La Mostra sindacale alla "Promotrice,, di Marziano Bernardi

La Mostra sindacale alla "Promotrice,, La Mostra sindacale alla "Promotrice,, Erano molti anni che la consueta esposizione primaverile nel palazzetto della Promotrice al Valentino non si presentava cosi nitida, composta, fusa ed organica come ci è apparsa ieri pomeriggio durante il tradizionale vernissage. Un'esatta graduazione dei valori, un equilibrato senso delle proporzioni fra autori e scuole, fra opere e tendenze, un sereno concetto disciplinatore senza antipatiche intransigenze, una modestia, infine, di intenti senza abdicazioni o rinunzie, sembrano aver favorito 11 lavoro concorde del Sindacato artistico piemontese e della Società promotrice di belle arti: lavoro che si è svolto — contrariamente ai timori di qualcuno — in un'atmosfera di pace costante. Ed è probabilmente a tale atmosfera di conciliazione che si deve il successo di questa prima mostra sindacale fascista die s'inaugura stamane alle 10,30, presidente Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon: —perchè, conviene dichiararlo senz'altro, Michele Guerrisi, segretario regionale del Sindacato, ci ha rimesso la voce a furia di esortare i più valenti suol colleglli d'arte a non disertare i ranghi; il Consiglio direfr tivo della Promotrtce ha gareggiato con lui in abnegazione; ma il successo c'è, indiscutibile, ed in misura tale che da questo primo esperimento è lecito - dedurre tutto il bene che in seguito potrà venire a gli artisti — e speriamo anche all'arte... — da un inquadramento sindacale razionalmente disciplinato. Disciplina sindacale Intendiamoci subito. Ai colpi di bacchetta magica ci crediamo poco. Crediamo ancor meno che sulle facoltà creative di un artista — pittore, scultore o architetto — abbia minimamente da influire una condizione estranea al suo ìntimo mondo interiore nel quale si matura l'opera sua, grande o piccina che sia. Abbiamo viceversa fiducia grandissima in tutto ciò che, venendo appunto dall'esterno, e da una volontà superiore, tende a fornirgli una norma di vita, a definire e chiarire la sua azione in termini precisi, a porlo di fronte alla utilità, alla necessità morale, direi, della sua funzione. A parer nostro il compito del sindacalismo, in arte, è anzitutto questo: riconciliare l'arte con la pratica dell'esistenza, determinare nettamente le varie mansioni, ristabilire un'esatta scala dei valori. Quanto poi alla attuale disciplina delle varie mostre regionali — emanazione dei rispettivi Sindacati — le quali dovrebbero selezionare (perdonate l'orrènda parola) la produzione artistica contemporanea, in modo da preparare il « materiale » più adatto per l'unica mostra nazionale — quella di Roma — e per l'unica mostra internazionale — quella di Venezia —, forse l'esperienza dovrà In seguito apportarvi qualche ritocco. Troppo materialistica sarebbe la concezione che le esposizioni debbano servire soltanto agli artisti. Nei rapporti che corrono fra arte e vita c'è un elemento che non deve essere trascurato ; e questo elemento si chiama pubblico. Ora facciamo pure il caso specifico di Torino. Torino, che non può dimentfeare d'aver consacrato la fama, con le sue mostre triennali e quadriennali, d'una buona parte di coloro che oggi sono venerati come i maestri dell'Ottocento, non è sede nè dell'esposizione nazionale nè di quella internazionale ; non è nemmeno, come Milano, sede d'una mostra periodica del Novecento, crogiuolo di tutte le tendenze modernistiche d'Italia. Dovrà essa accontentarsi della annuale esposizione d'arte unicamente piemontese che il Sindacato regionale allestirà, sia pure col maggior decoro possibile? Sarannp messi i torinesi che s'interessano d'arte nella condizione di doversi recare ora a Venezia ora a Roma ora a Milano per avere un'idea di come oggi si dipinge e si scolpisce fuori di Piemonte? E' questa una domanda a cui speriamo che Michele Guerrisi non tardi a rispondere. E la risposta migliore, secondo noi, sarebbe che i Sindacati regionali in genere, ed il nostro in particolare, prendessero l'iniziativa di allestire di quando in quando mostre parziali di gruppo, che rispecchiassero le più caratteristiche correnti dell'arte italiana d'oggi. , Anima piemontese Ma rimandiamo la discussione a miglior momento, e compiamo il consueto