Fascismo e parlamentarismo di Concetto Pettinato

Fascismo e parlamentarismo Fascismo e parlamentarismo PARIGI, giugno. QuaJe corollario alla Morale della Macchina di Alfonso Séché, di cui mi dicono che in seguito al mio articolo di giorni or sono G. A. Fanelli stia curando la traduzione in italiano, è interessante rilevare le conclusioni cui la crisi del parlamentarismo conduce, nell'ultimo numero delia Reuue de Paris, il conte di Fels, che proprio l'altro ieri, al Cercle Ifitcrallié, riuniva intorno a sè pel solito banchetto annuo indetto nel nome della intraprendente rivista quanto conta di meglio il mondo politico e letterario parigino. Il direttore della Recite de Parts esamina l'evoluzione costituzionale recentissima delle tre Nazioni latine e non esita a mettere in luce il carattere illogico dei pregiudizi che negli ambienti parlamentari trancesi hanno corso contro il regime instauratosi dopo la guerra nelle due grandi penisole mediterranee. Vediamo, anzitutto, l'Italia. 11 fasciamo, nota il di Fels, cominciò con l'essere pei francesi ben pensanti un oggetto di scandalo, come quello che sconvolgeva i sistemi e le teorie a ■riparo, dei quali vegetava la loro classe dirigente. « Parve ai nostri dottori e ad nostri politici più retputatfi una grossa impertinenza che una Nazione sorella piantasse a un tratto le democrazie in marcia verso la stelila dei tempi nuovi per battere strade diverse da quelle segnate dall'evoluzione immanente. Per'tale motivo nessun credito venne accordato a un movimento che ad voffle prendere per un accidente passeggero, dopo del quale le cose non potevano tardare a rientrare nell'ordine. Gli spiriti ponderati non saprebbero persistere in tale atteggiamento di scherno e di sdegno. Agli occhi della politica sperimen'tale,' la quale non sa che farsi dei preconcetti e dei pregiudizi sentimentali, il fascismo ha il valore di un fatto che si precisa e si consolida. Dopo sette anni di vita, esso si insedia solidamente e prende le sue disposizioni per l'avvenire. Nulla sarebbe più stollo dell'assimilarlo, considerandolo con occhi liberali, al regime napoleonico del 1852 e de! predirgli fatalmente gli stessi destini; Il fascismo italiano non è piuttosto, almeno in parte, il prodotto di una evoluzione naturale?». E qui il di Fels illustra brevemente la parentela che unisce il fascismo alle dottrine di Giorgio Sorel, ricordando fra l'altro come il grande dottrinario socialista francese fosse convinto della vocazione speciale degli italiani a precedere gli altri popoli nella applicazione delle sue idee, cosa che potrebbe permetterò di dire che Sorel rivelò all'Italia il suo genio, fascista come Gobineau aveva rivelato alla Germania il suo genio imperialista. Ma gli antecedenti francesi del fascismo non si esauriscono in Sorel, e il direttore della ■Reuue de Paris ritiene giusto citare anche il Durkheim, profeta del corporativismo, sistematicamente attuato per la prima volta in Italia con la creazione del suo nuovo sistema rappresentativo. Che cos'è, in conclusione, il fascismo?, si domanda il di Fels. E', checché ne pensino i vecchioni del social-radicalismo di marca massonica, un amalgama di sindacalismo, di socialismo e di nazionalismo. Nulla sarebbe più insano del velarsi gli occhi come davanti a una abjura ignominiosa al vedere convertiti al fascismo, in misura maggiore o minore, uomini di buona fede reduci dalle illusioni e dalle delusioni dell'ideale comunista. Le profonde aepirazioni di quanti, all'indomani della guerra, vagheggiavano confusamente la razionalizzazione di una società politica ed economica ormai a due dita dal caos, e per il cui riordinamento nulla aveva saputo fare il socialismo logomaco, opportunista e parlamentare dell'anteguerra dovevano fatalmente trovare, prima o poi, nella riforma fascista, la loro sola forma di soddisfazione possibile, l'unico fermento propizio a una cristallizzazione positiva e feconda. Scandalizzarsene, e lapidare o accusare costoro di incoerenza, è il segno di una fondamentale incapacità a liberarsi dall'accademismo superstizioso proprio di tutti gli epigoni, accademismo condannato ad accordare importanza molto maggiore alle formule che non alle realtà. Che importano le