Custoza San Martino Piave

Custoza San Martino Piave S-5r Giugno Custoza San Martino Piave La data del 24 giugno è triplicemente memorabile nell'epopea dell'unità italiana. In sessantanni di storia tre volte nel giorno di San Giovanni il sangue venne copiosamente versato su campi di battaglia, e San Martino, Custoza e Piave danno il nome a tre azioni decisive, che segnano ciascuna un punto d'arrivo pei risultati conseguiti ed un punto di partenza per nuovi scopi da raggiungere. Perchè la Storia non s'arresta ed ogni mèta non è tale che rispetto al passato, mentre è inizio verso nuove mète. È' curioso riflettere oggi, quando il genio e l'ardire dell'uomo hanno trasformato l'economia del mondo e distratto le distanze, sugli avvenimenti di quel lontano . piccolo mondo antico, non tanto lontano tuttavia che qualcuno dei viventi non lo ricordi e quindi tale_ da essere ancora, almeno parzialmente, comprensibile per la. nostra mentalità. Nato e sviluppato il sentimento della nazionalità in Europa, le agitazioni contro l'ordine di cose stabilito dalla Santa Alleanza — Società delle Nazioni del tempo — sono continue e sempre più violente; tanto più violente in Italia, dove la prudenza politica dei negoziatori di Vienna ha consigliato di creare un mosaico di staterelli, ma dove non ha potuto essere soppresso un piccolo Regno indipendente da secoli e che, dopo la breve parentesi napoleonica, ha riavuto la sua millenaria Dinastia, la quale ha provato coi fatti di conoscere la via dell'esilio, non quella del disonore. Ma gli avvenimenti del 1848-49 hanno anche provato che, non essendovi per «risolvere il problema dell'unità e dell'indipendenza altro mezzo che la forza, il piccolo Piemonte non potrà da solo aver ragione dell'impero oppressore della Lombardia e del Veneto e tutore sul resto d'Italia, Ed ecco, inviato dal Destino che governa con leggi a noi ignote, il grante Tessitore. Nessun nome meglio di questo si attaglia al Genio di Sàntena. Partecipazione, incompresa allora dai più, alla spedizione di Crimea, Congresso di Parigi, accordi di Plombières, matrimonio della giovinetta principessa Clotilde, invio a Parigi dell'irresistibile contessa di Castiglione, accoglimento a Torino dei proscritti da tutta la penisola, polemiche di stampa sapientemente condotte, sottoscrizione nazionale pei cento cannoni d'Alessandria, sono i meravigliosi fili, che la mente insonne del Tessitore intreccia nell'ordito, che ha nome Unità italiana. E la tela si forma con rapidità e snel lezza sorprendenti. Assicurato l'intervento delle armi francesi, importa far presto. All'« ultimatum » austriaco del 22 aprile il Cavour risponde negativamente il 26 e già alla fine del mese le prime truppe francesi sbarcano a Genova e passano il Cenisio. Il 20 maggio si ha MontebejUo, il 30 Palestro, il 4 giugno Magenta, 1*8 Melegnano ed il 24 la grande doppia battaglia di San Martino e Solferino, dove 135 mila franco-italiani battono 140 mila austriaci. Belle battaglie di manovra e di slanci, cominciate all'alba e finite alla sera, nostalgico sogno ormai di comandanti e di combattenti! L'amarezza per l'inatteso armistizio di Villafranca fu certo grave (non pensò al suicidio l'anima credente di Cavour?), perchè il Veneto rimaneva in servitù, perchè la promessa dell'Italia libera dall'Alpi all'Adriatico era frustrata,- perchè altra tela di sforzi e di dolori era da tessere. Ma che importa la ragion di Stato, che importano le sottigliezze della politica! La- sera del 24 giugno il sangue di 12.700 francesi aveva bagnato le colline del Garda insieme a quello di 3200 italiani e questo è il fatto inoppugnabile, per cui gii ossari di Solferino sono e saranno sacri agli italiani.. Nè la riconoscenza- verso questo puro san- fmrgètscvIW*Jì P°i?L,0„SS rf,C\5evLr$ iil Piemonte pagato; il tributo di Nizza e di Savoia. Tutt'al più la preventiva e