Il Rinascimento piemontese

Il Rinascimento piemontese Il Rinascimento piemontese L'opera complessa e immortale del | grande duca sabaudo, le cui celebra- sioni centenarie sono ancora nella mente di tutti, fu già illustrata da competenti in Dubblicazloni largamenite e meritamente note. Ma se alla ceJejjrazioue delle date anniversarie n da riconoscere un qualche pratico effetto dal punto di vista scientifico, tale effetto non si deve tanto' commisurare dalle pubblicazioni di circostanza, quanto dal fervore di studi Che quelle date servono a provocare, le che fortunatamente si prolunga a Volte nel tempo.. Non si potrà quindi zar torto alla Società Piemontese di Archeologia e di Belle Arti, di avere soltanto ora offerto ai cultori di stòria le di memorie piemontesi una pubblicazione come questa che prende il titolo: « L'arte alla corte di Emanuele Filiberto e. di Carlo Emanuele I, nei primi anni del suo regno ». (Dai manoscritti del conte Alessandro Bandi Idi Vesme, annotati da Anna Maria Brizio). L'ampio titolo illustrato da .una succinta presentazione scritta da Lorenzo Rovere, chiarisce insieme con la modestia dei compilatori, l'importanza non comune del materiale pubblicato. Scorrendo dunque lè schede, cioè gli appunti e i ricordi con tanto amore e tanta abnegazione raccolti in lunghi anni di ricerche d'archivio dal Bandi di Vesme, e risalendo cosi alle fonti stesse cui hanno attinto alcuni degli studiosi che l'opera di Emanuele Filiberto fecero recentemente oggetto delle loro meditazioni, io ho veduto, e non posso pensare di essermi illuso, la figura del grande vincitore di San Ouintino sotto un aspetto che per quanto balenato già alla mente di altri, non mi risulta delineato finora con tutta l'evidenza e la corporeità necessarie: Emanuele Filiberto animato dal desiderio di fare della sua coite, e di (Torino in generale, un centro illustre idi vita intellettuale tipicamente italiana, sull'esempio di quelli che sfolgoreggiavano ormai quasi per ogni parte della penisola, da Milano e da Venezia fino a Napoli. Il Piemonte nel Quattrocento 11 primo Rinascimento, quello che (aveva dato i frutti migliori e più duraturi, quando la società italiana si abbeverava avidamente alle fonti del sapere classico, era ormai tramontato in- seguito alle gravi ripercussioni della Riforma e con le conseguenze disastrose per l'Italia, culminate nel sacco di Roma (1527), della lotta tra il re di Francia e l'imperatore di Germania. Erasi chiuso perciò, senza risultati gran fatto apprezzabili per la cultura piemontese, il periodo aureo di «quel movimento intellettuale, il Rinascimento, che dappertutto si' era appoggiato e si appoggiava a signorie e a governi locali saldamente costituiti. Ora i duchi di Savoia insediatisi in (Torino soltanto nel 141S, lungi dall'impiantare una corte fastosa, dovettero badare a destreggiarsi nelle difficili contingenze politiche interne ed esterne. La fronte della cattedrale di San Giovanni, opera piuttosto fiacca di Meo del Caprina da Settignano, commessa sulla fine del '400 da un cardinaie dal' nome illustre; Domenico della Rovere (protetto, non parente, di Sisto IV), è l'unico frutto importante e visibile di quel periodo che per l'Italia fu tutta una lussureggiante primavera. Segue la lunga sottomissione alla Francia durante l'effìmero governo di Carlo III (dal 1504 al 1553), fino a che Don ispicca il volo la riscossa dai eampi di San Quintino, con Emanuele Filiberto. 11 quale solo nel 1562 stabilisce in Torino la sua definitiva dimora Emanuele Filiberto H nuovo duca, meraviglioso virgulto della razza, fiorisce quindi in pieno periodo di ' Controriforma. E' fluesto il secondo Rinascimento, il Rinascimento cioè del Concilio di Trento, e della Inquisizione, del periodo gesuitico e reazionario. Non è detto iene Emanuele Filiberto vi si muova assolutamente a suo agio, ma vi si niuove. Egli non nutre prevenzioni settarie di carattere religioso, si professa cattolico e sinceramente praticante senza fanatismi, si volge risoluto dovunque egli ritenga di trovare fiuel bene e quell'utile che gli occorre per i suoi sudditi, non esita a chiamare . i Gesuiti nel suo ducato è ad affidar loro il pubblico insegnamento. Il bene pubblico innanzi tutto: questa ieémbra essere l'impresa adottata dal duca, una volta reintegrato nel posJBesso dei suoi Stati. Nell'esame dei rapporti tra Emi- 'fauele Filiberto e il Rinascimento italiano in generale, non si è forse te- 'liuto ancora abbastanza conto di dati di fatto e di circostanze fondamentali Emanuele Filiberto appartiene a quel periodo in cui dappertutto in Italia allo spiritò divinamente creativo del primo Rinascimento sottentra lo spirito di raccoglimento, di studio e di ricerca scientifica ed erudita, incoraggiato- dalla Controriforma. In contingenze simili tutti gli altri Stati Italiani danno alla cultura l'ultimo loro più o meno importante contributo sulla base di .tradizioni artistiche e culturali profondamente radicate da tempo, mentre il contributo di Torino e del Piemonte in genere, rimasto sin qui estraneo, per ragioni sia ■ geografiche sia storiche, a quel movimento, dovrà essere giudicato in maniera