A colloquio col Sultano di Zanzibar di Arnaldo Cipolla

A colloquio col Sultano di Zanzibar ATTRAVERSO IL CONTINENTE NERO A colloquio col Sultano di Zanzibar -(Dal nostro inviato) Da ZANZIBAR, Maggio. Ve crediate che abbia avvicinato ti Sultano di Zanzibar con quella leggerezza e mlsconoscenza della sua originalità giustificabili in un viaggiatore affrettato. Del suo dominio consistente nelle due isole di Zanzibar e di Pemba, posate come smeraldi sul mare di Azanian, dinanzi alla costa orientale d'Africa, cinque gradi circa al sud deWequatore. vi ho parlato a sufficienza perchè non abbiate difficoltà a convincervi che dovevo scorgere in lui aualche cosa di impossibile ad incontrare altrove. Ditata dove potette trovarvi a tu per tu con più autentico rappresentante di tanta e favolo$a storia?. fi Foreste di garofani Supponete ora di esserne ben compenetratì, come vi accadrebbe soggiornando qui qualche giorno (e ve ne ho dato la prova nella tintesi che ho cercalo di offrirvene) e immaginale ancora di trovarvi a Zanzibar, vera Cairo del Centro africano, durante quella deliziosa quasi fresca stagione dei monsone di nordest che intensifica la sua vita, facendo aumentare i suoi 220 mila abitanti di molte altre mioliato di arabi, di perai, di inda, di malgasci. Vi giungono questi su navi europee e giapponesi, ma specialmente su decrepite navicelle a vela (i sambuk) a commerciarvi il chiodo dì garofano di cui Zanzibar e Pemba forniscono il 90 % dei bisogni mondiali e brulicano nelle strette, ombrose strade del dedalo cittadino, ritrovandovi nuclei di loro consanguinei, immigrati d'antica data, soffermandosi, meravigliati dinanzi agli edifici massicci dalle porte scolpite e coperte di rilucenti aculei d'ottone, ma soprattutto spargendosi nella campagna, indescrivibile giardino, profumalo sino a darvi le vertigini, ver l'ininterrotta foresta di grandi piante di garofano che copre Zanzibar per intero. Queste genti, visitatori d Africa e d'Asia, non sono in ultima analisi che antichi sudditi del Sultano di Zanzibar che accorrono nella • metropoli d'Africa» come i loro padri, nonni e bisnonni di meno di un secolo fa. Fu intatti nel 1832 che il Sultano di Moscate trasferì la sua capitale a Zanzibar, stabilendovi la preziosa coltura dell'albero del garofano, conquistando l'Est Africa e inaugurando l'età doro del commercio degli schiavi. Facile è quindi sentirsi presi in quest'isola da una specie di vertigine oscillante entro il bene ed il male (non importa se alla fine si scopre che la vertigine non è d'ordine immaginario ma fisico, data dalla foresta di garofani) cioè compresa fra i tragicissimi ricordi dello schiavismo, che infine datano da 30 anni or sono, e la constatazione della strana originalità dei sovrani della tratta, cioè dei sultani di Zanzibar, di averla stabilita in questo avvincente quadro di sovrana bellezza profumata vegetale e marina. Ma c'è dell'altro. Cioè il fatto che offro come affascinante tema ad un drammaturgo • amante del grottesco, del sovrano della « metropoli d'Africa ■ che essendo rimasto un bel momento con la sola metropoli ma senza l'impero, cioè avendo perduto tutti i tuoi sudditi ad eccezione di quelli che popolavano Zanzibar, si trovò ad essere il re di una stragrande maggioranza di schiavi con pochissimi padroni dei medesimi. Infatti la cessazione della tratta (1897) piombò sull'isola come una specie di catenaccio. Zanzibar oggi, contro 186.000 abitanti « suhaeli », cioè discendenti autentici di schiavi appartenenti alle più eteroclite, varie ed antiestetiche razze del Centro africano, non ha che 31 mila persone d'origine araba od asiatica. La massa quindi è negra, ma cosi profondamente ed intensamente, che non ne trovereste un'altra simile in tutta l'Africa, un'altra, voglio dire, che del figli di Cam offra caratteri tanto peculiari. Mentre gli arabi e gli asiatici for mano la popolazione cittadina, i ne gri costituiscono quella campagnuola, cioè del coltivatori dalla foresta del garofani. L'isola per la sua piccolezza risulto fittamente