etichette quando non muta la qualità?' " I socialisti hanno un bel gettare la scomunica 6ul nuovo regime italiano : il fatto è che una delie pietre angolari di questo regime è data, e 6empre meglio lo sarà, dal sindacalismo ideale socialista, se mai ve ne furono. « I nuovi parlamentari italiani, osserva il di Fels, non rappresentano Roma nè Venezia, né Torino nè la Lombardia, nè le Puglie. L'Assemblea di Montecitorio trae l'influenza che potrà esercitare unicamente dalle associazioni professionali. Quello che il Parlamento sarà e farà, nessuno sa ancora esattamente. Ma bisogna notare che il fascismo sacrifica poco al diritto scritto ed evita gelosamente di rinchiudersi nelle formule bell'e fatte. Esso non è uscito tutto d'un pezzo dal gagliardo cervello di Mussolini. Esso si fa giorno per giorno. E' in perpetuo divenire... La professione organizzata diventa, in ogni modo, in Italia, conformemente all'ideale del Durkheim, l'organo essenziale della vita pubblica ». In quanto al socialismo, il direttore della Retnte de parii non stenta a trovarne esempi luminosi nell'assetto della nuova Italia: « Lo Stato Iasci6ta non indietreggia davanti ad alcuna forma di coazione di interesse generale. Esso determina le colture delle terre, fissa il tasso dei salari, l'ammontare delle pigioni, il prezzo delle merci, regola l'emigrazione, interdice lo sciopero e la serrata, mette una valvola alla ' porta delle professioni, non tollera dissidenze, rivendica il monopolio dell'educazione, governa l'industria... ». Tutto questo farebbe, insomma, del fascismo uno stretto parente del socialismo,. se l'uno e l'altro non fossero violentemente separati dal nazionalismo del primo e dall'internaziolismo del secondo. «L'ardente devozione del fascismo alla patria italiana, nota lo scrittore, le speranze di primato da esso riposte nella medesima, i progetti grandiosi concepiti a sua intenzione l'hanno condotto a recidere dal collettivismo originale tutto quanto potrebbe indebolire il sentimento patriottico o nuocere all'integrità delle forze nazionali. Per questo la legislazione fascista favorisce la famiglia, che crea lo Stato e gli dà degli uomini, l'eredità che perpetua e l'accesso alla proprietà che consolida la famiglia, la religione che sterilizza le forze di decomposizione morale ».. Se il fascismo non avesse cosi energicamente respinto le direttive massoniche in fatto di religione e di famiglia, e soprattutto in fatto di patria, siamo noi sicuri che il socialismo internazionale non l'avrebbe levato sugli scudi, invece di rodersi dalla rabbia di non poter schiacciarlo sotto i medesimi? Il conte di Fels non ne dubita un istante. Nell'insieme, il fascismo qual'è gli sembra un fenomeno necessario per il consolidamento dell'unità italiana, che gli abusi del parlamentarismo mettevano in pericolo, e una forma di assetto statale d.f gran lunga più consona di quest'ultimo ai bisogni del Regno. « La democrazia francese — dice — farà bene a rassegnarsi sin d'ora senza malumori inopportuni alla fine del parlamentarismo italiano. Checché possa accadere, le probabilità di una rinascita parlamentare in Italia sono minime. Il fascismo è giunto a darsi delle istituzioni. Esso possiede inoltre una incontestabile attitudine a evolvere e a trasformarsi. Ce n'è più di quanto occorra per porre, con ogni probabilità di buona riuscita, la sua candidatura alla successione del parlamentarismo ». Meno ottimistiche sono le conclusioni del direttore della Revue de Paris per quanto riguarda la Spagna, in quanto che, a differenza del fascismo, che mette radice, la dittatura, di Primo de Rivera gli sembra tuttora sospesa nel vuoto,, ad onta dei prodigi già compiuti per la restaurazione dell'ordine e lo sviluppo della prosperità nazionale. In Spagna, comunque, non meno che in Italia, il crollo del parlamentarismo sembra al di Fels logico e inevitabile. Il regime introdotto nel paese da Alfonso XII non era mai stato nulla di più di una finzione, prolungatasi grazie alla tempra di uomini quali un Canovas e un Silvela durante il regno di quel monarca e la minorità di suo figlio, ma dissipatasi in questi ultimi anni tra l'indifferenza generale senza lasciare un rimpianto se non nell'animo di pochi politicanti