rapido giro per le sale. Le altre volte ai vecchi navigatori di mostre, toccava sempre qualche momento di incertezza nel ritrovare gli amici che qui si davano appuntamento dal Veneto e dalla Lombardia, dajla Tosca na e dal Lazio, da Napoli e dall'Emi Ha; ed era spesso quell'incertezza purtroppo accresciuta dalla circostanza che da'troppo tempo i pittori e gli scultori non piemontesi inviavano a To¬ rino il peggior scarto del loro studi: nel concetto di molta gente — si sa — tutto è buono per quest'angolo d'Italia: e si stentava a riconoscere sotto certa roba le firme ben quotate; e bastavano cosi due o tre « croste » per rovinare l'insieme di un'intera sala. Non diremo che quest'anno non ci siano macchie sulla tovaglia; diremo però che il livello generale, se non altro, è alto: alto malgrado le indulgenze inevitabili in un tentativo di riunire la maggior schiera possibile di artisti sindacati. Del resto il pubblico sa dov'è il cosiddetto « ospedale » del palazzo della Promotrice : ci vada con animo pietoso, che visitare gli infermi è precetto di carità. Ma quest'anno — almeno ci sembra — la mostra ha una sua fisionomia caratteristica, un suo volto cordiale ed aperto nel quale ritroviamo fattezze note e care. Circola di sala In sala un'aria di Piemonte che respiriamo volentieri, che spira forse dalla natura dei motivi scelti, e forse più dalla qualità € regionale » degli espositori. Mostra strapaesana, dunque? Eh, no, tutt'altro: che malgrado la presenza del Podestà di Strapaese Mino Maccari, basterebbero a smentire la qualifica Casorati con la sua scuola, il gruppo che ormai opera sotto l'insegna, stracittadtna per eccellenza, dei * Sei Pittori », la sala del GauguirKcanavesano Ronzini, e via dicendo. Ma ci accade, quest'anno, di riscoprire un poco, su per codeste pareti, noi stessi e l'anima nostra piemontese, e tutto un mondo di ricordi e di affetti, e una intimità familiare, insomma, dolce al cuore. Ci accade cioè — e me ne perdonino gli autori — di sostare a lungo davanti a delle pitture, con spirito vagamente sognante, inteneriti piuttosto dal soggetto suscitatore di memorie lontane e di sentimenti vicini, che non interessati dalla tecnica, dalla fattura, dalle doti specifiche del quadro. Pathos ottocentesco? Forse. E tuttavia se Manzone e Rho, Montezemolo e Lupo, Boccalatte e Carutti, Levrero e Da Milano, Boetto, Deabate, Quaglino,' Giani, mi costringono — come mi diceva ieri giustamente Bosia — a lasciar la platea per salire alla ribalta, a diventare cosi io stesso attore del loro quadro e partecipe -della loro ispirazione e compagno della loro buona fatica, non è forse questo il fine più profon»do e vero dell'arte, quello che il popolo già cercava, poniamo, nelle processioni di Gentile Bellini o nello rievocazioni tremende di Jacopo Robusti? Ma il pittore oggi, di solito, avendo dimenticato la vita, non pensa che a se stesso, e a posare 6ulla tela un bel colore, a trovare un bell'Impasto, a raggiungere un bel tono, a stabilire uno scorcio intelligente; si che il pubblico, notato, gli volta le spalle, e si accresce cosi il dissidio fatale fra chi s'inorgoglisce d'esser solo e chi rinunzia ormai a capire. Casorati e la sua scuola — Di qua il cervello, e di là il cuore — diceva ieri Michele Guerrisi accennando a una ideale separazione che )1 salone segna nella mostra. E il cervello sarebbe rappresentato da Felice Casorati circondato dai suoi allievi Maugham, Marchesini, Bonfantini, Mori. Bionda, Baj, Cefaly, Levi, disciplinatissima schiera che segue passo passo il maestro verso un concetto astratto e rafflnatlsimo della pittura, sul quale tanto è noto — non è più il caso d'insi sfere. Potremmo notare, di passaggio che certe note più umane e direi più istintive del Casorati, come il suo pie colo delizioso studio di strada esposto a sinistra del grande 'bozzetto dal nudo di donna violentemente acceso, si ritro vano caste e misurate meglio in alcune sommesse ricerche tonali della Maugham, della Mori e della Marche sini, che non nel pessimismo pittorico (spero di farmi intendere) del Blonda e del Bonfantini. Pessimismo del quale non si avverte più traccia nella indovinata saletta dei » sei pittori » Menzio, Chessa, Paulucci. Carlo Levi, Galante, Jessie Boswell, i quali ospitano anche i due gustosi di segni