L'uomo che popolò la Nuova Zelanda

L'uomo che popolò la Nuova Zelanda L'uomo che popolò la Nuova Zelanda e 1 e o a e o i e o i a Il personaggio di cui vorrei parlare è morto da cinque secoli, ma per un certo numero di uomini viventi, mettiamo settantamila, è considerato non meno grande di Cristoforo Colombo. I settantamila sono i maori della Nuova Zelanda, per i quali il massimo navigatore che abbia solcato l'Oceano è Ui-Te-Rangiora, per la semplice ragione che fu lui a guidare dall'Arcipelago di Talliti alle coste delle amplissime isole chiamate poi da Tasman della Nuova Zelanda, cinque capaci canoe contenenti ciascuna duecento circa fra uomini e donne tahitiani. Essi sono i progenitori della razza sparsasi a popolare l'Isola del Nord, quella del Sud e la Staward; cioè l'attuale incantevole dominio oceanico inglese del Pacifico, che ha la Capitale a Wellington, il . porto principale ad Auckland, la città più artistica a Christchiirch ed il milione e mezzo di bianchi immigrati, che ritengono giustamente il loro paese il più seducente del mondo. Le cinque canoe che traversarono il Pacifico Un giorno, navigando su di una nave neo-zelandese fra Napier e Wellington, domandai al comandante la ragione del nome del bastimento : AruTanganuku, evidentemente maoro, ma che ritenevo derivasse da qualche località dell'interno, o fosse quello di una tribù del Lago Taupo, dove vive la maggior parte degli autoctoni, o di un capo resosi meritevole per lealismo verso gli inglesi. — Nulla di tutto questo — rispose il comandante — Aru-Tanganuku è il nome di una delle cinque canoe che hanno popolato in origine la Nuova Zelanda, cinque secoli fa. Poiché-prima le nostre 'Isole, malgrado la loro grandezza (un quarto più dell'Italia in totale), ignoravano la creatura vernale. Volete prender nota del nome delle altre quattro canoe ? SI chiamavano : Te Taupua, Ne Team, Olne fiuto. Tonga Biro. Tutti i neo-zelandesi bianchi noti lo ignorano, come tutti noi conosciamo l'odissea di quelle primitive imbarcazioni, che in un'epoca vicina atla scoperta dell'America per parte digli europei, attraversarono uno spazio d'Oceano Pacifico pari a metà della larghezza dell'Atlantico, fra l'Iberia e le Antille, che tanta è la distanza che separa Tahiti dalla Nuova Zelanda. Ecco, perchè dal giorno che abbiamo avuto una flotta, amiamo battezzare con quei nomi e con quello dell'ammiraglio della flottiglia, le no stre navi... — Ma come si spiega — domandai — che i maori, i quali infine sino alla conquista inglese della Nuova Zelanda furon dei barbari, se non dei selvaggi, abbiano conservato attraverso cinque secoli il ricordo dell'ammiraglio e delle sue canoe? « — Selvaggi o barbari i maori? Ma non si faccia sentire ad esprimere una opinione simile nel Paese I I maori non furono mai uè l'una cosa, nè l'altra. E l'hanno dimostrato, anzitutto non diminuendo di numero dai tempi della conquista europea, e in secondo luogo raggiungendo in mezzo secolo o poco più, lo sviluppo del nostro incivilimento. In quanto alla loro storia, non ne hanno dimenticato un solo evento importante dal giorno che approdarono nella nuova patria scoperta attraverso tanta meravigliosa impresa, com'è appunto quella di essersi avven turati in mille su delle fragilissime imbarcazioni nell'Oceano aperto avervi navigato probabilmente per molte settimane. Se le capiterà di vi sitare Rotorua, al centro dell'Isola del Nord, non manchi di andare a conoscere il villaggio maorò di Wakarewarewa, dove Ita i fenomeni termali più impressionanti vive una grossa comunità di autoctoni. Ivi troverà un decrepito capo maoro, che afferma di essere il depositario nientemeno che del diario < scritto » dell'ammiraglio Ui-Te-Rangiora. Pare che si tratti di alcune tavolette, sulle quali quell'ardi mentoso navigatore segnò i fatti salienti della grande avventura sua e delle sue genti tahitiane. — Veramente? — Bisogna sapere separare la leggenda dalla storia... Probabilmente le tavolette, se esistono, saranno apocrife, ma che j maori siano fratelli del tahitiani non v'è nessuno che possa metterlo jn dubbio. Faccia sciogliere ad una fanciulla di Rotorua la sua ab bendante