abitata, percorsa da una magnifica rete di strade che la contornano e l'attraversano e soffusa da una letizia piena e continua. Questa felice condizione è do vuta anzitutto all'indole nel negri, al la facilità del lavoro che sì riduce, si può dire, al raccolto del flore degli alberi ed al frazionamento della proprietà. Bastano pochissimi alberi per assicurare il sostentamento di una famiglia negra durante tutta un'annata Una sola preoccupazione incombe sul l'isola: la possibilità che in un altro punto del globo altri uomini si mettano a produrre alberi di garofano come a Zanzibar, ma per il momento l'ipotesi costituisce un pensiero molesto soltanto per la corte sultaniale e anche per gli inglesi protettori; il pò polo crede al suol alberi etemi e Zanzibar l'eletta nell'universo a produrli. msqivedtgGccrdtrssadsvrilnssbKtccvatdaitpcucfsd Il paese dei bratti Lietissimi 'dunque sono i figli di quest'isola dell'eterna estate e formati dal più vasto incrocio di ogni razza venuta dal più profondo del continente. L'antropologo toriverebbe a Zanzibar il suo peana, ma non saprebbe esimersi dal constatare che la laidezza, per lo meno flsionomistlca, della razza umana raggiunge' qui il suo diapason. I zanzibarlti maschi e femmine sono talmente ingrati di faccia che finiscono per sembrare perfetti nella loro bruttezza, come quei cani bulldogs nel quali il prestigio è tanto maggiore, quanto è più orrido il muso. Percorrendo l'isola di giorno, ma specialmente di notte, per sorprendere le danze dei suhaeli al lume delle lorde, frequentissime, quasi cotidiam,. non si può a meno di pensare che le loro qualità fisiche negative entrino per qualche cosa nella permanente allegria che li anima. E perchè non dovrebb'essere cosi? Derivare dagli uomini più infelici dell'universo, e potere senza sforzo alcuno considerarsi quest'oggi fra i privilegiati. Forse la bruttezza del zanzlbariti sembra maggiore perchè essi sono molto civili, vestono panni e dell'Africa hanno dimenticata ogni insidia L'isola ne è assolutamente priva. Non cercate però di avvicinarli al negri nord americani, a quelli che abitano in massa gli Stati meridionali dell'Untone, perchè i zanziliarl ti sono rimasti unicamente africani, vi offrono cioè nelle loro manifestazioni il senso continentale della loro origine, mentre gli americani tramandano quel non so che di dolorosamcnt! esule o di minacciosamente ambiguo nella società nella quale sono malamente incastrati, e 'che progressivamente maculano con la loro inquietante prolificità. Credevo prima di arrivare qui che il sultano abitasse in una delle sue ville dislocate lungo le coste dell'isola e superbamente situale per guardare da una parte il continente e dall'altra il Ubero oceano cioè la strada segnata dal monsone che proviene dal Golfo Persico o vi si dirige, a seconda del soffiare del fatidico vento che ha determinalo la storia zanzibarlta. Ma tutti i castelli sultaniali che dominano il mare aperto od il canale tra l'isola e la terraferma, sono in rovina ad eccezione di uno dove una società sportiva inglese ha posto la sua sede. Stupefacente luogo dove si afferma che nei mattini molto limpidi della stagione delle ploggie, si riesca a scorgere la lontana calotta nevosa del Killmangiaro e dove le sto rie più suggestive di Zanzibar trovano il loro ambiente. La più sorprendente fra esse è quella che racconta del geologico fenomeno prodigioso per il quale tutte le sorgenti d'acqua dolce esistenti nell'isola, assolutamente piatta, derivereb bero precisamente dal ghiacciai del Killmangiaro (200 miglia distante), torrenti cioè della grande montagna che per la massima parte, dopo un brevissimo corso, s'inabissano nelle caverne carsiche sotto le fareste, avrebberc trovato la via sotterranea per attraversare il breve braccio di mare tra il continente e l'isola e per legge d'endosmosi risalirebbero in sorgenti anche alla superficie di Zanzibar. Se il fallo non è vero è certamente ben trovato e In ogni modo giustifica la purezza delle acque isolane. Dicono che l'abbia intuito per la