La pittura napoletana dell'Ottocento di Marziano Bernardi

La pittura napoletana dell'Ottocento La pittura napoletana dell'Ottocento Delle tre maggiori scuole pittoriche italiane dell'Ottocento, la toscana, la lombarda, la napoletana, quest'ultima, la meno nota, e da Roma in su anche la meno apprezzata, è quella che più nettamente si presta ad esser chiusa nei termini di una definizione chiara lineare, ad esser vista e giudicata in blocco, senza quegli improvvisi scarti di personalità o quei subitanei 6ilenzi d'orchestra e spazi d'ombra nel sole, che di colpo, quando adagio adagio rei comodo della tua dottrina sei giunto a costruirti una bella serie di sene mi e ad incasellare nomi e azioni, ti mandano a catafascio il tuo sistema lasciandoti crucciato come un ragno nell'angolo della tela disfatta. Scuola senza profeti — come potrebbe essere un Giovanni Carnevali per la lombarda e, in un certo senso paradossalmente antitetico, l'Accademia per la toscana — perchè i suoi precursori formano una catena ininterrotta dal Seicento in poi, e si chiamano Massimo Stanzioni e Bernardo Cavallino, Salvator Rosa e Mattia Preti, Luca Giordano e Francesco Solimena, Francischlello De Mura e Giacinto Diana; scuola senza dramma, perchè quel gelo del neoclassicismo e poi del falso romanticismo storico proprio di Firenze e di Milano, non potè mai farsi ghiaccio spesso sulle rive dorate del Golfo, tale almeno che a scioglierlo occorresse tutto il fuoco della reazione veristica; scuola infine, 6e ne togli il Toma e forse Federico Rossano, antisentimentale per eccellenza e ad ogni modo sgombra di tormenti, dubbi, contrasti d'anima (persino, direi, da un punto di vieta umano dei suoi protagonisti: che per un Gaetano Esposito perseguitato fino al suicidio dal fantasma d'una donna, quanta gioia e gagliardia di vita sotto questo smagliante cielo partenopeo a confronto dell'ora disperato ed ora ansioso destino d'un Farufflni, d'un Ranzoni, d'un Cremona avvolti dalle nebbie padanel), perchè per istinto ispirata a un elemento immutabile, obbiettivo, pacificatore di lotte, rasserenatore di dolori: la natura. Ecco dunque la pittura napoletana da Gigante a Michetti, da Palizzl a Mancini, apparirci come il più nativo, il più intuitivo e spontaneo dei fenome ni pittorici regionali del nostro Ottocento; e soltanto questo suo carattere appunto, di intuitività e di spontaneità spiegarci come 6ia stato possibile che già prima del 1820, in pieno ed imperversante rigorismo accademico, un gruppo di giovanotti radunati intorno a un pacifico olandese uscisse da gli studi per la campagna di Po sillipo 6ulla traccia di un paesaggio storico e naturale che già attraverso la burrascosa fantasia secentesca s'era tramutato in rappresentazione visionaria nei quadri di Salvator Rósa. Notate la differenza : in Toscana, in Lombardia, persino nel Veneto ed anche in Piemonte, la data famosa è 1850. Ci vuole lo scoppio della primavera quarantottina per riportare l'arte di fronte alla sincerità, all'utilità, direi, della vita; è necessario cioè un fatto grandioso, formidabile, eroico, ma ad ogni modo fuori ed oltre l'arte, se pure d'indole squisitamente ideale, per scuotere e polverizzare i bastioni della falsità accademico-romantica. Qui no; qui ai piedi del Vesuvio basta che — l'uno nel 1806, l'altro nel 1818 — nascano due uomini, due vigorosi polloni del gran de albero della tradizione, perchè da questa tradizione rinfrescata e portata alla necessità dei diversi tempi via via fluisca come acqua limpida il nuovo spirito. Tutto si fa quindi chiaro, convincente, naturale: il fenomeno arti stico è direttamente connesso col te nomeno uomo: l'individualità geniale, la storia fatta dai singoli e non dalle forze collettive rivendicano ogni di ritto. Giacinto Gigante e Filippo Palizzl: poderoso artista il primo, grandissimo pittore il secondo, scegliendo 1 termini della differenziazione in una tesi già discussa da un ammiratore di entram bi, Edoardo Dalbono, e che ora giova richiamare non perchè abbia un valore critico specifico, ma perchè è utile chiarire l'antitesi dei due temperamen li: antitesi, del resto, fra ideale e realtà, fra cielo e terra, fra