capigliatura e là preghi di infiorarsela all'uso delle « vaine » di Tahiti, e poi mi djrà se le maore non sono jtelie tahitiane emigrate, che il soggiornò* Ih clima temperato ha alquanto Irrobustito. E' accaduto Jn Nuova Zelanda lo stesso fenomeno che si riscontra In alcuni punti del Sud-America, dove si raggiungono dei piccoli centri dell'interno molto lonta ni dalla costa {Santa Croce de la Sierra, in Bolivia, per esempio), nel quali si trovan dei gruppi andalusi di purissima origine', conservatisi immuni da ogni mescolanza con gli indios. Anzi, in Nuova Zelanda I tahitiani immigrati furono, sino almeno all'arrivo degli europei (1840), più puri di quelli rimasti nelle Isole originarie, per la semplice ragione che qui gli autòctoni mancavano. Eppoi, c'è la lingua, l'idioma maoro, identico al tahitiano, cioè simile a quello che si parla a Samoax, culla originaria dei polinesiani. Le sacre tavole di Ui-Te-Rangiora A qualche tempo dal mio viaggio suìl'Aru-Tanganuku raggiunsi Rotorua e Wakarewa-rewa, dove conobbi il capo, custode delle tavolette di Ui-Te Rangiora. Non mi diffondo sulla prò fonda Impressione ricevuta entrando in dimestichezza con 1 maori, cono scendone la duplice natura di gelosi depositari delle loro tradizioni antiche e di modernissimi, geniali e fedeli sudditi d'Albione, e soprattutto non rievoco le caralteristieha salienti delle grandi Isole australi. Mi limiterò adrtqntnavsm n a dire che avvicinando i maori mi detti ragione della loro disperata, veramente eroica resistenza opposta alla conquista inglese, come compresi la generosità con la quale i britanni trattarono i nuovi soggetti. — Le tavolette di Ui-Te-Rangiora sono queste — mi disse la guida, che mi aveva accompagnato dal capo e l'aveva indottò à dischiudermi la sancta snudarum del villaggio. Era una grande capanna di legno, che sorgeva su di un terreno ambiguo, circonfuso dui vapori leggeri delle solforose sorgenti termali di cui il villaggio pullulava. 11 capo, lo dico subito, non era molto interessante, malgrado che nessuno potesse dubitare dell'autenticità della sua discendenza, magari da Ui Te Rangiora medesimo, avesse il viso tatuato d'azzurro come nessun maoro è più tatuato, cioè come i muori si tatuavano prima della conquista britannica, portasse una dignitosa «redingote» e fosse l'oggetto d'una profonda venerazione da parte di lutti gli abitanti di Wakarewa-rewa, molti dei quali erun giovani e gagliardi ed avevan per compagne o per sorelle delle magnifiche fanciulle meno brune delle tahitiano, a causa degli incroci di sangue caucasico evidenti in molte di esse, ma non meno ridenti, socievoli e curiose di sapere il motivo della presenza ira loro dello straniero. Mugolava il vecchio molte cose difficili a comprendersi e fastidiose ad intendersi come la lezione di un cicerone incallito nell'abitudine. Cominciò a fermarsi sull'entrata della capanna coperta di decorazioni scolpite nel legno secondo il gusto maoro, non molto dissimili da quelle degli indiani del Nord America, con faccie di idoli dagli occhi^ di madreperla per tradurne il significato; ma io preferivo seguire un piacevole coro di maori e di maore affaccendati a varare nel lago una grande piroga dalla prora ornata d'un rostro dello stesso stile delle decorazioni della capanna. Penetrammo finalmente in questa, dove su di una specie di altare coperto di pre ziose pelli di kiwu, lo strano bipede della Nuova Zelanda mezzo uccello e mezzo talpa, quasi scomparso quest'oggi; risaltavano appoggiate alla parete tre tavolette, alte un metro, larghe venti centimetri, coperte sulle due faccie di jntagli, di sefjni, di una sorta di scrittura geroglifica. Le tavolette avrebbero dovuto essere quelle dell'ammiraglio venuto cinquecento anni fa da Tahiti con le cinque grandi piroghe a bilanciere contenenti i progenitori dei maori. I mille argonauti dal Pacifico prolificando durante quel tempo, erano diventati centomila, cioè l'effettiva popolazione maora della Nuova Zelanda trovata riunita nell'estremità settentrionale dell'Isola del Nord, dall'istmo dove sorge oggi Auckland ai laghi di Rotorua e Taupo, Sotto ai grandi vulcani che s'adergono sulle rive