prima volta un poeta arabo rabdomante molti tecoli fa e che l'affermazione colpì la fantasia degli iman di 'Mascate costretti a vivere nell'arctlorrida, riarsa città della terra d'Oman, al punto d'aver costituito la ragione prima, della decisione di trasportare il centro dell'impero arabo marino da Mascate medesima a Zanzibar.' Il pozzo dei favoriti della sultana Pozzi profondi quindi nel giardino del castello, in uno del quali sarebbero stali precipitati ì favoriti di una famosa sultana che amava sceglierseli fra le schiere degli schiavi approdali all'isola venendo dalla frontegglante Bagamoio. C'è però chi pretende che la sultana al supplizio del pozzo preferisse quello della piccola inscenatura sotto il castello, dove l'onda muore tra i paletuvlert, dimora pteietlla dei serneuti maiiul velenosi. C'è infatti un avviso sulla spiaggetta che informa come sia pericoloso prendere bagni in quel luogo, malgrado la striscia d'invitante sabbia, appunto per la presenza nell'acqua dì una specie di anguilla dal morso mortale-, una bagnante inglese ci ha lasciato la pelle poco tempo la. Meglio quindi contentarsi di veder la marea venire dal largo sommergendo i paletuvlert, che come sapete sono i salici del mare. Per vedere quindi il sultano bisogna recarsi nel suo nuovo bellissimo palazzo cittadino fra i giardini, non lungi da quello non meno sontuoso che ospita la Besidenza inglese. Salendo la scala marmorea a balaustra traforata della dimora di S. A. Sevvd Khalifa, attraversando la Baraza, cioè la sala dei ricevimenti ornata da mastodontici lampadari di Venezia appesi al soffitto a travi di cedro, si arriva con molte cerimonie, molli inchini, molto silenzio, da parte dei cortigiani arabi ed una conveniente anticamera della durala appena sufficiente per pensare a quello che si potrà chiedere al singolare covrano, padrone rappresentativo di così pacifico luogo dopo tanta storia guerriera e schiavistica,- all'ambiente dove il sultano preferisce ricevere. Il bel Sultano E' nn magnìfico gabinetto da lavoro i particolari del quale riescono appena percepibili perchè, la persona del sultano seduto in un'ampia poltrona di velluto rosso sormontala dai leoni inglesi fiancheggiatiti lo stemma impe riale, assorbe totalmente la vostra attenzione. S. A. è il tipo perfetto dell'arabo d'Arabia. Lineamenti arlstociatlcl, occhi bellissimi, barba a collana e un fine lurbantino di seta scura sul capo. Il vestito è quello del signori arabi: clamide di seta cenere coperta da un glubbettino dulie filettature ricamale in oro. Sorriso invitante nel viso bruno e stendendovi la fine mano un'aria come di diivi; « Eccomi qui. « Come vedete sono un grande signore arabo. Non ho pili flotte, non ho più. impero, non ho più schiavi nè harem, i miei sudditi sono quegli amenlssimi suhaeli (Ini movimenti e dal modi di maschera carnevalesca che sollevano nel turisti che arrivano a Zanzibar [oggi ci vengono a trant- a a o e atlantici t completi », transatlantici americani, naturalmente) tanta ilarità per gli ornamenti di carta colorala che si flccan nei capelli... Che cosa volete da me? Tradurmi il vostro entusiasmo per II bazar di Ngambo [la città indigena) dove ti comprano i ninnoli a forma d'elefanti d'ebano di tutte le dimensioni con la proboscide in aria perchè secondo l'opinione del miei sudditi indù (pochi ma attivi e commercianti espertissimi) quell'atteggiamento porta fortuna? Oppure interpellarmi sul pattato favoloso della mia stirpe o sulla coltura del chiodo di garofano a Zanzibar e a Pemba? Si, gli alberi hanno cent'anni di vita. Li ha piantati o meglio li ha fatti piantare il mio bisnonno. (Che previdenza! E' ad essa che probabilmente debbo il tatto di essere ancora sovrano, benché vassallo, o meglio in cima alla scala di quella folla di prìncipi esotici che formano una parte notevole dell impero britannico). Quegli alberi danno 7500 tonnellate di chiodo di garofano all'annoi Una bella cifra non i vero? Eppure è assorbita interamente dal fabbisogno mondiale o meglio da quello asiatico poiché, ve lo