di mestiere. Le sorti della dittatura in Ispagna dipendono dalla capacità del suo governo di crearvi, a esempio dell'Italia, un corpo di istituzioni coerente ed adeguato alle necessità morali ed economiche del paese: il giorno che il nuovo regime fosse riuscito ad incarnarsi in un meccanismo politico razionale, anche la Spagna potrebbe considerarsi guarita per sempre dal pericolo di ricadere nell'anarchia parlamentare o nell'anarchia pura e semplice. Fin qui, dirà il lettore, i rilievi del conte di Fels non hanno nulla di molto originale. Può darsi. Ma quel che li- rende interessanti è che, dopo aver esposti i termini del tramonto del parlamentarismo in Italia e in Spagna, lo scrittore scopre, non senza maliziosa soddisfazione, che la Francia, strenua paladina dell'ortodossia parlamentare, dà segno a sua volta di prepotenti, ancorché inconsapevoli, impulsi di evasione dalla carcere insopportabile della Costituzione liberale del 1875. Gli uomini politici francesi si bàttono, a parole, per difendere l'intangibilità del regime di cui la Repubblica vive da cinquantaquattr'anni, ma nella realtà delle cose la decadenza rapidissima del parlamentarismo li trova complici tanto più pericolosi quanto più persuasi del contrario. I francesi fanno della dittatura come monsieur Jourdain faceva della prosa, ossia senza saperlo. I famosi principii dell'Ottantanove, cui la Francia repubblicana non cessa di protestarsi ligia, vengono violati di continuo. La fiscalità reale, vanto della grande Rivoluzione, è soppiantata ogni giorno di più da una fiscalità personale di carattere inquisitorio e aggravata dalla conformità a non pochi dettami.del marxismo. La liberta delle colture agrarie è stata limitata da tutta una serie di leggi La libertà di esportazione è stata restituita agli agricoltori solo alla vigilia delle ultime elezioni politiche ma si attende la prima occasione per ritoglierla loro. Una proposta di legge presentata l'8 marzo 1929 domanda al Governo di vietare d'ora innanzi la piantagione di nuovi vigneti. Altre proposte di legge, chiedono la coltivazione obbligatoria del grano e degli altri cereali. Dalle prescrizioni relative alla panificazione ai divieti contro l'esportazione di capitali, insomma, anche lo Stato francese non cessa di accrescere la sua ingerenza nell'economia nazionale, à scorno dei principii sacrosanti consacrati dalla Costituzione del 1875. E che dire della limitazione della libertà degli affittì, della libertà di costruzioni, edilizie, della libertà di successione? E che dire, in un altro ordine di idee, della defenestrazione di MilLerand voluta dalle Sinistre nel 1924 contro ogni, logica costituzionale, della creazione per semplice decreto di un Consiglio Nazionale Economico, che aspirerebbe a fare in Francia la parte della Camera corporativa italiana, della creazione per circolare ministeriale dei Sindacati degli impiegati governativi, della messa in vigore, per decreto, del regime doganale dell'aprile 1928, contro ogni prerogativa del Parlamento? Subdolamente, silenziosamente, an¬ che la Francia demomassonica si avvia dunque a fare la sua piccola rivoluzione antiparlamentare. Quale la conclusione? Che l'evoluzione an tiparlamentare, che lo smantella mento della cittadella dove il potè' re legislativo si era arroccato nell'ultimo mezzo secolo ai danni dell'esecutivo, costituiscono una fatalità del nostro tempo, una condizione del progresso economico e sociale degli Stati contemporanei. « Come si dimostrano schiavi delle apparenze quei francesi che accusano di reazione Mussolini e De Rivera! Questi due uomini non hanno fatto se non precedere la Francia su una strada in cui essa è molto più inoltrata di quanto non supponga. L'Italia e la Spagna, a dispetto di differenze di storia, di clima, di carattere e di aspirazioni, applicano il programma socialista e sindacalista. Nelle due penisole l'evoluzione costituzionale è giunta quasi al suo termine. La Francia ne è ancora lontana, ma vi si dirige a grandi passi... ». Questa conclusione pratica, dopo l'esposizione dottrinale di Alfonso Séché, mi sembra abbastanza sintomatica perchè mettese conto di segnalarla come la prima all'attenzione del pubblico italiano. Concetto Pettinato.