alquanto diversa. Nonostante un tale complesso sfa- vorevole dì circostanze, di cui lo stesso* duca non può a meno di'Ten¬ idersi conto per il primo, egli tenta|rdi riguadagnare il tempo escogitando mezzi adeguati e comportandosi in ogni momento, da buon capitano, con fede e con energia. Tutto ciò attestano ampiamente i documenti pubblicati. Si tratta di oltre quaranta artisti, tra cui architetti, militari e civili, pittori, scultori, stuccatori, medag-HStl, incisori, a seminatori, intagliatori, ceramisti, ricamatoli e arazzieri. Alcuni artisti italiani di fama mondiale, come Tiziano, il Palladio, il V'gnola, Pellegrino Tibaldi, ricevono dal duca commissioni importatiti, e comunque intrattengono con questo rapporti di amicizia non passeggeri. Gli artisti alla Corte Ducale Altri artisti pur di valore, corno i Poncelli e Francesco Paciotto architetti, i pittori Giacomo Vighi di Argenta, Alessandro Ardente di Faenza, Giacomo Rossignoli di Livorno, gli scultori Francesco Mosca da Firenze e Bartolomeo Morone romano, lavorano lungamente e amorosamente per il duca. Alcuni artisti appartengono all'Italia settentrionale, ma la maggior parte sono chiamati dall'Italia centrale (Toscana, Marche, Umbria e Lazio), come i più genuini rappresentanti dell'arte del Rinascimento. Altri ancora, come Giovanni Kraeck, pittore olandese, gli scultóri Stefano Bordier e Bartolomeo Prieur francesi, l'incisore Giovanni Krieger tedesco, l'arazziere Francesco Ghitiels fiammingo, vengono chiamati direttamente dall'estero. Tutti indistintamente questi artisti sono allettati a prestare l'opera loro, con munificenza di trattamento e di onori. Gli stipendi mensili e i regali loro assegnati risultano addirittura cospicui, specie se si tenga conto della strettezza delle entrate, ducali, delle condizioni finanziarie ancora precarie dello Stato, della preoccupazione del duca di non aggravare i sudditi con eccesivi balzelli. La riconoscenza del duca si manifesta in tutte le forme verso gli artisti medesimi, largamente protetti, ma eventualmente anche verso le vedove e i Agli, mediante pensioni, impieghi a Corte e altri favori del genere. La serie dei documenti pubblicati estendendosi fino ai primi del '600, comprende una parte del governo del successore Carlo Emanuele I, illustrativa e integrativa del periodo fllibertiano. Dai più tardi documenti infatti risulta che l'opera di Carlo Emanuele intorno all'arte e agli artisti non è che la continuazione logica e fedele dell'opera paterna nel medesimo campo. Il vincitore di San Quintino aveva fondato in Piemonte tutto un nuovo ordine di cose, ma lo sviluppo adeguatamente grandioso che egli intendeva dare al suo edifìcio, non poteva chiudersi dentro gli angusti limiti della vita di un uomo anche di lui più longevo, e in condizioni ambientali assai più favorevoli. L'opera concorde dei due fu intesa ad attirare alla Corte torinese, sull'esempio delle altre Corti italiane, artisti locali e forestieri, e ad assicurarsene lungamente l'attività e la collaborazione, invogliandoli con ogni mezzo a fissare o mantene re in Piemonte la loro dimora. Poeti e archeologi Erano questi gii artisti migliori? All'infuori di .pochi, la grande massa degli artisti che in quel torno di tempo fiori all'ombra di Casa Savoia, non si alza al di sopra di un'aurea mediocrità. Ma neanche di ciò si può far colpa ai duchi, che mal non esitarono a dar prove luminose del loro mecenatismo. Anche se mediocri, gli artisti ricordati nei documenti godevano di una fama superiore ad altri molti contemporanei. E anche all'infuori del Piemonte, rare sono ormai in Italia le oasi artistiche nelle quali sèguiti a vigoreggiare la grande tradizione del primo Rinascimento. Si rileva insomma nel campo delle arti figurative la stessa penuria di nomi illustri che caratterizza il campo poetico e letterario. Emanuele Filiberto mostrava, come sembra, scarsa simpatia e scarso trasporto per i poeti del tempo (-e chi vorrebbe dargli torto?). Ma quando si trattò di un vero poeta, di Torquato Tasso,' il duca fu lieto di offrire a lui la sua larga ospitalità nel settembre del 1578. Tutto considerato, gli artisti si sopportavano meglio dei poeti: anche perchè dove veniva meno la vena e l'ispirazione, soccorreva quella imitazione diretta del mondo classico che formava il substrato della più raffinata cultura italiana. Ed ecco la passione di Emanuele Filiberto per le antichità. In una lettera in data 4 maggio 1572 lo scultore Francesco Mosca scrive al Duca: «Quando io era in Roma scrissi a V. A, aricordevole di quanto lei mi haveva imposto che gli procacciassi qualche cosa di buono di quelle anticaglie Romane... • . Filiberto Pingone, di Chambéry, è il consultore del duca in materia di archeologia e dì storia. ' Anche questo argomento di cui è ap pena parola nei documenti pubblicati cioè la passione per le opere dell'arte antica, è cosa di vivo interesse per la determinazione sempre più precisa del l'ambiente artistico alla Corte ducale torinese, e per l'inquadramento sempre più sicuro della figura del Duca Emanuele Filiberto nella cultura classicisti ca italiana della fine del secolo XVI. G. B. nLalpp