dico in tutta riservatezza, il chiodo di garofano tene essenzialmente per i dolci di cui ton ghiotti gli asiatici. La domanda di chiodo dì garofano sul mercato mondiate non oltrepassa quella cifra, di modo che se il Madagascar, come ne ha intenzione, si mette a produrre garofano anch'esso, come ne ha vivo desiderio; la nostra lelicilà, vale a dire quella dei miei sudditi e mia, sarebbero seriamente minacciate. • E' vero che le mìe isole produco no anche copra in abbondanza, ma questo prodotto non è di una ricchezza paragonabile al chiodo di garofano. Non crediate che la vita di Zanzibar, la viti dei tempi nuovi, dei mici tempi, sia stata sempre idilliaca come vi è apparsa facendo il giro delusola, visitando la città e spingendovi in ferrovia (poiché avrete veduto che abbiamo anche una ferrovia) sino a Bububù, nome suggestivo che farebbe pensare ad una specie di soggiorno canino, mentre ì cani a Zanzibar son pochissimi e in quanto a bestie della foresta non abbiamo che la piccola gazzella di Zanzibar. Mio nonno nel 1872 quando i piantatori di garofano erano ancora schiavi, vide le preziose colture quasi Interamente distrutte da un formidabile ciclone, avvenimento che ricorda che le nostre isole partecipano del carattere di quelle polinesiane, non solo per i prodotti e l'aspetto magnificente del cielo, del mare e della terra; ma ancora per i castighi che provengono dall'Altissimo... ». oc Caffè e sigarette Ora voi, domanderete com'è possibile ch'io abbia avuto il tempo dal momento della presentanone al Sultano a quello nel quale la tua bocca si è aperta per dirmi nella più pura parlata araba di Sahaana.- di formulare tanti pensieri o meglio di attribuirne tanti a S. A. Vi risponderò che di tempo ve ne tu più che a sufficenza perchè l'importante, in questo genere di ricevimenti, non è già in quel che si dice ma in ciò che sì immagina. E immaginazione è alimentata da una serie di operazioni gradevoli e cortesi consistenti nell'offerta del caffè superlativo e del rinfreschi e nella consumazione di una almeno delle squisite sigarette che il sultano fa porgere ai suoi ospiti su monumentali vassoi di argento dal suo servldorame. Aggiungerò che per quanto si riferisce al caffè ed alle sigarette, per ricordarne degli altrettanto eletti, dovetti richiamare al pensiero quelli propinatemi dall'ultimo sultano turco, durante l'armistizio nel palazzo dorato di Delma Batcè sul Bosforo. Che avvicinamenti, non è vero? Eppure lo sfortunato Abdul Megld malgrado godesse anche lui della protezione inglese (mi par di vedere ancora la sagoma della super-dreadnought « Queen Mary » ancorata dinanzi al marmoreo palazzo sultaniale che faceva da sfondo nel colloquio) è scomparso come un'ombra, mentre Seyyd Khalifa, con il suo turbantino occupa ancora il suo trono. Preambolo cerimonioso: Da dove vengo? Dove vado? Ah! scrivo del libri di viaggi? Ne scriverò uno anche su Zanzibar? No, non ho questa pretesa. E' la storia dell'Africa, per lo meno orientale, che bisognerebbe scrivere. Vergherò qualche capitolo per confermare quello che tutti sanno, cioè che Zanzibar e Pemba sono due smeraldi sul mare!... Il passato di Zanzibar? Ah si, grandissimo, immenso. L'Italia? Grande Paese! Tutti lo sanno! Lo si vede dalle navi italiane che arrivano all'Isola. Lo si sa dal nome di Mussolini che riempie il mondo. — Una volta — mormora il Sultano — l'Italia aveva a* Zanzibar un Consolalo Generale invece dell'Agenzia Consolare attuale. La Francia lo tiene ancora, il Portogallo pure. Questione di antichi trattati. (Qui l'ascoltatore non può a meno dì rievocare i numerosi bombardamenti attraverso i quali quei trattati furono elaborati, azioni di lontani conflitti sempre per ottenere la trasformazione dei coltivatori di piante di garofani da schiavi in liberi contadini... Ma che manìa aveva mal l'Europa d'Interessarsi tanto a costoro sacrificando per il loro benessere la collana di ville sultaniali sulle coste dell'isola, demolite precisamente dai bombardamenti? I trattati condussero noi al possesso della Somalia, gli