Reale di Torino ha dato consolcs dorate dai piani ad intarsio, orologi firmati dal Ladatte, portacandele. specchi, sculture del Gaggini e del Bertos, miniature del Ramel11, prodigiosi tavolini e cofani intarsiati del Piffetti, parafuoclii di gusto cine si zzar, te, tappeti della Fabbrica to rinese; altri centocinquanta pezzi han no fornito la già Reale Palazzina di Caccia di Stupinigi, il Museo Civico Palazzo Madama, il R. Convitto delle Vedove e Nubili: e sono ceramiche di Vinovo, Milano, Lodi, Savona, Venezia, Faenza, Este, Pesaro, ecc., intagli di Giuseppe Maria Bonzauigo e del Bavellii, librA rilegati, stampe colorate, il si è fin dall'inizio personalmente inte-ressato alla riuscita della Mostra/ Maioliche, sculture, mobili e dipinti sono usciti dal suo privato apparta ritratto di Carlo Emanuele III della -, i w i i o , o i e l , , a o a o , ù o l , e o e i , Clementi, il noto arazzo dallo stemma sabaudo e la bellissima portantina del Duca di Maddaloni. Lo stile del secolo Cosi, per il tributo- filiale delle varie regioni d'Italia, la visione si completa, la vita si ricrea, lo stile si definisce. Perché quando si dice Settecento — parola che indica un'autentica gloria italiana — conviene anzitutto rifiutare l'ingombrante bagaglio dei luoghi comuni, dimenticare i vecchi termini fino a ieri spregevoli di « barocco » e di « rococò », chiudere tutti i manuali di storia dell'arte come al solito rimasticanti frasi fatte, rinunziare alla assurda posizione di antitesi che i moderni decoratori hanno assunto nei riguardi di quel grande secolo; poi, sgombra la mente di preconcetti, direttamente accostarsi alla creazione tanto dei maestri quanto degli anonimi. L'unità stilistica del secolo, allora, e la dignità di questo stile, si palesano chiaramente. C'è da tener conto, è vero, dette differenze locali, e l'occhio più Inesperto subito nota le sfumatura fra l'esuberante opulenza napoletana, la maestosità romana, la dolcezza fiorentina, la molle grazia lombarda, la leggiadria fiorita veneziana la casta sobrietà piemontese: — tanto di sangue e d'anima l'arte si foggia! C'è ancora da badare a gl'influssi sensibilissimi dilla moda (la « piavola de Franza » era un avvenimento popolare per Venezia) che ingombravano le case patrizie di moretti scolpiti in legno — già allora le dame, prima ancora di Gide, erano malate di negrismo... — e di sciagurate e goffe cineserie, buon bersaglio oggi ai denigratori del Settecento, come domani —'speriamolo — lo saranno le poltrone d'alluminio e divani in tubi d'acciaio d'importazione belga-tedesca. Ma infine, falle queste poche riserve, dov'è' la tanto proclamata decaden za artistica (dico artistica, e non mo rale o politica) del Settecento? Io non riesco a scorgervi, da Utrecht a Campoformio, che una somma di mirabili armonici sforzi per disciplinare l'incomposta violenza della necessaria reazione secentesca; e ancora una volta maledico i Mengs, i Winckelmann, David, gli scavi e (Dio mi perdoni) l'archeologia, la Rivoluzione coi suoi fantocci paludati da Romani, il culto della Grecia e l'idolatria della Rinascita, che ci piombarono in quella disperata Giudecca a fonder la quale oc corsero i primi vent'anni della fiammata romantica, e che ora nuovamente, sissignore ci minaccia con Tesai tazione del cubo, del volume, della linea squadrata e geometrica tolta a prestito dalla ideologia della macchina E tutta codesta armonia di sforzi, appunto perchè unanime, appunto perchè sentita come necessità di ordine di chiarezza, determina la coerenza di spiriti per cui la « Piazza Navona al lagata » del Pannini è un riflesso di quel gusto che accarezza di morbide sinuosità un divano lombardo, intaglia preziosamente uno stipo piemontese, illeggiadrisce di levigati putt una console romana, sagoma dolce mente la bocca d'una porcellana vene ta. Ogni cosa allora si fa grazia, tem peranza, discrezione, eleganza, amoro so sussurro. Gli uomini sono stanch di voci troppo alte, dei chiaroscur impetuosi, delle fragorose violenze già bandite da Bologna e da Roma: vo gllono la penombra, la mezzatinta, la linea riposata, il pallido mistero, quel tanto di preziosismo ch'è il segno in confondibile del signore di razza uno sconfinato anelito di tenerezza si diffonde per l'aria anche a costo di irò nizzarsi nella parodia del madrigale delLa canzonetta, del c cavalier servente ». Non è' fittizio questo, è sincero Se il domani è fosco, non importa: l'essenziale è assaporare fino in fondo questa voluttà divina ch'ò dintorno, creare la bellezza per la bellezza, comporre un'immenso idillio di forme e il colori che durerà eterno. E ciò, a rgro i e i a, i ail r-|sienol.j è veramente italiano, è prò a/ i prio e degno d'un popolo che dell'arte ha fatto per secoli la sua più alta nobile esperienza e pel quale l'arte non è intelligenza o cultura ma umanità d'istinti, gloria del passato, spe ranza dell'avvenire. Per chi ha occhi per vedere, per chi ha cuore per inten dere, il Settecento italiano, da Milano a Napoli, da Torino a Venezia, parla all'anima come una delle più pure espressioni che mai una gente abbia offerto a un ideale di grazia, e invita ancora una volta a esclamare: — Dio grande, quant'è bella l'Italia 1 fa che nessuno, di fuori e di dentro, ce la guasti. Marziano Bernardi.