dell'ultimo. Le balene insegnarono la via Il « libro » o meglio il diario di UiTe-Hangiora non mi commosse molto. Osservai che il legno era molto forte e spesso, proveniente probabilmente da quegli alberi detti comuneniente « alberi del ferro • che in Nuova Zelanda non esistono, ma che si trovano abbondanti in tutte le isole tropicali da Tahiti a Borneo. I segni sul legno erano appena visibili e mi parve che fosse necessaria tutta la buona volontà del capo per scorgervi il racconto particolareggiato del navigatore polinesiano, dal motivi che provocarono la partenza del mille da Tahiti sulle canoe dalla vela di stuoia, alla prima scoperta fatta da uomini della «Lunga Nuvola Bianca»cioè della Nuova Zelanda, attraverso l'odissea di una navigazione che aveva ridotto i tahitiani a scheletri viventi e che era durata per il corso di due intere lune. In ogni modo il vecchio capo asseriva di possedere la facoltà di leggere sulle tavolette tutte coteste straordinarie cose. Le prese una dopo l'altra con gesto solenne, me ne mostrò una faccia e l'altra, non permise che le portassi nella luce dell'esterno per osservarle meglio, mi fece vedere ipunto dove l'ammiraglio aveva notato l'incontro, nel momento più critico del viaggio, di un branco di balene che, precedendolo, gli avevano mostrato la giusta direzione per metter fine alle pene sue e dei suoi, cioè per ritrovare la nuova terra agognata, e finalmente le ricollocò sull'altare, contro la parete, con la stessa cura con la quale 1 sacerdoti del popolo eletto dovevano maneggiare la tavolo della legge mosaica. Uscii dalla capanna in uno stato 'd'animo assente, determinato forse dalla delusione per la visita ai cimeli, che immaginavo diversi e in ogni modo custoditi con maggior culto dai maoriMa la mia guida, un caustico neo-zelandese d'origine irlandese, mi fece osservare che non valeva la pena dlamentare che le tavolette di Ui-TeRangiora non fossero conservate neMuseo di Wellington, accanto al tuatara, il rettile dai tre occhi, peculiare anch'esso della Nuova Zelanda, alla ricostruzione in miniatura dei plano della difesa maora sull'istmo di Auckland, contro gli attacchi della flotta di sir Grey, nella metà del secolo scorso, ai kiwi impagliati, agli scheletrdi «moa», l'enorme struzzo neo-zelandese alto sino cinque metri, scomparso poco prima della venuta degleuropei nelle Isole. Il cimelio del grande navigatortahitiano era ritenuto autentico dallgrandissima maggioranza del maordella Nuova Zelanda, che per tutto l'oro del mondo non avrebbero permesso che e" "» si allontanasse da Rotorua, sed? le più antiche famiglimaore. Dei resto 1 bianchi poco sapevano attorno a certe misteriose cerimonie che i maori compivano precisamente a Rotorua in talune epochdell'anno e quando i fenomeni termi u e e a , e a e e e i e a e a e o i e i i a i e a , o ii rlò e r l o o e or r e n o a aa e o i. ee di eel ae a o ua rri emli re a ri to roie eiihe i¬ ci e tellurici della regione assumevano aspetti paurosi. Allora le tavolette di Ui-Te-Ranglora rappresentavano una parte probabilmente molto importante nei riti maori. Si sapeva vagamente che in quelle occasioni, sotto l'eccitamento delle antiche danze guerriere, veniva bandita fra i maori una gara fra chi sapesse interpretare più efficacemente i misteriosi e vaghi segni delle tavolette, poste al centro dei circoli delle danze, f maori, uomini e donne, i primi ignudi sino alla cintura, le altre con le chiome sciolte sulle spaile e il busto coperto delle pelli di kiwi, cantavano e danzavano sino all'esaurimento, brandendo le piccole clave tradizionali, sino a che qualcuno, colpito dalla rivelazione, si staccava dal circolo, s'avvicinava fremente allo tavole e, nel silenzio subitamente sopravvenuto, le « leggeva » a voce alta al popolo. E ad ogni versetto, cioè ad ogni periodo del leggendario racconto, l'assemblea prorompeva in grida d'entusiasmo o di dolore, come se lo sentisse per la prima volta, come se per la prima volta i sentimenti dei pronipoti fossero commossi dallo gesta degli avi. L'odissea Tutto questo e l'ambiente oltremodo suggestivo di Rotorua e la constatazione che andavo facendo del sentimento di