visione lirica interiore e semplice rappresentazione delle cose esterne, che qua e là serpeggia per la scuola napoletana e si concreta in Morelli e si inacerbisce in Francesco Paolo Michetti. Da quei due uomini schietti e tran quilli — com'ebbe a scrivere di recente Ugo Ojetti — « restii per natura alle cerimonie e agli onori, per molti mesi dell'anno o per molte ore del giorno lontani dalla città, 60li in cam pagna a dipingere sul vero, tra cielo monti e mare: quello lirico e solenne con voli, fumi e bagliori alla Sa'./ator Rosa, questo più grave, carnoso, legato alla terra »; da quel due straordinari lavoratori che non « Inventarono > per nulla la moderna pittura na¬ poletana come non l'inventò l'olandese Antonio van Pitloo del quale — chiamato da Ferdinando di Borbone nel 1816 a insegnare paesaggio nell'Istituto di Belle Arti — tanto si esagerò e s'esagera l'importanza, ma che semplicemente, studiando con freschezza e candore la realtà di natura, riportarono a galla gli elementi naturalistici propri della pittura napoletana dal Seicento in su; da quei due silenziosi operai del pennello, dunque, discendono logicamente — e vengono spiegati — Morelli e De Nittis, Cammanano e Toma, Leto e Dalbono, De Gregorio e Rossano, Esposito, Michetti, Mancini, per lasciar da parte i Celentano, i Miola. 1 Fabron, i Farnetl, 1 Sagliano, i Ragione ed altri. Ma si badi bene: che Dalbono dipinga una Famiglia sulla terrazza con lo spirito d! un Silvestro Lega; che — tramite A drlano Cecioni — le ricerche della Scuola di Resina 6'apparentino in singoiar modo con quelle del macchialolismo toscano; che De Nittis, mirabilmente chiamato e a rendere il lato elegante della natura • (Cecioni) furo reggi a Parigi, apra un nuovo solco di scambi fra Napoli e la Francia e sia iscritto capolista degli Impressionisti del '74; che Domenico Morelli tradisca ogni momento Usuo Palizzl per trasportare la-propria fantasia sul plano di un'attività teatrale (« Il posto del Morelli — ha detto molto bene Enrico Somare — è accanto agli operisti ottocenteschi »); che Gioachino Toma con la sua castità e la sua malinconia smentisca l'indole partenopea fino a sembrare un piemontese contemporaneo di Mosso o di Pasquini; — tutto ciò non intacca l'unità della pittura napoletana del secolo scorso, non ne attenua i caratteri di spontaneità nativa per la quale appunto Gigante e Palizzi marciano senza sforzo in testa al movimento insurrezionale della liberata pittura italiana. Orbene, quando col Somare noi avre mo riconosciuto che la prima condì zione, 6emipre tradizionale e sempre contemporanea, della pittura napoletana è Napoli, Napoli pagana col suo mare splendido di miti popolari, Napoli cristiana con le sue strade gremite di gente povera e superstiziosa, eppure non mai stanca di vivere e di amare; quando avremo ammesso — ancora con lo stesso storico — che la fan tasia napoletana diffusa, dispersiva musicale, non potè comporsi nel Tre cento una sua propria manifestazione d'arte primitiva e neppure ta. seguito t svolgersi sui dogmi rigidi, lineari sui principii classici e matematici del la Rinascenza • in contrasto coi suol presupposti e le sue tendenze naturali si che soltanto a metà del Seicento co desta fantasia, « quasi per un'improvvisa scoperta della sua funzione •, trovò da concretarsi nell'invenzione di un paesaggio quasi pre-moderno, ed in seguito, dopo essersi urtata col ritorno neoclassico agli ideali dei Rinascimento, potè riscoprire ancora una volta sè stessa e la sua missione non appena lo studio della realtà esterna ritornò ad essere il presupposto dell'arte; — quando ci saremo accordati su questi pochi punti essenziali, potremo convenire che la pittura napoletana dell'Ottocento è tutta un® pittura di cose e non di sentimenti, è una gagliarda canzone cantata per 11 piacere d'ascoltare una voce che sale spiegata verso il sole o verso le stelle, è una possente e placida forza di natura, che soltanto con la natura, appunto, si giustifica, e sgorga limpida come un'acqua di sorgente, con quel tanto d'inconscio, di fatale, di vago, e fors'anche di triste sotto l'apparenza estrosa, ch'è proprio delle creazioni popolari. Tale