sostanziale promessa della Contea e del Ducato, avito può condurre oggi, nel raffronto con altre stipulazioni preventive tra alleati, a pensare che noi siamo sempre dei poeta. Nel 1859 Napoleone III chiede, ed un patriota ed un realizzatore della tempra di Cavour concede, una parte del territorio dell'alleato e non soltanto la pelle dell'orso. Nel 1915, mutate le parti, noi otteniamo la promessa di quello che, vincitori, avremmo preso e, vinti, nessuno ci avrebbe dato, più (art. 13 del Patto di Londra) «il riconoscimento- del principio di diritto di domandare certi compensi sotto forma di un'estensione dei possedimenti in-Eritrea, Somaliland e Libia e nei distretti coloniali che confinano con le colonie francesi e britanniche », per cui oggi, undici anni dopo, la vittoria, ancora peniamo. E neppure allora, quattordici lustri addietro, mancarono le difficoltà del comando unico alleato. In una di quelle lettere, tanto commovent perchè tanto sincere, scambiate fra il Gran Re al campo ed il Primo Ministro, si legge: « Siamo sottoposti a nuove tribolazioni. Non è più Lei che mi tormenta, è il degnissimo Imperatore, il quale ci {comanda a bacchetta, cambia, discambia i suoi progetti e vuole cose impossìbili. La Marmora ha perso la tramontana e non parla più. Le disposizioni militari sono strane e, se continuiamo cosi, saremo tosto senza esercito. Oggi scrissi piuttosto . energica mente a quell'Imperatore. Spero che non se la sarà presa a mala Vado a diventare per lui un iftltro Cavour ». Nè il franco Sovrano risparmiava il suo -ministro, il ( quale, a quanto sembra, non aveva j illimitata fiducia nel genio stratej gico di Lui. (.Pel punto poi di quel i che mi dice,- che dovrei essere ciri Jcondaio da tanti genii che m'impet-Wiesm di fare dell» bestialità, pa. re che Lei mi creda un grande asino del mio mestiere. Se Lei mi parla ancora una volta così, vedrà cosa farò; manderò via tutti quelli intornio a_me che vi sono u mi circonderò di meno capaci ancora e farò vedere se io non so fare il mio mestiere senza tanti consiglieri. Se ho preso quelli che ho preso,' si è perchè non ho bisogno d'altri, ed è per quello che La Marmora, che rispetto d'altronde, m'imbrogliava». E tutto questo non diminuisce la gloria dei due Grandi. L'accresce. L'altro 24 giugno, quello del 1866, è triste, ma non è sterile. Il Veneto è liberato e la sconfitta militare, sconfitta non di combattenti, ma di comandanti, che pel numero e pel valore si poteva agevolmente vince¬ re, apre gli occhi sulla mancanza della - scienza di comando, scienza terribile che solo si esperimenta in atti, i risultati dèi quali non possono essere che la vittoria o la sconfitta della Nazione. E ne venne la creazione della Scuola di guerra di Torino. *# L'ultimo 24 giugno è quello nostro; l'abbiamo vissuto e non è mestieri spendervi intorno molte parole. Le precedenti battaglie, le undici dell'Isonzo, quelle degli Altipiani, l'arresto meraviglioso sul Grappa e sul Piave erano state sì grandi e difficili battaglie, ma battaglie parziali. Il 15 giugno del 1918 s'accendeva invece tutta la fronte dall'Astaco al mare. Il nemico faceva il supremo sforzo, nulla aven¬ do trascurato per la vittoria e per raccogliere i frutti della vittoria, neppure i drappelli di mietitori per segare il grano degli agognati campi del Veneto. L'esercito italiano coadiuvato da truppe alleate (erano poche, ma — come si disse più sopra — pel sangue fraternamente versato la misura non ha senso) era chiamato alla prova decisiva. Otto giorni durò sul fiume tre volte sacro la lotta' furibonda, ma alla sera del 23 giugno il Comando Supremo italiano poteva annunciare al Paese: « Il nemico è battuto dal Montello al mare e ripassa il Piave in disordine ». L'orgogliosa sicurezza austriaca era infranta. Il nemico non era passato. E quattro mesi dopo passavamo noi... Gen. G. Marietti.