profondo rispetto, anzi, di venerazione, con il quale i neo-zelandesi di razza bianca consideravano il folklore dei loro compatrioti muori, assurti nella vita sociale e politica del « dominion » alla pari degli originari caucasici (come si sa, la Nuova Zelanda, ad eccezione di qualche nome di città, conserva religiosamente la terminologia maora nei nomi di tutti i particolari geografici delle Isole), finirono col dispormi ad uh grande interesse per fi diario di Ui-Te-Rangiora, tanto più che avevo raggiunta la Nuova Zelanda da Tahiti, e che erano ancora vivissime in me le impressioni della paradisiaca « terra Tahiti ». Or ecco che un giorno, avendo avuto occasione di avvicinare non un altro decrepito capo, ma una deliziosa maora meticcia, che passava fra le più colte e fantasiose della sua razza, le ricordai i cori oceanici, quasi gregoriani, di tanè (giovani), belli come Narcisi, di vaine bianco vestite e dagli occhi di fuoco, uditi a Tahiti, lungo le spiaggie fiorite, profumate, in vista delle candido cavalle annitrenti dell' Oceano, precipitantisi all' assalto sempiterno dei coralli, e all'ombra degli altissimi, sottili alberi del cocco, svettanti senza posa le capellature disciolte al gran soffio del largo. La fanciulla mi udiva volentieri, ma quando le ripetei la strofe della canzone tahitiana: « Volgi la prora al sole che tramonta \quando soffia il vento maramùf » sussultò e mi chiese: — Come conoscete il senso delle tavolette di Ui-Te-Rangiora? — Sarebbe a dire ? — Sì, si, il verso che avete pronunciato è il primo che inizia il racconto dell'ammiraglio. — Non lo metto in dubbio, e del resto potevo immaginarlo, dato che, a quanto so, quelle parole sono ancor oggi il primo incitamento di ogni navigatore tahitiano deciso a superare con la sua canoa il frangente oceanico sui banchi di corallo per avventurarsi magari sino alle Samoa In cerca di una sposa che gli vada a genio. E, di grazia, che cosa dicono ancora le tavolette ? — Non ve io ha rivelato il nostro vecchio capo? E' a lui che spetta l'onore di tradurre agli stranieri la nostra storia. — Sarà benissimo, ma lo 91 quello che ha detto il vostro capo non ci ho capito quasi nulla, e In ogni modo desidero udir ripetere la storia da voi. — E' troppo difficile e lungol Eppoi non crediate che sia tutta esaltante. Ui-Te-Rangiora è grande, com'è stato grande il vostro Cristoforo Colombo, perchè ebbe l'intuizione dell'esistenza di terre immense e di umanità a moltitudini, pur vivendo nella piccola T/ihiti, che ai suoi tempi non doveva cintare più di ventimila polinesiani, e perchè seppe trovar l'energia di continuare la corsa delle sue cinque canoe, mentre 1 suoi mille seguaci, alla stessa guisa degli- equipaggi delle caravelle colombiane, alle prime difficoltà avrebbero voluto ritornare indietro. — Ma perchè 1 mille si decisero a lasciare la terra Tahiti? Non è essa l'Eden del mondo? — Ma i tahitiani di Ui-Te-Rangiora non lo sapevano. Probabilmente im maginavano che ve ne fossero di più magnificenti ancorai... — E quali furono gli episodi più salienti della lunga traversata? — Episodi di fame, essenzialmente di faine e di sete. Si mangiarono 1 morti", forse si uccisero i più deboli per divorarli; si credette l'Oceano senza fine, e quando il diapason di tutte le miserie dei navigatori fu raggiunto e gli uomini, impazziti dalle sofferenze, ebbero irrorato del sangue di UiTe-Rangiora, la canoa ammiraglia... — Ui-Te-Rangiora è stato ucciso nella traversata?... — SI, ed è per questo che noi maori ci affanniamo ogni tanto a cercare dal fondo del nostro spirito la chiusa .del diario che manca. E' la lacuna trascendentate nella quale sta racchiuso il vero mistero del primo popolamento delle nostre Isole. Dunque, quando il sangue dell'ammiraglio colorò di purpureo la vela- di stuoia, apparve all'orizzonte la cima nevosa dell'Egmont, la « Lunga Nuvola Rianca » dei maori, la Nuova Zelanda di Abele Tasman... Signore, la storia degli uomini è dappertutto eguale I Arci. nqdmbnpdmtcmltsedadnrsridvpmrltvqgaaltrprlpmrIrdepmagucermtp

Persone citate: Abele Tasman, Cristoforo Colombo, Grey, Narcisi, Nuvola Bianca, Oceano Pacifico, Selvaggi, Tasman