inglesi al protettorato sulle isole e alla padronanza dell'attuale Kenia, i tedeschi alla colonia dell'Est Africa, da Dar es Salam al Tanganica, oggi ìrrimessibilmente perduta per loro). — S. A. è stata in Inghilterra?,.. dvrgptlqprdgvnèpscIcti2cltlVPdacmdsesacslvlsdzlsAbcctrhquntm Immenso scrigno di tesori Si, c'è andata e vi tornerà.,. Ora vorrei sapere per quale bizzarrìa o associazione d'idee, o suggestione di ambiente, sono preso dal desiderio di domandare all'erede dei sultani della leggenda che più che turchi furono arabi, a questo sultano al quale poco si può domandare che non corra il pericolo di urtare la sua suscettibilità a causa dei precedenti di Zanzibar, patria del chiodo di garofani e di mirabili francobolli, ma anche massimo centro fra tulli della schiavitù dei negri sino alla sua abolizione nel 1897; che cosa mi poteva dire sul tesori sepolti dagli antichi pirati arabi e somali nell'isolotto di Kidd vicino a Pemba. La risposta del sultano rivela il suo spinto moderno. « Tutta l'Africa — egli dice sorridendo — è un immenso scrigno di tesori mollo superiori in valore a quelli che gli antichi pirati possono aver sepolto a Kidd. Poiché per non parlare che delle sostanze e dea'Jmtygein che gli uomini preferiscono di classificare nella categoria del tesori puri (oro, perle, pietre preziose), chi non sa oggi che nella profondità e nell'immensità del laghi equatoriali finiscono l'oro ed i diamanti trascinati dai fiumi che II originano, i quali fiumi son tutti ricchissimi dell'uno e degli altri? probabilmente gli uomini scopriranno prima il modo di dragare il Tanganica, il Niassa, il Nianza, che quello di ritrovare 1 pretesi tesori di Kidd la cui esistenza non è che leggenda... ». L'udienza dell'ultimo sultano è durata abbastanza. Bisogna congedarsi. S. A. mi fa dire che avrà piacere dì sapere quello che la sua incantevole Zanzibar mi avrà suggerito. A pranzo dal : residente inglese Dopo due ore, ambiente completamente diverto. Mi pare di essere diventato qualche cosa come il "personaggio di una commedia di tapore esotico costretto a recitare una parte gradevole in una serie di quadri legati fra loro dal tenue filo del fascino di questa strana isola. L'ambiente è un altro palazzo, quello del Residente inglese Sir R. H. Crofton, che ha l'amabilità di invitarmi ad un pranzo inlimo alla Residenza. Incantevole dimora fra ospiti' squisiti, pochissimi invitati: due signore e due signori oltre agli anfitrioni ed io. Domestici negri in livrea rossa regale, terrazza sull'ampia rada rinfrescata dalla brezza del largo, fruscio ripo¬ dvanTrf sante di altìssimi palmiti, nella saladf pranzo tavola refettori* £ vaglia ornata dì pizzi « musica nel atE'dìa°handa militare della qvfrniglone inglese che suona. Guarnigione inTigeZ s'intende e bandisti zanzlbarisii. Zanzibar ha dato o000 dei tuoi figli per la guerra, me lo ricorda Sir Crofton. conversazione elettrizzante nella quale la romantica Zanzibar rappresenta il centro, ma che spazia, per la vastità dei dominii imperia" britannici. Il pranzo ti chiude conia brevissima cerimonia radtzionaU del brindisi al Re che sta al di tó desìi oceani. Non la conoscete? E tipica mente inglese: Vien servito ti Porto, il rappresentante del Re si leva, ail invitai tacciono subitamente e s alzano anch'essi. Vn istante di raccoglimento e Slr Crofton, levando il bicchiere mormora: « To the King » Ul Re!). Tutti rispondono : « To the King ! » Altro istante di raccoglimento in piedi e, quindi tutti tornano a sedersi c la conversazione riprende (mi par di scorgere nell'ombra del fondo della sala il sultano che s'alza anche lui dalla sua poltrona ornata dello stemma inglese per partecipare al nostro brindisi al Re). Voi potrete essere ospiti di non so quale rappresentante del Re d'Inghilterra ad ogni latitudine, in ogni paese, dal Canada all'Australia, dalla Nuova Zelanda all'India; il pensiero al Re non mancherà mal e sarà Invariabilmente espresso con quelle brevi parole e toltanto con quelle, levando il bicchiere di Porto ». Arnaldo Cipolla.