del collega Maccari. Qui Manet (vedi il ritratto di Menzio di Mario Soldati) trionfa nel senso d'una lezione neoimpressionista filtrata attraverso cento tendenze. Non so fino a qual pun to la sensibilità individuale di questi giovani, addirittura esasperata in qualche saggio del Chessa, si equilibrii col presupposti realistici dai quali mosse appunto l'impressionismo. Mi pare che qui ci troviamo sull'estremo limite; varcato il quale la pittura non diventa più altro che tavolozza, e la rappresentazione decorazione, e il gusto coloristico un arbitrio senza controlli. Lodevole ad ogni modo in tutti e sei è il senso della modernità che li ispira, è la volontà tenace della ricerca, è questo loro non fermarsi mai su una "posizione rag giunta. Bosia ieri trasportava ancora i suoi quadri di parete in parete, tormentato nella collocazione come lo è nel suo lavoro. Ma dovunque ora si trovi, conviene cercare — insieme coi due squillanti motivi di mare, Rapallo e S. Margherita, e con altre due tele più anziane — il piccolo ritratto della signora Holmann, una delle più robuste, penetranti pitture nelle quali questo artista valente abbia saputo fondere la incisione talvolta eccessiva del segno con quella sorvegliata dovizia di colore ch'è caratteristica dei suoi paesaggi. Evangelina Alciati ritorna con un grande quadro di fiori dove l'istinto plttorco è palese specialmente in alcuni accessori decorativi; Ferro con due larghi, sereni, potenti ritratti; Falchettl pure con due ritratti, l'uno di forte evidenza, l'altro di palese ricerca di equilibrio di masse; Guarlotti con qualche vecchiotta descrizione di garbo ottocentesco; Durante — caso insolito — con un paesaggio e un cortile rustico Lupo — fra l'altro — con una smagliante montanara* di Gressoney; Boccalatte con romantici paesi; Buratti con due figure e una natura morta composta con una dolce tranquillità armoniosa; Micheletti con ampie composizioni più salde del consueto che ci farebbero desiderare di vederle trattate ad affresco se i committenti italiani non avessero dimenticato un genere decorativo ch'è metà della nostra gloria passata; Giovanni Grande con una tela vasta che non rinunzia a un sottinteso umoristico, e anche meglio con una serie di impressioni freschissime; Manzone con una diecina di luminose vedute del suo bel Monferrato; Valinotti con varia pittura linda, un po' acerba e gracile ma arguta, nervosa e sincera. Artisti in progresso Zolla, Carutti, la Torello, Aymone Serralunga, Mestrallet, la Meucci, Sacheri, Gachet, Olivero, Boglione, Mennyey, Conterno, la miniaturista Giuseppina Clava, Vellan, Giani, si ripresentano immutati. Viceversa la sala dove espongono insieme Deaibate, BoettoQuaglino, Da Milano ci offre una gira ta sorpresa: quattro artisti in deciso progresso. Deabate, ormai franco e sicuro dei propri mezzi espressivi (si vedano i bellissimi studi di barche e ii grande, equilibrato c Cantiere ») Boetto, che è andato singolarmente raffinandosi in alcune marine madre perlacee e malinconiche; Quaglino, de coratore d'istinto ed umorista prontissimo, chi col suo c Circo » fa pensare a Quadrone; e Da Milano che va rintracciando con poesia sottile l'anima un po' assorta e grigia di certi angoli tipicamente torinesi. Diremo poi con maggior calma dell'interessante Ronzini (pitture dovute a un lungo soggiorno nella Nuova Caledonia), della sezione d'architettura, del bianco s nero, dei saggi futuristi e della scultura, quest'anno radunata finalmente in apposita sala dove primeggiano Orsolini, Guerrisi, Baglìoni, Borelli, Giorgis e Musso (Edoardo Rubino è presente altrove con la sua squisita medaglia d'Umberto di Savoia); e diremo anche di alcuni giovani che non conoscevamo. Notava ieri qualcuno, ch'è buon giudice, che questa nostra mostra sindacale piemontese non è per nulla inferiore — come tono generale — a quella inaugurata di recente dai Sindacato romano, e che interessò vivamente tutto l'ambiente artistico italiano. Per conto nostro, pur senza stabilire paragoni, non vediamo ragione alcuna perchè non debba essere cosi, e confidiamo che a Roma come a Milano, a Venezia come a Napoli, si riconosca che in Piemonte si lavora seriamente, e che si fa della pittura, della scultura, dell'architettura degne di molta, moltissima attenzione. Marziano Bernardi.