la sensazione che la scuola napoletana del secolo scorso, vista a grandi linee nel suo Insieme, senza lasciarci fuorviare dalle rade eccezioni le quali anzi — come, per esemplo, l'incantata delicatezza d'un Federico Rossano — danno risalto al carattere generale, ci suscita. L'ambiente unico al mondo per prepotere di facili immagini immediate, e la esuberante vita che in esso ambiente si svolge, hanno plasmato gli uomini. Il fatto quotidiano, come già per gli olandesi e in parte pei veneti, è pretesto d'arte. Ciò che pel pittore lombardo, toscano o piemontese sarebbe audacia realistica, quasi puntiglio, o Intelligente bizzarria o comunque atto meditato o polemico (pensate ai macchiaioli), pel pittore napoletano è seraphee moto d'Istinto, è liberazione d'una 6ua intima gioia, è insomma incontro fortuito ma propizio che subito lo fa liricamente reagire. Non vale che un Toma si chiuda in ambienti malinconici e squallidi ad ascoltare i più sommessi e patetici palpiti d'anima che per lui altro non 6ono che una languente eco della sua triste esistenza; non vale che un Morelli ansiosamente tenti di europeizzare la sua pittura e di continuo volga la mente a pensieri € più alti e più gravi deiarte sua » per riconoscere la più dolorosa delle delusioni; — Napoli, Il cielo, gli alberi, l fiori, la feconda terra; i giorni lieti, la sfavillante povertà cenciosa, lo sgargiante fasto e la superstizione, i canti ritmati sulle onde azzurre, tutta questa traboccante fervente natura, chiamano a gran voce; e l'uomo cori le sue inquietudini, coi suoi tormenti, le sue gioie, i suoi contrasti s'annulla nella gigantesca sinfonia, diventa anch'esso un accento, una cosa, un naturale oggetto della gran madre terra. Mentre al nord Ranzoni vaneggia inseguendo i suoi disperati inafferrabili fantasmi, mentre Prevlati 6empre più s'impaluda in un misticismo senza sbocchi, mentre di monte in monte, di altitudine in altitudine. Segantini fissa lo sguardo al mistero della vita illudendosi di scoprirlo fra rudi solitudini, e Fattori solennemente inserisce la sua austera visione umana in quella nuda e severa di desolate lande, e Fontanesi scrive la sua commossa egloga cercandone il metro nel rapimento d'albe e tramonti; — al sud, fra il Tirreno e il Vesuvio, Palizzi dipinge con lo stesso amore un nudo bimbo carnoso e una capretta bianca, Giacinto Gigante prosegue il suo gran de colloquio con alberi, rocce, nuvole, epiagge, Dalbono s'inebria di mandolinate. De Nilttis gareggia con la natura in naturalezza, Cammarano e Leto •i gettano sul vero con avidità insaziata. Mancini e Michetti si contendono il primato dell'evidenza. Pittura senza dramma, abbiamo ^etto, quella napoletana: — perchè l'uomo ne è assente, non come elemento di rappresentazione ma còme sottinteso ispiratore e determinante del fatto artistico; perchè l'interesse pittorico prevale sull'interesse umano; perchè colori e forme sono un canto, ripetiamo, di liberazione, più che un aspetto dell'eterna domanda alla quale da secoli e secoli l'uomo chiede risposta con l'arte : « che vuol dir questa - Solitudine immensa? ed io che sono? •. Se non ho errato in questo tentativo di definizione della pittura napoletana, 6arà possibile, per chil lo voglia, riscontrarne la verità qui a Torino. Da ieri mattina, infatti, ospitata nelle sale della galleria d'arte di via Po, 4, è aperta la grande mostra dei pittori napoletani dell'Ottocento, organizzata — come già annunziammo — dalla Società divelle Arti Antonio Fontanesi, per v«floi.tà e cura di Felice Casorati. Più dl'^Wcento opere raccolte con pazienza e-tenacia ammirevoli, superando difficoltà non comuni, presso i maggiori musei e le maggiori gallerie private d'Italia, quadri famosi e quadri ignorati, gareggiano d'interesse le une con le altre. Da molti anni non si compiva in Italia sforzo tanto grandioso per mettere in evidenza i caratteri di una scuola pittorica regionale ormai passata alla 6toria. Perciò — mentre ci riserviamo di ritornare sull'argomento con l'esame dei principali autori e delle principali opere — segnaliamo fin d'ora l'avvenimento come di eccezionale interesse culturale e artistico. Marziano Bernardi.